Nel cuore della necropoli di via Appia Antica, al civico 86, gli archeologi del progetto “Appia Antica 39” hanno riportato ora alla luce – sotto la direzione di Fabio Turchetta – un frammento significativo del passato romano: il coperchio dell’ara funeraria di Caio Ofilio Ianuario. Questo ritrovamento completa l’altare marmoreo scoperto nel 2023, offrendo nuove prospettive sulla vita e le pratiche funerarie dell’antica Roma.

Un gesto congelato nel tempo
“Uno dei primi ritrovamenti di questa VI campagna di scavo sulla via Appia, nei pressi del civico 86, è stato il coperchio dell’ara in marmo di Caio Ofilio Ianuario, che avevamo rinvenuto nel 2023” – affermano in queste ore sui social gli archeologi del gruppo “Appiantica39 – Scavo Archeologico di Via Appia Antica 39, Roma”.
“Il coperchio – proseguono gli studiosi – è stato rinvenuto di fronte all’ara, a una ventina di centimetri dalla stessa, nella posizione in cui è stato per circa 1800 anni: sul pavimento dove qualcuno l’ha scaraventata in fretta per controllare se la sepoltura all’interno dell’altare contenesse preziosi da depredare prima di abbandonare il sito”.

Un gesto antico, profanatore, eppure umano, quasi riconoscibile. Un tentativo di forzare il silenzio della morte alla ricerca di ricchezze tangibili. “Non sapremo mai dire cosa trovò effettivamente il ladro – affermano gli archeologi – a noi resta l’emozione di un gesto congelato nei secoli dalla terra”.
Il contenuto di un’ara funeraria
Le are funerarie romane, come quella di Caio Ofilio Ianuario, erano monumenti commemorativi destinati a onorare i defunti. Realizzate in marmo o in pietra, queste strutture avevano una funzione più complessa rispetto a un semplice cippo: contenevano al loro interno le ceneri del defunto, frutto del rito della cremazione, e spesso oggetti di accompagnamento.
All’interno di simili strutture potevano essere rinvenuti:
- Le ceneri del defunto, raccolte in un contenitore di piombo, ceramica o vetro, o direttamente depositate nella cavità interna dell’ara.
- Unguentari: piccoli contenitori in vetro o ceramica contenenti oli profumati e balsami. Alcuni unguentari, deformati dal calore della cremazione, sono stati ritrovati all’interno delle urne, a conferma del loro impiego nel rito e del loro collocamento accanto al corpo anche durante la combustione.
- Monete, offerte rituali, a volte interpretate come “obolo per Caronte”, il traghettatore infernale. Una singola moneta, collocata in bocca o accanto al defunto, aveva il compito simbolico di garantire il passaggio nell’aldilà.
- Oggetti personali: gioielli, anelli, specchi, piccoli amuleti, o strumenti legati all’identità e alla professione del defunto. Non è raro trovare, ad esempio, piccoli strumenti musicali o oggetti miniaturizzati con funzione votiva o simbolica.
Il fatto che qualcuno abbia forzato l’ara per depredarla mostra quanto questo tipo di monumenti funerari, anche se non sempre contenevano veri e propri tesori, fossero percepiti come potenzialmente ricchi di oggetti preziosi.
Guardate i fori nel coperchio. A che servivano?

Le are erano sia altari destinati al culto che, in alcuni casi, strutture di devozione familiari che potevano contenere le ceneri del defunto. La parte superiore delle are presentava una superficie piana o, talvolta, un incavo: si trattava della zona destinata ad accogliere la fiamma rituale, cuore simbolico e funzionale della cerimonia. altri casi si trovavano fori di scolo, destinati al versamento delle libagioni, che appaiono sulle mensae sepulcrales, i tavolini votivi funerari.
Quindi è probabile che anche questi fori servissero per versare unguenti o vini profumatissimi all’interno del cilindro cavo racchiuso nel parallelepipedo.
Le superfici laterali delle are erano ornate da rilievi raffiguranti gli strumenti del rito: la patera, una scodella larga e poco profonda utilizzata per spargere i liquidi sull’altare, e l’urceus, – la vediamo anche qui – una piccola brocca che conteneva la sostanza da versare. La parte frontale, infine, accoglieva l’epigrafe dedicatoria oppure immagini figurate, completando così la funzione comunicativa e rituale del monumento.
Chi era Caio Ofilio Ianuario?
Il nome inciso sull’altare – Caio Ofilio Ianuario – rappresenta oggi uno dei pochi elementi tangibili della sua identità. Eppure, questo nome ci apre uno spiraglio sulla storia della gens Ofilia, o Ofillia, una famiglia plebea romana.
Il nomen Ofilius è documentato già in epoca repubblicana, forse di origine osca o sannitica, e compare sia a Roma che in Campania. Alcuni membri noti della gens furono attivi durante le guerre sannitiche. Tra questi, si ricorda un Ofilius Calavius, leader campano, e soprattutto Aulo Ofilio, celebre giurista del I secolo a.C., in rapporti con Giulio Cesare e Cicerone.
Il nome Ianuarius, utilizzato come cognomen, è legato al mese di gennaio e alla figura del dio Giano, e ricorre in ambito romano soprattutto tra liberti o famiglie di origini servili, diventati successivamente cittadini romani. Non è da escludere, quindi, che Caio Ofilio Ianuario fosse un liberto, o figlio di liberti, che aveva raggiunto uno status tale da permettergli una sepoltura lungo la prestigiosa via Appia, “regina viarum”.
Un’archeologia partecipata
Lo scavo di via Appia Antica 39 si inserisce in un progetto archeologico più ampio, guidato dall’archeologa Rachele Dubbini dell’Università di Ferrara. Caratteristica distintiva del progetto è l’archeologia partecipata, che coinvolge attivamente cittadini, appassionati, studenti e studiosi, in un dialogo continuo tra ricerca e divulgazione.
Attraverso questo approccio, il lavoro sul campo diventa anche occasione di racconto e costruzione condivisa della memoria collettiva. E così, ogni frammento ritrovato – come il coperchio dell’ara di Ianuario – diventa non solo un oggetto da studiare, ma un testimone che parla alle generazioni presenti.