Archeologia è emozione. Scoperto un oggetto stranissimo presso i resti di una fortezza dell’antica Roma. “Cosa è mai questa roba?” Rapida ricerca. Gli archeologi trovano la risposta. Apparteneva a un legionario. Dotazione personale. A che serviva? Cosa conteneva? Le risposte


Un becco metallico. Antichissimo, indiscutibilmente. Non è così facile capire, al volo di cosa si tratta perché la letteratura è scarna, sul tema, e pure a livello iconografico, di immagini, l’oggetto non appare frequentemente nelle pubblicazioni. Eppure era un oggetto fondamentale. Che fosse in dotazione o di provenienza personale, conteneva quanto di più importante un soldato, forse con mansioni di coordinamento anche di una piccola unità, poteva portare con sé. Denaro e ricordi

Il reperto viene portato alla luce nella Moravia meridionale ai piedi della fortezza di Hradisko u Mušova. È una porzione di una borsa da polso romana, probabilmente appartenuta a un soldato della Decima Legione. Un oggetto portataìo a contatto con la pelle, a protezione di ciò che contava: denaro, forse una chiave, piccoli oggetti di fortuna o amuleti da campo.

L’oggetto risale a 1.845 anni fa, all’epoca dell’imperatore Marco Aurelio, quando le legioni romane tentavano di consolidare i confini settentrionali dell’impero contro i popoli germanici. La borsa non è un pezzo qualsiasi. È, a oggi, la più antica del suo genere rinvenuta nella Repubblica Ceca e il primo esemplare scoperto in territorio nemico: una piccola capsula di identità e valore portata tra le linee.


Un’idea semplice quanto geniale
Il salvadanaio da avambraccio: funzionalità militare e ingegnosità romana

A illustrare l’importanza del ritrovamento è Balázs Komoróczy dell’Accademia Ceca delle Scienze: “Non era una borsa da cintura, né un marsupio ante litteram. Era più simile a un piccolo salvadanaio, stretto sul braccio. Il bronzo, sagomato a contenere una tasca, veniva completato da inserti in cuoio o tessuto. Il tutto aderiva saldamente all’avambraccio sinistro grazie a un sistema di tensione, lasciando la mano destra libera”.

In sostanza, era un bracciale-cassaforte. Un oggetto pensato per contenere ciò che non poteva essere perso: denari, forse lettere, piccoli amuleti. Nei documenti visivi e nei reperti da Vindolanda alla Pannonia, questi oggetti appaiono in modo ricorrente nei contesti militari, spesso con monete accanto. Eppure, quello di Hradisko è un caso a sé: si trovava al di là del limes – cioè del confine -, in un’area ostile. La sua presenza lì racconta di guerra e di logistica, ma anche della solitudine e della necessità di proteggere il poco che un uomo poteva chiamare “suo”. Ora è impossibile capire se il romano fosse finito in mano al nemico e se il bracciale-navicella, fosse stato gettato via, dopo essere stato svuotato. Be’, speriamo di no. Speriamo che si sia staccato, durante una marcia e che – pur con le vivide imprecazioni del soldato – sia finito nel terreno. La vita vale più dei sesterzi, Caio! Il contesto lascerebbe pensare a un’altra ipotesi. Che il punto fosse un presidio sul territorio. In un angolo il comandante di un’unità operativa poteva aver accumulato qualche moneta – poi trovata dagli archeologi – e altri oggetti. L’attacco del nemico costrinse la cellula romana a ripiegare rapidamente.


Quanto denaro poteva custodire il bracciale?
Il valore della borsa: cinquanta denari, una piccola fortuna

Gli archeologi stimano che la borsetta da polso potesse contenere circa 50 denari d’argento. Non abbastanza per rappresentare un anno di paga, ma comunque una cifra significativa. Per fare un paragone, un soldato semplice guadagnava, sotto Marco Aurelio, tra i 300 e i 400 denari l’anno.

Questa somma suggerisce che il proprietario fosse un optio o un sotto-ufficiale, magari incaricato di custodire fondi per l’intera contubernium (unità di 8 uomini). La presenza di questa borsa nel sito e le molte monete rinvenute attorno indicano una zona intensamente vissuta: un avamposto logistico, ma anche un luogo dove ogni soldato aveva un angolo per sé, dove riporre quel poco che lo legava al suo passato, alla sua terra, alla sua idea di futuro.


Tasche e contenitori nel corredo militare romano
L’abbigliamento non bastava: ecco perché servivano le borse

Molti si chiedono: ma i soldati romani avevano tasche? La risposta è no, almeno non nel senso moderno. Le tuniche e i sagum (i mantelli militari) erano privi di tasche cucite. Gli oggetti personali venivano conservati in sacche, appese alla cintura o trasportate nel sarcina (il fascio di marcia).

Per questo, le borse da braccio o da cintura diventavano fondamentali. Si trattava di strumenti indispensabili per portare con sé ciò che non poteva essere lasciato nei carriaggi. Ogni soldato aveva infatti pochi beni personali: qualche moneta, oggetti per la toeletta (specilli, pinzette, rasoi), una lucerna, utensili, uno specchio in metallo lucidato, e piccoli oggetti rituali. Ma soprattutto, portava con sé la memoria della casa: talismani, piccoli ex voto, magari una fibula ereditata.


Una borsa da braccio e la guerra interiore dei soldati
Portare sul corpo la speranza, la paura, il destino

Il frammento di Hradisko non è soltanto un oggetto pratico. È una rivelazione emotiva. Quando si pensa al soldato romano, lo si immagina disciplinato, obbediente, lontano da ogni fragilità. Ma questa borsa, stretta al braccio, ci racconta un’altra storia: quella di uomini che, in mezzo al fango e alla neve, custodivano piccole cose preziose non solo per il loro valore economico, ma per la carica affettiva.

A Vindolanda, in Britannia, lettere di commiato e inviti a feste private ci restituiscono soldati che scrivevano, amavano, desideravano. Anche questa borsa, in fondo, potrebbe aver contenuto un messaggio: poche righe scritte su una tavoletta cerata, da una moglie, da un padre, da un commilitone.


La ritirata e l’oblio
Quando Commodo ruppe il sogno della Marcomannia

Tra il 172 e il 180 d.C., la Decima Legione fu stanziata sul colle Hradisko. Marco Aurelio voleva fondare una nuova provincia: la Marcomannia. Un sogno imperiale coltivato tra battaglie logoranti e alleanze fragili. Alla sua morte, però, il figlio Commodo – più interessato ai lussi di Roma che alla fatica delle guerre – ordinò il ritiro delle truppe.

E così, nella fuga, nella confusione o nella morte, la borsa venne perduta. Rimase lì, sotto la terra fredda, mentre i secoli passavano. Rimase lì a raccontare, oggi, una vita spezzata e un Impero che indietreggiava.


Dove vedere il reperto
Un’esperienza sensoriale tra frammenti, ricostruzioni e monete

Oggi, il frammento in bronzo della borsa da polso è esposto al Centro Visitatori di Mušov a Pasohlávky, nell’ambito della mostra Porta dell’Impero Romano. Accanto al pezzo originale, i visitatori possono ammirare una replica fedele della borsa e alcune delle monete ritrovate nelle immediate vicinanze.

L’esposizione permette di toccare, almeno con lo sguardo, quella sensazione di presenza fisica che solo un oggetto indossato sa restituire. È un invito a immaginare: il rumore del metallo che batte sul cuoio mentre il braccio si muove, il peso del denaro durante una marcia estiva, la paura di perderlo in battaglia.


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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa