Scavi archeologici condotti presso Barnwood, nella contea inglese del Gloucestershire, hanno riportato alla luce un ricco e stratificato complesso di strutture romane. L’indagine, curata da Cotswold Archaeology, rivela un angolo sorprendente della vita rurale nella provincia di Britannia tra il II e il IV secolo d.C.
L’indagine preventiva e il contesto dell’intervento
Nel quadro delle operazioni di sviluppo urbanistico presso il Centre Severn di Barnwood, nei pressi del torrente Horsbere, è stato compiuto un intervento di archeologia preventiva, previsto dalla normativa britannica per salvaguardare eventuali evidenze storiche nei territori destinati a nuovi insediamenti edilizi. L’area indagata si colloca in una zona strategica per la viabilità romana, presso un punto in cui la pianura della valle del Severn si apre verso le colline calcaree delle Cotswolds, a breve distanza dalla colonia di Glevum (Gloucester), uno dei centri romani più importanti della Britannia occidentale.
Già le precedenti indagini – incluse ricerche d’archivio, survey geofisici e scavi preliminari – avevano lasciato intendere la possibilità di una presenza romana strutturata. Ma i risultati emersi dallo scavo sistematico, condotto da Cotswold Archaeology, sono stati più articolati e rivelatori del previsto, restituendo un quadro insediativo di grande complessità cronologica e funzionale. L’indagine, recentemente conclusa, è ora documentata in un rapporto tecnico completo, i cui risultati saranno pubblicati anche nelle Transactions of the Bristol and Gloucestershire Archaeological Society. Il rapporto sarà consultabile online nella sezione Reports Online del sito di Cotswold Archaeology.
Un paesaggio agricolo intensamente antropizzato
Le evidenze più chiare emerse dallo scavo riguardano una rete fitta e articolata di recinti e confini agricoli, riconducibili all’organizzazione agraria di un fundus rurale romano. I fossati di delimitazione e le tracce di solchi indicano un territorio attentamente pianificato, probabilmente gestito da un’unità centrale con funzioni amministrative ed economiche. Alcuni tracciati si estendono ben oltre i limiti dell’area scavata, suggerendo l’appartenenza di ciò che è stato scoperto a un sistema agricolo su larga scala, forse gestito in forma latifondistica. Una grande proprietà, in cui si integravano lavori agricoli e artigianali. Quindi possiamo immaginare una serie di edifici dislocati nel fondo agricolo, con diverse funzioni.
I segni della domesticità e della vita quotidiana si affiancano a quelli della produzione e dello scambio. Sono state rinvenute due strutture, probabilmente edifici funzionali al deposito o alla trasformazione dei prodotti agricoli. La Struttura 2 e la Struttura 3, come sono state provvisoriamente denominate, presentano fondazioni in pietra e sono associate a ceramiche da cucina, frammenti di anfore da trasporto e piccole quantità di materiali metallici. I resti fanno pensare a un insediamento misto, in cui le funzioni residenziali convivevano con quelle produttive.
Deposizione strutturata e pratiche rituali

Tra le scoperte più suggestive si segnala una fossa contenente ceramiche romane, (nella foto, qui sopra) tutte accuratamente disposte e collocate secondo uno schema intenzionale, accanto ad alcune pietre lavorate. Gli archeologi hanno interpretato questa deposizione come un chiaro caso di structured deposition, una pratica diffusa in molti contesti dell’Impero, connessa a gesti rituali e offerte votive. Gli oggetti, tra cui piatti, brocche e coppe, appaiono integri o lievemente danneggiati, e il loro stato contrasta con l’idea di uno smaltimento casuale.
Queste forme di deposizione intenzionale possono avere molteplici significati: inaugurazione o dismissione di edifici, offerte per la fertilità del terreno, protezione simbolica delle attività economiche. Da quello che è possibile vedere dall’immagine, a nostro giudizio, potrebbe anche configurarsi la possibilità che la fossa potesse essere ritualmente collegata a una ridefinizione di uno spazio cimiteriale, come potrebbe indurre a ipotizzare anche ciò che potrebbe essere un segnacolo, cioè una sorta di lapide. La buca potrebbe essere stata scavata per contenere, con rispetto sacrale, materiali utilizzati per i pranzi rituali e i resti di una tomba, durante il riordino dell’area o nel corso della ridefinizione della stessa.

