Una foto, scattata ora, dischiude un mondo. Uno iato, un passaggio. Da qui, sul suolo polveroso a un “dentro oscuro” che sarà visibile non appena la cazzuola degli archeologi si farà più insistente.

Rinvenuto durante uno scavo in una sepoltura, l’umile contenitore potrebbe svelare un universo di gesti rituali e memorie familiari. Che ruolo aveva davvero? E cosa ci racconta del passato romano di Salacia?
Un vaso che affiora dal tempo
Nella terra bruna dell’Alentejo, sotto la superficie appena incisa da archeologi pazienti, un piccolo vaso romano si è rivelato come un sussurro del passato. Il ritrovamento è avvenuto ad Alcácer do Sal, nel corso di una campagna condotta da ERA Arqueologia, ed è subito apparso integrato in un contesto sepolcrale. Il vaso — infisso verticalmente nel terreno, con il bordo rifinito che affiora alla luce — sembra dialogare con il sottosuolo, come se fosse un canale tra i vivi e i morti.
A un primo sguardo, l’oggetto può apparire umile. Eppure, per gli archeologi e gli studiosi del mondo romano, ogni forma, ogni collocazione ha un significato. Proviamo allora a leggere questo piccolo contenitore come un testo inciso nella terra, cercando di comprenderne il lessico nascosto.
Un vaso rituale? Le ipotesi archeologiche
Il vaso visibile nella fotografia presenta una forma cilindrica, semplice, priva di decorazioni evidenti, ma finemente rifinito. La sua posizione, conficcata nel terreno in verticale, fa pensare a un’integrazione deliberata nel rituale funerario. Ecco le ipotesi principali:
- Fistula libatoria: è forse la spiegazione più affascinante. I Romani praticavano infatti il rito della libatio, versando liquidi (vino, latte, miele, unguenti) nella tomba tramite contenitori fissi come questo. Il vaso poteva dunque fungere da condotto votivo, mantenendo aperta la comunicazione tra i vivi e i defunti. Per certi aspetti si può ritenere – pur in carenza di testimonianze – che questo condotto avesse la funzione di creare una sorta di comunicazione nella “clausura” attraverso la quale i viventi potessero sussurrare dolci parole al defunto. Parole e profumi.
- Vaso di corredo o deposito rituale: il contenitore potrebbe aver custodito cibo, spezie, oli o perfino monete, come parte dell’arredo tombale destinato ad accompagnare il defunto. Anche in questo caso, il gesto del seppellire un oggetto aveva un valore più simbolico che materiale.
Salacia, una città romana ricca e rituale
La moderna Alcácer do Sal, nell’antichità nota come Salacia Urbs Imperatoria, fu una città romana di primo piano, affacciata sul fiume Sado. Nota per le sue saline, che diedero probabilmente il nome alla città, essa prosperava grazie a un’economia mista basata su agricoltura, pesca, commercio fluviale e produzione del sale.
Salacia era dotata di infrastrutture complesse: ville suburbane, impianti termali, strade lastricate, e almeno una necropoli monumentale, Olival do Senhor dos Mártires, attiva dall’età del Ferro fino all’alto Medioevo. Le tombe ritrovate qui restituiscono un’immagine dinamica della vita (e della morte) nell’Occidente romano.
Nel contesto funerario romano, la relazione con i defunti era continua: si ritornava sulla tomba per commemorare, versare offerte, “nutrire” simbolicamente i trapassati. Il vaso di Alcácer, con la sua bocca aperta al cielo, sembra esser nato per questo: ricevere e trasmettere memoria.
Olival do Senhor dos Mártires: una necropoli che attraversa i secoli
L’area dove si trova il vaso è associabile al sito archeologico di Olival do Senhor dos Mártires, necropoli frequentata per secoli. Le sue sepolture presentano una gamma variabile di riti: incinerazione e inumazione, tombe a cassone o semplici fosse, spesso dotate di corredi. Tra gli oggetti ritrovati si annoverano ceramiche fini e popolari, lucerne, armi, monete, anfore e — come in questo caso — piccoli vasi dal possibile valore rituale.
Queste tombe raccontano una società che riconosceva nel rito funerario un momento di consolidamento dell’identità familiare, e in cui la cura del sepolcro era una pratica collettiva, pubblica e ciclica.
Il mistero che affiora dal vaso
Il piccolo vaso romano di Alcácer do Sal resta, per ora, un oggetto sospeso tra funzione e simbolo. Potrebbe essere stato una voce muta dei defunti, un ricettacolo di memorie, un contenitore votivo o un semplice oggetto quotidiano riutilizzato in chiave rituale. Ogni ipotesi è ancora aperta, ma ogni ipotesi ci riporta a una verità evidente: anche il più modesto dei reperti può parlare, se sappiamo ascoltarlo.
Nel silenzio del suolo che lo ha custodito per quasi duemila anni, quel vaso continua a raccontare una storia — discreta, profonda e tutta da scoprire.