Archeologia. L’Arca di Noè non era una nave. Studiosi italiani avanzano un’ipotesi sulla vera natura della mitica struttura di salvataggio. Mentre sul monte Ararat gli americani iniziano gli scavi di un’area dalla forma di barca. Cosa troveranno? Una vicenda appassionante

L’Arca di Noè non era una nave. Una nuova chiave di lettura archeo-linguistica riapre il caso, mentre partono gli scavi a Durupınar, su una formazione rocciosa, forse sagomata dall’uomo in forma di barca. Che non è certo una nave fossilizzata. Ma qualcosa di più semplice e concreto.

La struttura dalla forma di barca, oggetto dell’incipiente indagine archeologica. E’ già possibile vedere, in queste immagini, segni di edifici o muri, nonché una sagomatura dell’area che parrebbe riconducibile a un intervento umano. Com’è possibile notare, in caso di forti piogge, la struttura non veniva inondata ma probabilmente si presentava come una gigantesca barca in un fiume. E’ possibile che la leggenda biblica dell’Arca di Noè sia stata ispirata da strutture simili a questa

La leggendaria Arca di Noè, una delle narrazioni più emblematiche del patrimonio mitico e religioso dell’umanità, è pronta a rientrare con rinnovato vigore al centro del dibattito archeologico e linguistico internazionale. L’annuncio dell’imminente inizio del primo scavo controllato presso la formazione di Durupınar, nell’est della Turchia, ha catalizzato l’attenzione di studiosi e appassionati. Ma a gettare nuova luce — e a porre una provocatoria alternativa interpretativa — è un gruppo di studiosi italiani, redattori di Stile arte, che propongono una lettura radicalmente nuova del termine “arca”: non una nave, ma un recinto ligneo fortificato, probabilmente un villaggio d’altura. Una arkhé, un inizio, un luogo di salvezza non per via d’acqua, ma di posizione.

“L’arca era probabilmente un recinto di legno, un villaggio fortificato sulle alture, non una nave per la navigazione. È in tal senso che bisogna cercare, come dimostra la nostra ricerca linguistica”, affermano gli studiosi di Stile arte. “Il racconto biblico si basa su un mito che probabilmente ha radici arcaiche nella realtà. E’ possibile che una comunità guidata da un padre mitico come Noè si sia ritirata in un luogo d’altura fortificato, con tutti i propri animali e che si sia così salvata da eventi alluvionali di notevole portata. Nel mondo arcaico eventi di tal fatta non dovevano essere rari”.

Una posizione che, se confermata da ulteriori indagini e riscontri, potrebbe rivoluzionare secoli di interpretazioni teologiche, filologiche e iconografiche.


Durupınar: la “nave” pietrificata sul versante dell’Ararat

La Formazione di Durupınar è una struttura naturale lunga 160 metri, dalla sagoma sorprendentemente simile a quella di una grande nave, scoperta nel 1959 grazie a fotografie aeree effettuate dal capitano turco İlhan Durupınar. Collocata a circa 30 chilometri a sud del monte Ararat — tradizionalmente ritenuto, secondo il libro della Genesi, il luogo in cui l’arca si sarebbe arenata dopo il diluvio — la formazione è stata al centro di decenni di controversie.

Numerose indagini non invasive (tra cui scansioni radar e geoelettriche) hanno individuato sotto la superficie strutture rettangolari e anomalie del suolo compatibili con la presenza di costruzioni artificiali. Inoltre, analisi dei sedimenti avrebbero individuato materiale argilloso, resti marini e microfossili databili tra i 3.500 e i 5.000 anni fa — un arco cronologico coerente con l’ipotetico diluvio.

Ora, per la prima volta, gli scienziati del gruppo californiano Noah’s Ark Scan Project stanno per dare il via a uno scavo archeologico controllato, in collaborazione con università turche. Un evento che potrebbe finalmente chiarire se l’enigmatica formazione ospiti davvero vestigia umane.


La ricerca linguistica di Stile arte: l’”arca” come spazio, non come nave

Contemporaneamente all’apertura del sito turco agli scavi, emerge una proposta alternativa che affonda le sue radici nella linguistica storica. Gli studiosi di Stile arte, esperti in archeologia culturale, suggeriscono di riconsiderare la parola arca — dal latino arca, “contenitore”, e dal greco arkhé, “principio”, ma anche, in radici più arcaiche, “recinto” o “costruzione fortificata” — come designante un luogo protetto e non necessariamente un mezzo di trasporto.

Questa teoria si affianca a precedenti riflessioni condotte nell’ambito della storia delle religioni e dell’etnografia del Vicino Oriente antico. In molte culture, infatti, l’idea di salvezza collettiva dal disastro cosmico (inondazione, fuoco, gelo) si associa più frequentemente a santuari elevati, fortezze di pietra, o villaggi protetti, piuttosto che a navi fluviali o oceaniche.

Secondo questo approccio, il “diluvio” sarebbe una catastrofe simbolica — o un evento idrogeologico reale ma localizzato — che spinse gruppi umani a rifugiarsi in alture sicure, dando origine al mito della salvezza. “Sarebbe quindi assurdo andare a cercare un’arca pietrificata, come qualcuno ha pensato” dicono gli studiosi di Stile arte.- Piuttosto sarebbe interessante condurre una verifica volta alla frequentazione di punti fortificati, nell’area. E magari sagomati come pare parrebbe la struttura evidenizta dagli americani”.


Lo scavo di Durupınar: cautela e metodo

Il team guidato da Andrew Jones ha annunciato l’intenzione di procedere con estrema cautela. Le condizioni climatiche dell’area sono proibitive per gran parte dell’anno, e la natura fragile del sito impone rilievi e carotaggi preliminari prima di ogni intervento invasivo. Le indagini prevedono una combinazione di:

  • Scansioni georadar ad alta risoluzione
  • Rilievi LIDAR con droni
  • Prelievo di campioni stratigrafici a varie profondità
  • Analisi geomorfologiche e paleobotaniche

Tutto ciò avverrà in stretta collaborazione con università locali e sotto la supervisione della Piattaforma di Monitoraggio del Patrimonio Culturale e Naturale diretta dall’archeologo Nezih Başgelen, una delle figure centrali negli studi sull’area.


Le eredità di Ron Wyatt e delle spedizioni precedenti

L’ombra affascinante e controversa di Ron Wyatt, il ricercatore autodidatta che negli anni ’80 affermò di aver trovato l’Arca, aleggia ancora su Durupınar. Wyatt, attraverso rilevamenti pionieristici e un’abilità narrativa notevole, riuscì a portare l’attenzione internazionale su questa remota regione dell’Anatolia, pubblicando il celebre volume Discovered Noah’s Ark nel 1989.

La comunità accademica ha spesso accolto le sue affermazioni con scetticismo, ma alcune delle sue intuizioni — come la forma della formazione e la presenza di strutture regolari sotto il suolo — sono ora oggetto di verifica scientifica.


Un cantiere tra mito, religione e turismo

La Regione dell’Ararat, nonostante le sue tensioni geopolitiche e le difficoltà logistiche, si prepara ad accogliere un nuovo tipo di pellegrinaggio: quello dei turisti religiosi, degli archeologi e dei curiosi. Başgelen ha sottolineato come la valorizzazione del sito possa costituire un’opportunità economica importante per i villaggi come Telçeker, nei pressi della “traccia della nave”.

Ma è forse la posta simbolica ad essere la più alta: che cosa accadrà se gli scavi dovessero rivelare strutture artificiali, legni fossili, utensili? Potremmo trovarci di fronte ai resti di un antico insediamento d’altura, di un rifugio sacro? E cosa significherebbe questo per l’interpretazione millenaria del testo biblico?


L’arca come metafora: ripensare le origini

La proposta di Stile arte, basata su un attento studio linguistico e antropologico, si inserisce in una corrente di pensiero che invita a leggere i testi fondativi non come cronache nautiche, ma come racconti allegorici della sopravvivenza culturale. L’arca, in questa visione, non è un relitto perduto da cercare nel fango, ma un’idea di rifugio: uno spazio simbolico dove la conoscenza, la fede, la speranza trovano riparo in tempi di caos.

Se così fosse, la vera arca non starebbe a Durupınar, ma ovunque gli uomini abbiano costruito luoghi di resistenza spirituale e culturale. Ma questo non toglie nulla al fascino degli scavi in corso: anche una struttura di legno o pietra, se correttamente interpretata, può essere la culla di una nuova narrazione.