Un’altra ipotesi da valutare, sempre a nostro parere, è la possibilità che la pietra rastremata (la prima, alla nostra sinistra, nella foto) fosse un termen, che segnava un confine e che le offerte riguardassero Terminus, divinità che tutelava i perimetri delle proprietà e che, spesso, consentiva l’armoniosa convergenza tra vicini, che stagionalmente si incontravano per banchetti in onore del dio condiviso. Una risposta certa potrà essere data nel momento in cui sarà possibile stabilire l’ubicazione della fossa nel contesto della proprietà agricola.
La sepoltura femminile e le tracce della vita individuale
Di notevole interesse è anche la scoperta della tomba di una donna adulta, morta tra i 40 e i 44 anni, sepolta in posizione supina, con le braccia distese lungo il corpo. L’assenza di corredo funerario, ad eccezione dei chiodi delle calzature con cui fu inumata, è coerente con alcune pratiche funerarie diffuse nel tardo Impero, che tendevano a semplificare i rituali e a ridurre la quantità di oggetti deposti.
La datazione radiocarbonica colloca la morte della donna tra il 226 e il 336 d.C., in un momento di transizione politica e religiosa dell’Impero. La tomba, isolata, potrebbe far parte di una necropoli più ampia ancora da identificare o rappresentare una sepoltura individuale in ambito rurale, forse legata alla famiglia che gestiva l’insediamento. Il ritrovamento invita a riflettere sulla presenza femminile nel mondo rurale romano, spesso documentata solo attraverso il prisma maschile della proprietà e della funzione pubblica.
La fornace da calce: tecnologia e produzione nel paesaggio romano

Di notevole interesse è il ritrovamento dei resti di una fornace romana da calce, situata nella parte nord-orientale del sito (nella foto, qui sopra). Si tratta di una struttura in eccezionale stato di conservazione, probabilmente la prima di questo tipo mai scavata nel Gloucestershire. L’impianto è databile tra il II e il III secolo d.C. e misura circa 4 metri di diametro, con un’altezza residua di oltre 2 metri.
Costruita con blocchi di pietra incastonati in un letto d’argilla, la fornace presenta una camera di combustione dotata di una parete divisoria interna lunga circa 4 metri. Questa caratteristica architettonica avrebbe migliorato il tiraggio dell’aria e garantito una combustione più uniforme. L’intero impianto veniva probabilmente ricoperto di terra e torba durante l’attività, per mantenere il calore e controllare il processo di calcinazione.

La calce viva prodotta serviva per la realizzazione di malta, intonaci e cemento, materiali essenziali per la costruzione di case, magazzini, edifici pubblici e ville. L’esistenza di una fornace così sofisticata in un contesto rurale suggerisce un alto livello di specializzazione tecnica, nonché una domanda locale significativa per materiali da costruzione.
Un sito industriale ben integrato nel territorio romano
La posizione della fornace, tra le Cotswolds (ricche di calcare) e la Foresta di Dean (fonte di combustibili legnosi), appare perfettamente funzionale a una produzione locale sostenibile. La prossimità del fiume Severn facilitava lo spostamento dei materiali finiti verso i centri urbani vicini, mentre la qualità costruttiva suggerisce che il sito potesse essere collegato a progetti edilizi di alto profilo, come quello dell’edificio monumentale scoperto negli anni ’70 poco distante.

Una delle ipotesi formulate dagli studiosi è che la calce prodotta in loco possa essere stata utilizzata proprio per edifici dell’area urbana di Glevum o per grandi ville agricole nel circondario. In tal senso, Barnwood rappresenterebbe un nodo produttivo intermedio, al servizio di una rete insediativa complessa, capace di garantire autosufficienza edilizia e rapidità nella realizzazione di infrastrutture.
Fine dell’attività produttiva e riuso dell’area
Come spesso accade per le strutture industriali antiche, anche questa fornace sembra aver conosciuto una vita operativa relativamente breve. In seguito a un probabile disuso, fu smantellata, crollò o fu interrata, e la sua camera si riempì progressivamente di detriti e materiale di crollo. Un fossato romano, scavato successivamente e tagliante il lato nord-orientale della fornace, dimostra che già nel corso del III secolo la struttura era fuori uso e rientrava nel paesaggio archeologico del sito come rovina inglobata nel terreno agricolo. Gli usi temporalmente limitati delle fornaci, presso proprietà agricole, testimoniati anche da altri casi, potrebbe essere collegata alla funzione di servizio dell’impianto nel momento delle edificazioni, all’interno della proprietà stessa. E’ probabile che i grandi proprietari terrieri ordinassero la costruzione delle fornaci durante il periodo fondativo della proprietà stessa, quando venivano costruiti gli edifici residenziali, agricoli e artigianali a servizio del fondo. In questo modo potevano essere autosufficienti con gli approvvigionamenti di calce e, probabilmente, potevano anche commerciare il legante. Esaurita la spinta iniziale, le strutture cadevano spesso in disuso.
Il riuso del terreno, probabilmente a scopo agricolo, proseguì nel tardo periodo romano e si estese nel medioevo e in epoca post-medievale. Le tracce successive mostrano arature profonde, risistemazioni dei fossati e l’adattamento del terreno a nuove esigenze produttive. Il sito, dunque, attraversò una lunga continuità d’uso, che lo ha reso un osservatorio privilegiato per lo studio della persistenza delle forme del paesaggio agrario nella lunga durata.