Archeologia. Allucinanti. Cosa sono queste cose? Non sono ruote di camion. Pietre modellate dalla natura? Furono adattate dagli uomini primitivi? Oggetti di culto? Gli studiosi si addentrato nel mistero dei dischi misteriosi

No, non sono ruote di camion degli anni Quaranta, abbandonate nel bel mezzo del Sahara da colonne militari scomparse nel nulla. Non sono nemmeno i resti di dischi volanti arenati nella sabbia dopo un atterraggio maldestro. E no, non sono neppure sculture postmoderne nate da un eccesso di creatività. Quelle che emergono, silenziose e ipnotiche, dal terreno roccioso del Tadrart Acacus, nella regione sud-occidentale della Libia, sono pietre. Ma non pietre qualsiasi. Sono formazioni geologiche perfettamente circolari, straordinariamente simmetriche, che sembrano modellate da un’intelligenza superiore, o quanto meno da una mano decisa a sfidare l’immaginazione.

Nel cuore del Sahara libico si cela un enigma che sembra uscito da un racconto di fantascienza. Tra i pendii del massiccio del Tadrart Acacus, in un’area soprannominata “Valle dei Pianeti”, emergono dal terreno decine — forse centinaia — di strutture rocciose perfettamente circolari, simili a gigantesche sfere. Queste sfere di pietre sono simili ai geodi. La rottura di alcune sfere – provocata dall’uomo o da millenarie erosioni? – ha creato questo strani monumenti. Alcuni sembrano pneumatici abbandonati nel deserto da un esercito di giganti; altre pietre, scavate al centro, ricordano occhi pietrificati rivolti al cielo. Ma cosa sono realmente queste formazioni?

Un paesaggio da fantascienza

Secondo fonti locali e osservazioni raccolte sul campo, le rocce della Valle dei Pianeti si estendono su una distanza di circa 30 chilometri, in una distesa priva di vegetazione e di corsi d’acqua, su un suolo completamente roccioso. Ogni “ruota” o sfera può raggiungere fino a 10 metri di diametro. E ciò che sorprende è che molte di esse non sono isolate, ma parte di un complesso più ampio, come se fossero nate da un unico fenomeno diffuso e continuo. Si ritiene che queste strutture derivino da migliaia di sfere geologiche — alcune ormai degradate — alcune delle quali, nel tempo, si sono trasformate in questi dischi quasi perfetti. Un comportamento simile, nel mondo della geologia, si osserva nei geodi o nelle nodularità di certi sedimenti antichi, ma le dimensioni e la quantità delle “ruote” libiche appaiono eccezionali.

Forme perfette, domande irrisolte

Viste da vicino, queste pietre hanno una forma sorprendentemente simmetrica. Cerchi concentrici, rilievi centrali, scanalature che farebbero pensare a una lavorazione artificiale. Alcune superano il metro di diametro, e la loro disposizione nel paesaggio è tale da evocare intenzionalità: raggruppamenti, allineamenti, orientamenti ripetitivi. Tuttavia, al momento non esiste uno studio scientifico pubblicato che certifichi un’origine antropica di queste formazioni.

Nel mondo accademico si propende per una genesi naturale. La spiegazione geologica più plausibile, al netto di analisi ancora da condurre in situ, è che si tratti di concrezioni minerali: strutture che si formano lentamente nel sottosuolo quando minerali come il ferro, il calcio o la silice precipitano attorno a un nucleo centrale, creando strati concentrici nel corso di milioni di anni. In particolare, la somiglianza con le cosiddette “Moqui marbles” (pietre sferiche del deserto dello Utah) o con le “concrezioni di Cannonball” del Dakota del Nord, fornisce un riferimento utile per spiegare la geometria delle pietre della Valle dei Pianeti.

L’ipotesi stromatolitica

Alcuni geologi suggeriscono anche una seconda ipotesi: le strutture potrebbero essere stromatoliti fossilizzate, antichi aggregati di cianobatteri che prosperavano in ambienti acquatici poco profondi più di un miliardo di anni fa. Dopo la scomparsa dell’acqua, il processo di litificazione avrebbe trasformato queste formazioni biologiche in pietra. Se così fosse, queste “ruote” rappresenterebbero i resti silenziosi di un ecosistema preistorico scomparso, un’eco fossile di un Sahara che fu verde.

Luoghi sacri? L’archeologia osserva

Eppure, c’è chi invita a non trascurare un’altra pista: quella culturale. Il Tadrart Acacus è celebre per le sue incisioni rupestri, risalenti fino a 12.000 anni fa, che raffigurano scene di caccia, danze tribali, animali estinti e figure antropomorfe mascherate. Questi segni dicono che la regione non fu solo transitata, ma vissuta intensamente. Per le popolazioni che abitavano queste terre, le rocce avevano spesso un valore sacro. Alcune conformazioni geologiche venivano scelte come altari, altre come marcatori di confini sacri o come riferimenti astronomici.

Le formazioni discoidi della Valle dei Pianeti, con la loro unicità e disposizione suggestiva, potrebbero essere state incorporate in rituali o letture cosmologiche. Il loro aspetto evocativo potrebbe aver stimolato interpretazioni simboliche: occhi divini, dischi solari, porte verso l’aldilà. In mancanza di reperti o di incisioni associate direttamente a queste pietre, rimane solo una traccia di suggestione. Ma nella preistoria del Sahara, simbolismo e natura erano tutt’uno.

Monumenti involontari

Non è la prima volta che strutture geologiche vengono scambiate per “monumenti” o oggetti artificiali. Il caso più celebre è quello della cosiddetta “testa del gigante” sull’isola di Pasqua, che si rivelò un affioramento basaltico modellato dagli agenti atmosferici. Ma è anche vero che in molte culture preistoriche — dai megaliti bretoni ai tumuli sahariani — le pietre naturali venivano scelte e disposte per evocare potenze superiori. Le pietre della Valle dei Pianeti potrebbero quindi trovarsi a metà strada tra geologia e culto: monumenti non creati dall’uomo, ma forse da lui letti e venerati.

In attesa della scienza

Ad oggi, la comunità scientifica non ha avviato campagne di studio sistematiche su queste formazioni. La Libia resta un territorio difficile da esplorare, sia per la vastità del Sahara, sia per le condizioni politiche instabili. Ma proprio per questo la “Valle dei Pianeti” rappresenta un terreno vergine, che attende geologi, archeologi e antropologi per raccontare una storia che ancora giace sepolta sotto la sabbia.

Nel frattempo, queste strane “ruote del deserto” restano lì, a testimoniare una bellezza fuori dal tempo. E continuano a sollevare domande: siamo davanti a capricci della natura o a pietre cariche di senso, ereditate da un popolo che ha imparato a leggere il mistero nel volto della roccia?

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Redazione
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa