Archeologia. Emozioni forti, Trovano ora i resti di un ponte romano crollato 1800 anni fa e i doni per i defunti. Cos’hanno recuperato gli archeologi? Cos’era accaduto? Risponde chi sta scavando

Una pozza di dieci metri, aperta nella terra come ferita millenaria. Un ponte romano spazzato via da un’alluvione, simbolo del fragile equilibrio tra civiltà e natura nel delta olandese. E poi doni, preziosi e toccanti, gettati da mani umane in quella cavità acquitrinosa. Tra questi, una catena d’argento, forse per propiziare il favore degli dèi o lenire la paura. Inizia così la storia di uno dei ritrovamenti più suggestivi dell’archeologia dei Paesi Bassi romani.


Un disastro idraulico ai margini dell’Impero

La grande inondazione del II secolo e il crollo del ponte lungo la via militare del limes

All’inizio del II secolo d.C., una devastante inondazione colpì l’area dell’odierna Utrecht, allora un nodo nevralgico lungo il limes germanico, la linea di confine fortificata che delimitava l’Impero Romano a nord. I recenti scavi condotti nell’area della Merwedekanaalzone — in coincidenza con la costruzione di un nuovo quartiere — hanno permesso di rinvenire le tracce drammatiche di questo evento: una voragine larga 45 metri e profonda dieci, formatasi in seguito al crollo di un ponte romano di collegamento.

Quella che era una delle arterie più importanti dell’infrastruttura militare — la cosiddetta “A1 dei Paesi Bassi romani” — fu spezzata da una violenta ondata di piena. Il fiume, allora molto più capriccioso del Reno odierno, travolse l’opera e la lasciò trasformata in una pozza nera, profonda e minacciosa. I Romani non solo registrarono il danno, ma ne presero atto nel loro consueto modo: costruendo meglio.


Il “Piano Delta” di Adriano

L’intervento imperiale e le nuove infrastrutture in legno di quercia

Fu solo nel 125 d.C. che si avviarono i lavori di ricostruzione. A quel tempo Adriano, l’imperatore viaggiatore e visionario, aveva già attraversato quei territori nel corso del suo viaggio ispettivo lungo i confini dell’Impero. Secondo l’archeologo municipale Erik Graafstal, fu proprio la visita imperiale a stimolare un ambizioso programma di restauro delle infrastrutture nel Delta del Reno: un vero e proprio “Piano Delta” ante litteram.

Venne tracciata una deviazione stradale lunga 140 metri attorno alla fossa, accuratamente rinforzata con centinaia di pali di quercia, molti dei quali provenienti dalle Ardenne settentrionali. I reperti lignei recuperati — perfettamente conservati grazie all’ambiente umido — testimoniano la meticolosa progettazione romana: piloni di sostegno, palificate, argini, condutture di drenaggio, e persino innovativi tombini per convogliare le acque di piena sotto la sede stradale.


Un ponte nella palude

Il genio romano nella gestione dell’acqua e il “ponte di palude” del limes

La porzione di strada riemersa grazie agli scavi rappresentava una sfida ingegneristica: si doveva superare una depressione naturale, spesso soggetta a inondazioni. I Romani vi eressero un “ponte di palude” lungo 35 metri — una struttura ibrida tra pontile e viadotto — che permetteva di attraversare le zone più instabili del terreno.

Tutte queste opere erano progettate e realizzate dall’esercito romano, che lungo il limes non era soltanto forza militare, ma anche braccio operativo dell’apparato statale. Si trattava di vere squadre di genieri, capaci di costruire strade, ponti e fortificazioni in condizioni estreme. In un mondo dove l’acqua rappresentava tanto una risorsa quanto una minaccia, l’ingegno romano trovava qui il suo banco di prova.


La fossa come luogo di memoria

I doni votivi lasciati nella voragine e la ritualità del paesaggio

Ma c’è un elemento che supera l’interesse ingegneristico e tocca corde più profonde. Dopo il crollo e l’abbandono della struttura, la fossa lasciata dalla catastrofe idraulica non fu semplicemente ignorata. Al contrario, divenne un punto di riferimento nel paesaggio, quasi un “luogo del disastro” sacralizzato. Vi furono gettati oggetti, probabilmente a scopo votivo, in un gesto che unisce paura, rispetto e spiritualità.

Tra i reperti più sorprendenti vi è una catena d’argento — forse parte di una cintura ornamentale — e accessori militari finemente decorati con intarsi di pasta vitrea. Il gesto di offrire simili oggetti a una cavità naturale rievoca un rituale pan-europeo diffuso, in cui pozze, laghi e paludi fungevano da intermediari tra il mondo umano e le forze divine.

L’acqua, elemento di distruzione e rinnovamento, assumeva così una valenza sacrale. La “fossa del disastro” divenne una sorta di altare spontaneo, dove le offerte avrebbero potuto placare gli dèi del luogo o commemorare i caduti, umani e architettonici, di quel giorno remoto.


Un’eredità nascosta nel sottosuolo

La stratificazione della storia e la memoria del paesaggio urbano

Col passare dei secoli, la grande pozza venne lentamente riempita di torba e argilla. Ma il terreno instabile continuò a cedere fin quasi ai nostri giorni, a testimonianza della profondità di quella ferita nel suolo. Parte della deviazione stradale dell’anno 125 è ancora oggi conservata sottoterra, intatta e silenziosa, come parte di un enorme archivio stratigrafico in attesa di essere svelato.

Grazie alla collaborazione con un innovativo laboratorio urbanistico — inserito nel progetto edilizio della Merwedekanaalzone — oggi quella memoria archeologica può dialogare con l’architettura del futuro. Le aziende sviluppatrici, coordinate da Greystar e Boelens de Gruyter, hanno riconosciuto il valore simbolico e identitario di questa scoperta, scegliendo di valorizzarla come elemento chiave nella narrazione urbana del nuovo quartiere.


Archeologia partecipata e cittadinanza

Un cantiere che unisce volontari, studiosi e comunità

Uno degli aspetti più apprezzabili del progetto è la partecipazione attiva dei cittadini. Decine di volontari hanno preso parte alle operazioni di pulizia del legno romano, operando con spugne e strumenti delicati per conservare al meglio ogni traccia di lavorazione. L’archeologia diventa così non solo disciplina scientifica, ma anche strumento di coesione sociale e riscoperta delle proprie radici.

Come ha affermato l’assessore al Patrimonio Rachel Streefland, «la storia collega il passato al presente» — e lo fa anche, potremmo dire, attraverso le fratture del paesaggio. Quella fossa spalancata nel cuore dell’Utrecht romana non fu solo il risultato di un evento naturale, ma divenne luogo di memoria, di offerta, di rinascita.


Un tesoro ancora sepolto

Le potenzialità future di scavo e studio nel cuore del limes

Non tutto è stato ancora riportato alla luce. Una porzione significativa della fossa e della strada rimane intatta nel sottosuolo, come un libro non ancora sfogliato. La speranza degli archeologi è che le future indagini, rese possibili dall’eccezionale stato di conservazione, possano rivelare altri dettagli su quella giornata fatidica, sui rituali che seguirono e sulla vita lungo uno dei confini più delicati dell’Impero romano.

Condividi l'articolo su:
Redazione
Redazione

Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa