

Da cosa sono stati provocati? Come? Quando? Perché? Segni di un corpo sembrano apparire sulla lapis funeraria di una tomba trovata nelle scorse ore nel cuore della necropoli etrusca di San Giuliano, a Barbarano Romano – piccolo centro di 900 abitanti arroccato sulle alture tufacee della Tuscia viterbese, a circa 60 km a nord di Roma – dove gli archeologi hanno riportato alla luce una tomba inviolata risalente al VI secolo a.C., pienamente collocabile nella fase orientalizzante recente. In breve gli appassionati hanno diffuso fotografie del lapis con i segni dell’antica giacitura del corpo. Le immagini appaiono più nette aumentando l’esposizione. A sinistra vediamo segnati graficamente, alcuni contorni. Mentre nell’immagine di destra vediamo la fotografia intatta.

Nella camera funeraria, all’interno di un ambiente ipogeo scolpito nel banco di tufo, giace un letto funebre di pietra – un vero e proprio lectus sepulcralis – che conserva sulla propria superficie e suggestiva “orma del corpo”. Non si tratta di una decorazione o di una scultura: è un’impronta evanescente, una presenza resa assenza, la memoria visiva e materica della defunta che vi fu deposta oltre duemilaseicento anni fa.
Il letto eterno nella roccia
Un lectus sepulcralis integro, affiancato da recipienti bronzei. Elementi da regina per una tomba di eccezionale dignità
Il letto litico misura circa due metri ed è perfettamente rettangolare. L’assenza di coperchi o coperture lascia pensare a una deposizione “in chiaro”, secondo un rituale forse riservato alle élite femminili o sacerdotali.

Sulla superficie del letto, una velatura chiara sembra riprodurre le proporzioni di un corpo umano: visibili sono le forme delle gambe, la posizione delle ginocchia, forse persino i contorni dei piedi. Un’impressione quasi “sindonica”, evocativa, capace di riportare alla mente il velo funerario più celebre della storia cristiana, ma in una chiave arcaica e pagana.
Accanto al letto sono stati ritrovati un bacile in bronzo e un contenitore più piccolo, entrambi in posizione funzionale rispetto al corpo: non casuali, ma parte integrante del rituale. La tomba, intatta, offre un’occasione irripetibile per penetrare le pieghe più intime della liturgia funeraria etrusca.
L’ipotesi più affascinante: la “vernice degli dèi”
Oli, profumi e pigmenti come medium rituale. La scienza al servizio del mistero: ecco come il corpo ha lasciato il segno
Secondo l’équipe di studiosi e consulenti scientifici di Stile arte l’effetto sarebbe frutto dell’olio o o di un legante caseinico utilizzato all’interno dell’unguento profumato, probabilmente usato per la preparazione funeraria del corpo.
Nella tradizione etrusca, così come in quella greca e anatolica, i defunti venivano cosparsi di unguenti profumati: si trattava di miscele di oli vegetali (probabilmente di oliva o lino), resine e aromi preziosi (mirra, incenso, benzoino), spesso colorati con polveri naturali. L’olio, in quanto sostanza filmante, ha la capacità di comportarsi come una vernice finale: aderisce alla superficie, protegge ciò che ricopre, mentre le aree circostanti si degradano, si anneriscono o si macchiano col tempo. “E’ anche il segreto della pittura ad olio, che costituisce una svolta, per la sua luminosità e la sua trasparenza – dicono gli studiosi di Stile arte – E’ probabile che, in certe condizioni – quando la diffusione di un olio profumato su un corpo fosse copiosa; e qui doveva esserlo, considerata la ricchezza della sepoltura – l’olio distribuito sull’epidermide si appiccicasse al letto di giacitura, creando una traccia impermeabile ai liquidi a base d’acqua. L’olio, anche una volta che il corpo fu dissolto, continuò ad esercitare un’azione protettrice sulla lastra lapidea, proprio come fosse una vernice finale. Frattanto, come vediamo dalla presenza di un foro sulla lastra, ogni liquido venne smaltito. E ciò dovette favorire la permanenza, in nettezza, della traccia”.

Il letto litico, quindi, si sarebbe comportato come una tela pittorica in negativo: là dove il corpo giaceva, unto di profumi rituali, la pietra è rimasta chiara, quasi intonsa; tutto intorno, la superficie si è alterata per processi biologici, chimici o fisici. Il risultato è un “negativo” naturale del corpo, un’apparizione fossilizzata in forma di luce.
Vino o profumo? Il mistero dei recipienti bronzei
Due contenitori ai piedi del letto: strumenti di unzione o libagione? Una nuova indagine svelerà l’uso liturgico del corredo
Un aspetto particolarmente rilevante e ancora aperto alla ricerca riguarda i due recipienti ritrovati nella tomba: un bacile in bronzo, probabilmente dotato di ansa e orlo ribattuto, e un secondo contenitore più piccolo, forse un guttus o una pisside rituale.

Sarà fondamentale analizzarne i residui interni: potrebbero contenere tracce di vino – offerto in libagione alla defunta, secondo la tradizione simposiaca etrusca – oppure oli profumati utilizzati per l’unzione del corpo. Se confermata la seconda ipotesi, si tratterebbe di una prova decisiva a sostegno della teoria della “impronta per contatto chimico”. Inoltre, si aprirebbe un nuovo fronte interpretativo sulle relazioni fra cosmetica funeraria, sacralità del corpo e memoria rituale nel mondo etrusco.
Una tomba femminile dell’élite?
Corredo e struttura suggeriscono l’appartenenza a una figura autorevole: sacerdotessa, matrona o nobildonna?
L’orientamento della tomba, la monumentalità dell’impianto e la raffinatezza del letto litico fanno pensare a una figura femminile di alto rango.
Il VI secolo a.C. fu per l’Etruria un’epoca di fioritura artistica e spirituale, segnata da influssi greco-orientali (Corinto, Rodi, Mileto) e da una crescente codificazione dei rituali funerari. Ogni gesto aveva un valore, ogni oggetto una funzione: nulla è lasciato al caso.
Il corpo come oggetto sacro
Trattamento, esposizione e permanenza: un’idea etrusca della morte come trasfigurazione
L’eventuale permanenza dell’impronta sulla pietra può rivelare molto più di quanto appaia: ci troviamo davanti a una concezione della morte come trasformazione del corpo in segno, in emanazione simbolica, in presenza fossile che abita la soglia tra i mondi.
Non una semplice sepoltura, ma un rito del vedere: lo sguardo sul corpo della defunta, cosparso di aromi e lasciato esposto al buio dell’ipogeo, si è fissato nella pietra. Il letto litico non è quindi solo arredo funerario, ma altare della memoria. E la sua superficie, oggi, parla a chi sa guardare.
Un caso unico nel Mediterraneo
Raro esempio di “sindone etrusca”. La Tuscia si conferma laboratorio archeologico di livello internazionale
Non risultano, nel panorama mediterraneo, altri esempi noti di letti litici con impronta del corpo visibile. Sebbene si conoscano numerosi casi di letti funerari scolpiti nel tufo (soprattutto in area falisca e tarquiniese), l’evidenza di un negativo corporeo sulla superficie è fenomeno rarissimo. Ciò rendebbe la scoperta di Barbarano Romano eccezionale nel suo genere.
Il contesto della necropoli di San Giuliano, con le sue tombe monumentali a camera, le scalinate d’accesso e i frontoni scolpiti, si conferma uno dei luoghi chiave per lo studio delle aristocrazie etrusche d’età orientalizzante. Un sito di straordinaria potenza evocativa, dove natura, pietra e morte convivono da millenni in un equilibrio intatto.