Sembrava l’indizio di un mistero antico o forse di qualcosa d’impossibile.
Un cranio umano, emerso dai terreni di Catamarca, nell’Argentina nord-occidentale, ha catturato l’attenzione pubblica per la sua forma straordinariamente allungata.
La notizia è esplosa nel maggio 2025, dopo che gli operai di un cantiere urbano nella zona di San Fernando del Valle de Catamarca si sono imbattuti in resti umani sepolti in una camera funeraria.
Il reperto, inizialmente affidato alle autorità locali, è stato immediatamente sottoposto all’analisi del Grupo de Estudios Arqueológicos (GEA) dell’Universidad Nacional de Catamarca.
Sui social argentini, però, le immagini del cranio avevano già iniziato a circolare, innescando congetture spettacolari e fuorvianti.
Un reperto impressionante, ma umano
Le ipotesi più fantasiose sono rimbalzate su blog e canali informali: si parlava di mutazioni sconosciute, di specie alternative e persino di visitatori interstellari.
A confutare il sensazionalismo è intervenuta l’antropologia, con strumenti precisi e conoscenze già ben documentate: il cranio, pur nella sua morfologia sorprendente, è il risultato di una pratica rituale ben attestata nel mondo andino.
Gli specialisti hanno riconosciuto subito i segni inconfondibili di una deformazione cranica artificiale, pratica diffusa in numerose culture precolombiane dell’America Meridionale.
Una tradizione radicata nel mondo andino
Il cranio presenta un tipo di modificazione noto come deformazione tabulare eretta: la fronte e l’occipite risultano appiattiti verticalmente, mentre la volta cranica si sviluppa verso l’alto, generando una sagoma estrema ma controllata.
Questa trasformazione non è il frutto di patologie o alterazioni genetiche, bensì di una manipolazione effettuata nei primi mesi di vita, quando le ossa del cranio sono ancora elastiche.
Nel nord-ovest argentino, simili tecniche erano adottate da almeno due culture ben note:
- la cultura Ciénaga, attiva tra circa il 200 a.C. e il 600 d.C.,
- e la successiva cultura Aguada, fiorita tra il 600 e il 1000/1100 d.C.
Entrambe praticavano forme complesse di trasformazione del corpo a fini identitari, rituali e sociali.
Il cranio come segno di appartenenza
Le analisi condotte sul reperto e sul contesto funerario rivelano un trattamento speciale riservato al defunto.
I resti erano collocati in un doppio contenitore funerario, probabilmente parte di una sepoltura cerimoniale.
Gli archeologi sospettano che l’individuo appartenesse a un’élite sociale o religiosa.
Nelle culture andine, la modificazione del cranio costituiva un segnale visibile di appartenenza a un gruppo o a una casta.
La testa allungata poteva indicare lo status elevato, la funzione sacerdotale, o l’appartenenza a un lignaggio distinto.
Il corpo diventava così un codice, un medium attraverso cui la cultura si inscriveva nella carne e nelle ossa.
Un fenomeno globale, ma con declinazioni locali
Sebbene oggi possa stupire, la deformazione cranica artificiale è un fenomeno diffuso in tutto il mondo antico.
Si trovano crani allungati tra i Sarmati e gli Unni, nelle steppe dell’Eurasia; in Europa centrale e orientale, in contesti tardo-antichi e medievali; tra i nobili Maya; tra i Paracas dell’antico Perù, noti per le deformazioni più estreme.
Ciascuna civiltà ha caricato questa trasformazione di significati propri.
C’era chi lo vedeva come un segno di bellezza ideale, chi come un richiamo agli dei, chi come strumento di differenziazione sociale.
Nel caso di Catamarca, è probabile che il cranio sia appartenuto a un membro della cultura Aguada o a un gruppo affine, testimoniando la continuità di pratiche identitarie attraverso i secoli.
Archeologia e attualità: un dialogo tra corpi
La scoperta di Catamarca ci obbliga a riflettere non solo sul passato, ma anche sul presente.
In un mondo contemporaneo in cui il corpo è manipolato attraverso chirurgia, cosmetica, tatuaggi e impianti, emerge un filo diretto con le civiltà che ci hanno preceduto.
Il desiderio di modificare il corpo non è una novità, ma una costante antropologica.
Che si tratti di un segno di bellezza, di distinzione o di appartenenza, la volontà di trasformare il proprio aspetto attraversa le epoche.
Il cranio deformato di San Fernando del Valle de Catamarca non è dunque un enigma biologico, ma una testimonianza potente di ciò che l’uomo ha sempre fatto: usare il proprio corpo come strumento di linguaggio culturale.