Archeologia. La Procura indaga sui Bronzi di Riace. Anomalie. Archeomafia? Ma le statue posso “parlare” attraverso il bronzo? Perché hanno la Sicilia nella “memoria” e sono state trovate in Calabria? Archeomafia? Rispondono gli esperti

Ora, la Procura di Siracusa, come sappiamo, ha aperto un fascicolo conoscitivo – senza indagati – per fare chiarezza su un mosaico di fatti che, se confermati, riscriverebbero uno dei capitoli fondamentali del nostro immaginario culturale.

In sintesi. Quello che, all’inizio degli anni Settanta, era un ragazzo vide, nel mare di Brucoli, in Sicilia, sommozzatori e uomini su lance di servizio. Dal mare, secondo la testimonianza di questa persona, furono recuperate furtivamente quattro statue. Due di esse erano quelle che, dopo un lungo trasporto – furono trovate a Riace, in Calabria? Indagini di tipo tecnico – basate sullo studio dei metalli – portano alcuni esperti ad affermare che i due Bronzi di Riace rivelano proprio il contatto con i terreni e la spiaggia di Brucoli. La somma della testimonianza di quell’ex ragazzo e dei dati di laboratorio porta ad aprire un’indagine ufficiale.

Sarà anche – o soprattutto – una questione di analisi materiali, di laboratorio, di metalli, terre e saldature. Perché se è vero che i Bronzi sono tra le opere più studiate e restaurate dell’intero patrimonio antico, è altrettanto vero che alcuni dettagli tecnici della loro produzione – la fusione, l’assemblaggio, i materiali usati – stanno rivelando ora, forse per la prima volta, il loro potenziale indiziario.

Dalla scorsa estate è tornato a serpeggiare, con l’ostinazione tipica delle verità sommerse, uno degli enigmi più fitti dell’archeologia italiana: i Bronzi di Riace – emblemi mondiali della statuaria greca – potrebbero non essere stati inizialmente trovati a Riace.

Le statue, secondo un’ipotesi investigativa che mescola indizi, testimonianze e nuovi dati scientifici, sarebbero state “portate” nel luogo del ritrovamento del 1972, forse dalla criminalità organizzata, con l’intenzione di renderne più agevole il recupero da parte di trafficanti d’arte internazionali. Un’ipotesi parallela è che i Bronzi siano stati una forma di pagamento della mafia siciliana alla calabrese ‘ndrangheta.

E allora, come si stabilisce scientificamente dove siano stati fusi e dove invece assemblati due capolavori come questi?


Un nuovo scenario: Brucoli e le tracce sommerse

Lo Speciale Tg1 andato in onda domenica su Rai 1 ha rilanciato con forza l’ipotesi siciliana. Al largo della baia di Brucoli, nel Siracusano, alcuni testimoni oculari — tra cui un uomo che all’epoca dei fatti era un bambino — raccontano di aver visto operazioni sospette: sub, imbarcazioni, statue coperte caricate frettolosamente a bordo. Una scena che sembra uscita da un film neorealista, ma che trova riscontro nelle ricerche dello studioso Anselmo Madeddu, medico ma anche esperto di bronzistica greca, che ha collaborato con le Università di Catania e Ferrara per analizzare in profondità i materiali dei Bronzi.

Il punto centrale dell’ipotesi riguarda una discrepanza tra le “terre” usate per l’assemblaggio e quelle interne alla fusione. Secondo Madeddu, infatti, le analisi geochimiche suggeriscono che i materiali impiegati per saldare le parti delle statue provengano da un ambiente diverso rispetto a quello in cui è avvenuta la loro fusione originale. E proprio questi dati, se confermati da ulteriori analisi incrociate, potrebbero far pendere la bilancia verso la Sicilia orientale.


Dalla cera persa all’indagine geochimica: come si ricostruisce l’origine di una statua greca

Per capire la portata di questa scoperta, è necessario fare un passo indietro e risalire alla tecnica costruttiva della statuaria bronzea antica: la fusione a cera persa.

In sintesi, il procedimento consisteva nel creare un modello in cera della statua, che veniva poi ricoperto da un involucro di argilla o terra refrattaria. Una volta riscaldato, la cera si scioglieva, lasciando uno stampo vuoto nel quale veniva colato il bronzo fuso. Una volta raffreddato, si rompeva l’involucro per liberare la scultura, che veniva poi rifinita, cesellata e, spesso, assemblata da più parti. Gli arti, la testa, il torso, le mani erano frequentemente fuse separatamente e poi unite con giunti metallici e saldature.

E qui entra in gioco la geochimica.

Ogni suolo — e ogni impasto argilloso — ha una firma chimica specifica, una sorta di codice genetico costituito da isotopi, minerali e composizione organica. Analizzando le tracce delle “terre” rimaste intrappolate all’interno delle statue (quelle dell’involucro originale) e confrontandole con quelle usate per le saldature o per riempimenti successivi, si può cercare di stabilire se le due operazioni — fusione e assemblaggio — sono avvenute nello stesso sito o meno.

Nel caso dei Bronzi di Riace, Madeddu ha rilevato che le terre utilizzate per l’assemblaggio mostrano una forte somiglianza con i sedimenti del fondale marino dell’area di Brucoli. Si tratterebbe quindi di un indizio geochimico che legherebbe la fase di montaggio delle statue alla costa siracusana, o almeno a un sito ad essa molto prossimo.


Mosaici di indizi: la fusione in Grecia, l’assemblaggio in Sicilia?

Se si accetta l’ipotesi che fusione e assemblaggio siano avvenuti in luoghi diversi, si apre un ventaglio affascinante di possibilità storiche e commerciali. Non sarebbe inusuale che una statua fosse fusa in Grecia — forse ad Argo o a Corinto, centri noti per la produzione bronzea — e poi inviata, anche in forma smontata, a un committente siciliano, magari una polis tirrenica o ionica.

Ma qui entra in scena l’archeomafia, o almeno il sospetto di una sua lunga ombra.

Il racconto del testimone che, bambino, avrebbe visto il recupero clandestino di almeno quattro statue (non solo due) lascia intendere un traffico di ben più ampio respiro, in cui i Bronzi di Riace sarebbero soltanto i superstiti fortuiti di un’operazione non riuscita. Secondo questa ricostruzione, le statue vennero trasportate da Brucoli verso Riace per poi essere prelevate in un secondo momento da mezzi subacquei compiacenti. Ma il caso volle che Stefano Mariottini, in immersione amatoriale il 16 agosto 1972, avvistasse un braccio affiorante dal fondale. Il resto è storia, ma forse non tutta.

A quando risalgono i Bronzi di Riace?

I Bronzi di Riace sono datati generalmente tra il 460 e il 430 a.C., cioè in piena età classica greca. Gli studiosi, basandosi sullo stile e sulle tecniche scultoree, li associano alla fase di transizione tra il tardo severo e il pieno classicismo.

  • Il “Bronzo A” (detto anche il “Guerriero”) presenta tratti più rigidi e muscolari, tipici dello stile severo.
  • Il “Bronzo B” (detto anche l’“Arciere” o il “Giovane”) è più morbido e naturalistico, vicino agli ideali post-fidici.

Queste differenze suggeriscono che le due statue non siano coeve: si ipotizza una distanza temporale anche di una ventina d’anni tra le due. Potrebbero appartenere a due cicli scultorei differenti, oppure a un medesimo programma decorativo concepito su più fasi.

Secondo alcune ipotesi attribuzionistiche:

  • Il Bronzo A potrebbe essere opera di Mirone o di uno scultore della sua cerchia.
  • Il Bronzo B è stato talvolta accostato alla scuola di Fidia o di Policleto, sebbene manchino prove definitive.


Ipotesi, prove e i rischi della retrodatazione investigativa

La Procura di Siracusa si muove con prudenza: nessun indagato, solo una fase conoscitiva. Ma la mole di testimonianze accumulate negli ultimi mesi – e rilanciate dalla stampa e dalla televisione – rende il fascicolo qualcosa di più di una semplice curiosità giudiziaria.

Se i materiali prelevati dai Bronzi (terra delle cavità interne, saldature, riempimenti, tracce minerali) continueranno a fornire dati coerenti con le sabbie e i fanghi siracusani, la tesi siciliana non potrà più essere ignorata. E ciò aprirebbe scenari sorprendenti: la possibilità che i Bronzi siano transitati, per secoli o decenni, da porti commerciali, da fondali ignoti, da magazzini clandestini. E che, infine, siano stati posizionati — forse gettati — a Riace per mascherarne la provenienza e predisporne il recupero.

E se il trasporto fosse avvenuto nell’antichità? Dalla Grecia alla Sicilia. Dalla Sicilia alla Calabria? Distanza di Brucoli da Riace? Città antiche del circondario di Riace?

LuogoTipoDistanza da Riace
Brucoli (Sicilia)Frazione marina, ipotetico sito del primo ritrovamentoca. 160 km via mare
Locri EpizefiriPolis greca, poi municipium romanoca. 30 km
KaulonPolis acheaca. 20 km
Reggio Calabria (Rhegion)Colonia calcidese, città importante in età romana e tardoanticaca. 110 km


Come si determinano le aree di fusione e assemblaggio: il contributo delle analisi metallurgiche

L’ipotesi avanzata da Anselmo Madeddu e da altri studiosi è fondata su tecniche di indagine sofisticate, che combinano analisi metallografiche, spettrometria di massa a plasma accoppiato (ICP-MS) e microscopia elettronica a scansione (SEM-EDS) per identificare con altissima precisione la composizione chimica del metallo bronzeo.

Il bronzo antico è una lega, in genere costituita da rame e stagno, con possibili tracce di piombo, zinco, arsenico, antimonio, nichel e altri elementi in quantità variabile. Ognuno di questi elementi può fornire una “firma” composizionale legata a una precisa zona di estrazione e lavorazione. In altre parole, ogni forno, ogni bacino metallurgico, ogni officina poteva avere una “ricetta” particolare, riflessa nei rapporti isotopici e nelle impurità presenti nella lega.

Le differenze chimiche nei Bronzi di Riace

Le analisi effettuate su varie sezioni dei due Bronzi (soprattutto durante i restauri degli anni Duemila) hanno evidenziato quanto segue:

  • Il torso, le gambe, la testa e le braccia presentano composizioni leggermente diverse, pur essendo stilisticamente coerenti.
  • In particolare, le giunzioni — i punti in cui le parti fuse separatamente sono state assemblate — mostrano diverse proporzioni di piombo e stagno, e in alcuni casi la presenza di tracce metalliche non coerenti con le componenti principali.
  • Questo suggerisce l’impiego di leghe secondarie, prodotte (forse localmente) per unire le parti, mentre i segmenti principali potrebbero essere stati fusi altrove, secondo un piano progettuale unitario.

Da qui nasce l’ipotesi: le statue furono fuse in Grecia, in uno dei grandi centri bronzistici della madrepatria (Corinto? Argo? Atene?), poi smontate per il trasporto e infine rimontate, o almeno parzialmente assemblate, in un altro sito, possibilmente in Sicilia.


Analisi isotopiche del piombo: un dettaglio decisivo

Uno dei metodi più potenti usati negli ultimi decenni è l’analisi isotopica del piombo (Pb) presente nella lega bronzea. I rapporti isotopici del piombo — in particolare quelli tra ^206Pb, ^207Pb e ^208Pb — non cambiano con la fusione e conservano le caratteristiche del giacimento minerario da cui il metallo è stato estratto. Confrontando questi rapporti con le banche dati geochimiche di miniere antiche conosciute, si può risalire alla zona di provenienza del metallo.

Nel caso dei Bronzi di Riace:

  • I segmenti principali (torso e gambe) sembrano utilizzare una lega compatibile con metalli dell’Egeo (Grecia continentale o isole del Dodecaneso).
  • Alcune giunzioni e riempimenti interni presentano invece un piombo isotopicamente compatibile con fonti dell’Italia meridionale o della Sicilia orientale.

Questa discrepanza ha fatto ipotizzare che la fase di assemblaggio — o almeno una fase di restauro antico — sia avvenuta in un contesto geografico diverso rispetto a quello della fusione.


Terre, malte e materiali di riempimento: un ulteriore livello di indagine

Un altro elemento spesso trascurato ma oggi molto studiato riguarda i materiali di riempimento all’interno delle statue. In molti casi, gli antichi artigiani utilizzavano una miscela di materiali terrosi, sabbia, frammenti ceramici e persino fibre vegetali per stabilizzare le cavità interne o riempire zone vuote.

Nel caso dei Bronzi di Riace, le analisi effettuate sulle terre di riempimento hanno evidenziato una firma geochimica affine ai sedimenti del fondale di Brucoli. Questo dato, unito alle testimonianze e alle anomalie metalliche, ha rafforzato la tesi che una parte importante della manipolazione finale sia avvenuta in Sicilia.


Il contesto antico: commercio, restauro, spoliazioni

È utile ricordare che nel mondo antico era del tutto normale che statue venissero spostate, riutilizzate, restaurate. Se i Bronzi vennero fusi in Grecia e poi trasportati in Sicilia — per ornare un santuario, un’agorà o un palazzo nobiliare — non vi sarebbe nulla di anomalo. Ma la presenza di materiali locali (metallo e riempimenti) indica che qualcosa fu modificato una volta giunti a destinazione. Le ragioni potevano essere molteplici: adattamenti strutturali, esigenze estetiche, danneggiamenti durante il trasporto.

Oppure, come suggerisce l’indagine attuale, una ricollocazione moderna con finalità illecite, orchestrata da reti criminali interessate a rendere più “digeribile” la vendita internazionale delle statue, camuffandone l’origine.


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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa