Uno splendido anello d’oro, romano, con pietra dura blu e verniciatura più scura, ai lati della gemma stessa, è stato trovato da un’appassionata di storia e di paesaggi, che ha salvato il gioiello dalla certa distruzione che sarebbe stata provocata dai trattori, nel campo. L’anello, già colpito dal vomere della macchina agricola, ha subito una notevole deformazione, che potrà essere eliminata con un paziente lavoro di restauro.

La splendida Vanessa Io
L’anello trovato nei giorni scorsi non presenta incisioni sulla pietra, come avviene, invece, in monili simili, della stessa epoca, che venivano utilizzati come sigilli per la corrispondenza o per recare divinità protettrici o “imprese figurate” – cioè fini che la persona stessa si poneva -. E’ invece probabile che l’anello volesse evocare un misterioso occhio azzurro-blu, spalancato verso gli altri e con una possibile funzione magica: l’intercettazione e l’annientamento di sguardi invidiosi. I colori utilizzati sono quelli degli “oculi” del pavone o – meglio – quelli di una farfalla, la Vanessa Io, chiamata anche “occhio di pavone”.


La vanessa io o occhio di pavone (Aglais io, Linneo 1758) è una ben nota e colorata farfalla.
Il suo epiteto specifico fa riferimento a Io, sacerdotessa, dalla leggendaria bellezza, di Giunone. E’ quindi possibile che il gioiello volesse alludere alla bellezza di chi lo indossava, che intercettasse sguardi maligni e che richiamasse la protezione da parte di Io e Giunone. I Romani raccoglievano, spesso, più significati simbolici, sovrapposti. A differenza di noi, non attribuivano a un simbolo un solo significato.

La pietra è stata lavorata in forma tronco-conica e il suo colore intenso è stato rafforzato attraverso la fascia di contrasto ottenuta con vernice scura, che ricorda, appunto, la farfalla occhio di pavone.
Il ritrovamento è avvenuto nei giorni scorsi in Inghilterra ed è stato annunciato in queste ore. Per ragioni di sicurezza, in attesa che gli archeologi possano svolgere indagini e verifiche, il luogo del ritrovamento non è stato ancora comunicato, anche se si pensa che sia nelle campagne non distanti da Londra, anch’esse ricche di vestigia romane.
Protagonista del ritrovamento è Jennie Manighetti, una signora di lontane origini italiane, madre dei cinque figli, appartenente a una famiglia di commercialisti. Il suo ruolo, nell’impresa di famiglia, è stato quello di Office Manager. È attivamente coinvolta nell’azienda fin dalla sua fondazione, avvenuta più di 20 anni fa. Fuori dall’orario di lavoro, Jennie si allena, cerca tesori, fa lunghe camminate. E’ appassionata di montagna e ha scalato la Ben Nevis, Scafell e Snowdon. Ha anche completato l’estenuante sfida delle Tre Cime dello Yorkshire in un solo giorno. E’ inoltre un’appassionata di trekking e di storia.

Inghilterra, una signora trova un anello romano: cosa prevede il Treasure Act, cosa deve fare e cosa potrà guadagnare
Una tranquilla passeggiata nei campi inglesi può trasformarsi in un’imprevista avventura archeologica. È quello che capita, non di rado, a cittadini britannici che, magari armati di un metal detector, si imbattono in reperti d’epoca romana, anglosassone o medievale. Cosa deve fare, ora, la signora? Può tenere l’anello? Quanto potrebbe guadagnare?
Mentre in Italia le ricerche non sono possibili, nel Regno Unito esse sono incentivate, all’interno di una cornice che permette il salvataggio di oggetti potrebbero essere distrutti, durante i lavori agricoli, all’interno di campi che non presentano più elementi stratigrafici, poiché cancellati dagli aratri. Quindi La signora potrà tenere l’anello? Le risposte si trovano tutte nel Treasure Act, una legge fondamentale per la tutela del patrimonio archeologico del Regno Unito.
Cos’è il Treasure Act?
Il Treasure Act 1996 (modificato nel 2023 con un aggiornamento significativo) è la legge che regola la scoperta di oggetti archeologici nel territorio inglese, gallese e nordirlandese. Non si applica in Scozia, dove vige un sistema diverso (basato sul principio del Crown right to treasure trove).
L’obiettivo del Treasure Act è duplice: da un lato tutelare i reperti di valore storico o culturale, garantendone l’acquisizione da parte di musei pubblici; dall’altro riconoscere un compenso equo al ritrovatore, incentivando le segnalazioni oneste e tempestive.
Quando un oggetto è considerato “treasure”?
Secondo la legge, un oggetto può essere definito “treasure” se risponde a determinati criteri. Per l’anello romano della nostra signora, si tratterebbe quasi certamente di un caso di “tesoro” ai sensi della legge, in quanto:
- Ha oltre 300 anni (i romani abbandonarono la Britannia nel V secolo);
- È composto in tutto o in parte da metalli preziosi (oro o argento);
- È un oggetto singolo, ma di valore storico significativo.
La nuova versione della legge, entrata in vigore nel 2023, estende il concetto di tesoro anche a oggetti non necessariamente preziosi, ma eccezionali dal punto di vista archeologico o culturale. Questa estensione, di fatto, incentiva la segnalazione all’autorità di oggetti antichi che, all’apparenza, non sembra abbiano valore intrinseco.
Cosa deve fare chi scopre un oggetto?
1. Notifica entro 14 giorni
La signora ha l’obbligo di segnalare il ritrovamento entro 14 giorni alla coroner’s office (l’ufficio del medico legale incaricato anche delle inchieste sui tesori archeologici), oppure al Portable Antiquities Scheme (PAS), una rete nazionale che raccoglie e cataloga i ritrovamenti volontari.
2. L’oggetto viene preso in custodia
L’anello sarà preso temporaneamente in custodia – spesso dal coroner, magistrato locale – , documentato, e sottoposto a una valutazione da parte di esperti archeologi.
3. Perizia e decisione
Una commissione indipendente valuta se l’oggetto rientra nella definizione di “treasure” e ne stima il valore di mercato. Se è considerato un tesoro esso viene proposto ad enti pubblici o di interesse pubblico.
4. Offerta ai musei
Se un museo desidera acquisire l’anello, può farlo versando una somma equivalente al valore stimato, in linea con il valore di mercato.
Cosa guadagna la scopritrice?
Se l’anello viene dichiarato “treasure” e un museo decide di acquistarlo:
- La signora riceverà una ricompensa economica pari, di norma, al 50% del valore stimato;
- L’altra metà andrà al proprietario del terreno. Se il cercatore è anche proprietario del terreno stesso, l’intera cifra è destinata a lui. In Italia, invece, il proprietario del terreno in cui si dovesse portare alla luce un reperto archeologico qualsiasi non è proprietario dell’oggetto stesso, che è, invece, dello Stato; stessa cosa vale se il ritrovamento avviene tra i muri di una casa in ristrutturazione; il proprietario di casa non è proprietario del tesoro antico che si può trovare all’interno di essa. Egli, da noi, deve denunciare il ritrovamento allo Stato, che poi procede alla requisizione.
- Se il cercatore, nel regno Unito, ha usato un metal detector, deve essere in possesso di un permesso da parte del proprietario del terreno, e agire legalmente (senza scavare su siti protetti o senza autorizzazione, altrimenti perde ogni diritto sull’oggetto).
E se il museo non fosse interessato?
Se nessuna istituzione decide di acquistare l’anello, e dopo la procedura viene formalmente rilasciato, la signora potrà tenerlo o venderlo legalmente.
Tuttavia, anche in questo caso, una documentazione ufficiale sarà allegata all’oggetto, utile per la vendita presso case d’asta o antiquari, garantendo trasparenza e legittimità.
Un sistema virtuoso?
Il modello inglese, con il Treasure Act e il PAS, è considerato uno dei più equilibrati in Europa: incoraggia la collaborazione tra privati cittadini e autorità scientifiche, evita la dispersione del patrimonio e valorizza l’archeologia pubblica. In molti altri Paesi europei, invece, il ritrovatore non ha diritto ad alcuna ricompensa, e l’intero oggetto viene confiscato dallo Stato. Questo spesso disincentiva le segnalazioni o alimenta il mercato nero.