Erano stati depositati da tombaroli, che probabilmente attendevano di tornare a prendere, forse nelle ore notturne, il bottino. Ferri antichissimi che hanno un mercato internazionale, specie se costituiscono un kit, cioè un insieme funzionalmente finalizzato a un dato fine produttivo.

Măgura Călanului, Romania. All’ombra di un albero solitario, sul margine scosceso di un’antica cava di pietra calcarea abbandonata, riaffiora la memoria silenziosa di un’arte dimenticata. È qui che un abitante del villaggio ha scoperto – e per fortuna subito consegnato alle autorità – un tesoro d’archeologia industriale e artigianale: un intero kit da scalpellino risalente all’età del Ferro preromana, perfettamente conservato, composto da quindici utensili d’uso quotidiano, ma oggi di inestimabile valore scientifico. Gli oggetti sono stati trovati nel bosco, nei pressi di un’affascinante parete di roccia, che costituiva una cava antica.
La scoperta, resa nota nel maggio 2025 e oggi al vaglio degli archeologi del Museo del Castello dei Corvino di Hunedoara, offre un tassello finora mancante allo studio della tecnologia e della cultura materiale della Dacia preromana (II sec. a.C. – 106 d.C.). Ma non solo: fornisce preziose informazioni sull’organizzazione del lavoro nelle cave, sull’autonomia tecnica degli artigiani locali e sulla capacità di questi ultimi di adattare strumenti e tecniche alla morfologia delle pietre e alle esigenze architettoniche di una società complessa e raffinata.
Un kit da lavoro, non un’offerta rituale
A differenza di altri ritrovamenti daci, sovente frutto di deposizioni rituali, nascondigli bellici o accumuli votivi, il kit di Măgura Călanului si presenta inequivocabilmente come un set da lavoro. È stato rinvenuto in prossimità della parete principale di una cava, in un punto in cui il terreno era stato recentemente smosso. Si sospetta che la sua emersione sia dovuta a un tentativo di scavo clandestino, interrotto dal timore di trasportare a valle gli oltre 11 chilogrammi del kit in ore nelle quali si possono incontrare guardie nel fondovalle.
La cava conserva tracce inequivocabili dell’uso di quegli stessi strumenti, con cavità da cuneo rimaste incomplete e superfici segnate da picconature finemente direzionate.
L’insieme degli utensili è variegato e specializzato: cinque picconi a doppia testa, due dei quali dotati di rare lame dentate; cinque cunei da spacco di diverse dimensioni; un martello per affilare; un’incudine da campo; uno scalpello piatto e una punta per rifiniture. Ogni strumento, pur nella sua apparente semplicità, racconta un uso specifico e una competenza tecnica avanzata. Il kit copre infatti tutte le principali operazioni della scalpellatura litica: dalla sgrossatura iniziale dei blocchi alla loro separazione, fino alla finitura superficiale e alla manutenzione costante degli strumenti da taglio.
I picconi dentati: una firma dell’ingegno dacico
Il dettaglio forse più intrigante del ritrovamento riguarda i due picconi con lame dentate. Si tratta di un modello che – almeno per ora – non trova paralleli né nel mondo greco né in quello romano, e che viene perciò interpretato come una tipologia specificamente dacica. L’effetto della dentatura? La possibilità di livellare con maggiore precisione le superfici dei blocchi, probabilmente destinati a edilizie bugnate di pregio, come quelle documentate nei maggiori siti fortificati daci dei Monti Orăștie.
La differenza rispetto agli strumenti romani, più standardizzati e spesso prodotti in serie, è rilevante: qui si coglie un’ingegnosità autoctona, un’abilità artigianale che non rinuncia all’invenzione, alla personalizzazione, alla ricerca della funzionalità nel dettaglio.
Cunei leggeri per pietre tenere: una cava da piccoli blocchi
Altro aspetto notevole è il peso contenuto dei cunei: tra 150 e 400 grammi, contro i chili richiesti dai grandi cunei per il marmo usati in ambito greco-romano. Ciò conferma che la cava trattava calcare tenero, facile da spaccare, ma che esigeva un’attenta modulazione della forza per evitare fratture indesiderate.
Le cavità da cuneo visibili ancora oggi sulla parete principale della cava corrispondono perfettamente alle dimensioni degli utensili ritrovati. Ciò suggerisce non solo che il kit sia effettivamente appartenuto a un artigiano attivo in quel sito, ma che il lavoro fosse probabilmente organizzato secondo criteri razionali: con un capomastro che selezionava il cuneo adatto per ciascun blocco, coordinando le squadre di operai nella fase di spacco.
Il banco da affilatura da campo: rarissimo in un contesto di cava
Uno degli aspetti più sorprendenti del ritrovamento è la presenza, all’interno del kit, di un martello da affilatura e di una piccola incudine da campo. Strumenti analoghi sono stati rinvenuti in contesti agricoli gallo-romani o britannici, dove venivano usati per affilare falci e altri arnesi da taglio. Ma questa è la prima attestazione di una stazione di affilatura portatile in un contesto di cava. Il dato è estremamente rilevante: suggerisce un livello elevato di autonomia operativa da parte degli scalpellini, che potevano mantenere l’efficienza dei loro strumenti senza dover ricorrere ogni volta alla bottega del fabbro. Una necessità pratica, certo, ma anche un’indicazione di professionalità e organizzazione.
Archeologia dell’artigianato: un nuovo capitolo
La scoperta, benché avvenuta in condizioni non ideali – fuori contesto stratigrafico – è di eccezionale valore scientifico. Consente di accedere in modo diretto e materiale alla realtà del lavoro artigianale in Dacia preromana, una realtà ancora troppo poco esplorata, spesso eclissata dalle grandiose narrazioni militari o dai fasti delle fortificazioni.
Gli utensili conservano tracce d’uso che potranno essere studiate con tecniche avanzate: analisi metallografiche, microscopia elettronica a scansione, spettrometria di massa, analisi delle microtracce di usura. Questi metodi permetteranno di comprendere non solo la composizione del metallo e la tecnica di forgiatura, ma anche il tipo di pietra lavorata, la pressione esercitata, la sequenza dei gesti.
Potranno forse anche rivelare se il kit fu abbandonato frettolosamente, come suggerisce il suo interramento approssimativo, o se venne intenzionalmente nascosto in attesa di essere recuperato.
Una pietra miliare per la storia delle tecnologie litiche
Questo set di strumenti, nella sua apparente umiltà, costituisce un punto di svolta per lo studio delle tecnologie litiche dell’età del Ferro in area danubiana. È una “cassetta degli attrezzi” che parla direttamente all’archeologo, senza intermediari simbolici, senza necessità di decifrare codici cultuali o iconografie: è il gesto quotidiano dell’artigiano che riaffiora dalla terra, insieme ai suoi strumenti, alle sue abitudini, alla sua cultura del lavoro.
La cava di Măgura Călanului, da sito dimenticato, si propone ora come uno dei luoghi chiave per indagare la filiera costruttiva dei Daci: dall’estrazione alla rifinitura, dalla progettazione all’esecuzione. E chissà che non si tratti solo del primo di molti altri kit in attesa di essere riportati alla luce. Perché, come insegnano gli stessi strumenti, ogni pietra nasconde una forma. Basta solo saperla vedere.