Cosa dicono le lingue arcaiche: rifugio fortificato, recinto chiuso. Anche l’Italia ha le proprie Arche e Barche

Barra, barca, barco, arca, barghe, baracca, barchessa hanno probabilmente una radice comune, molto arcaica, che potremmo condurre al concetto di “area, spesso montana o collinare, delimitata da recinti o serragli di legno od oggetto di legno chiuso e delimitato (baracca, bara, arca dell’Alleanza, barca)”.

Il termine “barra” ha un’origine etimologica che affonda le sue radici nel latino tardo e si è evoluto attraverso diverse lingue romanze e germaniche. Secondo il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Francesco Bonomi, la parola deriva dal latino medievale “barra”, a sua volta probabilmente di origine celtica, connessa al termine cimbrico “bar”, che significa “ramo d’albero”.

Il significato originario di “barra” era quello di una verga di metallo o traversa utilizzata per chiudere o sbarrare un passaggio. Questo senso si è mantenuto e ampliato nel tempo, dando origine a termini come “sbarra”, “barricata” e “barriera”, tutti connessi all’idea di ostacolo o chiusura.

In ambito linguistico, “barra” ha influenzato anche altri termini:

  • Barriera: derivato da “barra”, indica un ostacolo fisico o simbolico che separa o protegge.
  • Imbarazzo: composto da “in” e “barra”, con il significato di ostacolo o impedimento, sia fisico che psicologico.

Inoltre, “barra” ha influenzato termini in altre lingue romanze, come lo spagnolo “barrio” (quartiere), che originariamente indicava una zona delimitata da barriere o confini.

L’evoluzione del termine “barra” riflette come un oggetto fisico concreto possa trasformarsi in un concetto astratto, influenzando la lingua e la cultura in modi profondi e duraturi.

Ecco un’analisi dettagliata dei toponimi contenenti “Bar” in Francia e delle località italiane denominate Barghe, Barco, Barca e Barche, con un focus etimologico e geografico.


Toponimi francesi con “Bar”

1. Bar-le-Duc (Meuse, Grand Est)

Capoluogo del dipartimento della Meuse, Bar-le-Duc è una città storica situata lungo il fiume Ornain. Anticamente nota come “Bar”, il nome è stato esteso a “Bar-le-Duc” per distinguerla da altre località omonime. La città è rinomata per la sua “confiture de Bar-le-Duc”, una confettura di ribes preparata secondo una tradizione secolare .

2. Bar-sur-Aube (Aube, Grand Est)

Situata sulle rive del fiume Aube, questa subprefettura ha origini antiche, risalenti all’epoca romana con il nome di Segessera. Durante il Medioevo, fu un importante centro commerciale grazie alle fiere di Champagne

3. Bar-sur-Seine (Aube, Grand Est)

Anch’essa situata nel dipartimento dell’Aube, Bar-sur-Seine si trova lungo il fiume Senna. Il toponimo “Bar” deriva probabilmente da una parola gallica che significa “altura” o “sommità”, riflettendo la posizione elevata del sito.

4. Bar-lès-Buzancy (Ardenne, Grand Est)

Piccola località situata vicino a Buzancy, il nome “Bar” potrebbe condividere la stessa radice gallica indicante un’altura. La specifica “lès-Buzancy” serve a distinguerla da altre località con nomi simili.

5. Le Bar-sur-Loup (Alpes-Maritimes, Provenza-Alpi-Costa Azzurra)

Questo pittoresco villaggio si trova lungo il fiume Loup. Originariamente noto come “Le Bar”, il nome è stato modificato nel 1961 per includere il riferimento al fiume, distinguendolo da altre località.


Località italiane dell’Arca: Barghe, Barco, Barca, Barche

1. Barghe (Provincia di Brescia, Lombardia)

Comune situato nella Valle Sabbia, il nome “Barghe” potrebbe derivare da “barga”, termine alpino che indica una capanna o rifugio. Questa etimologia suggerisce un’origine legata a insediamenti rurali o pastorali.

2. Barco

Il toponimo “Barco” è presente in diverse località italiane:

  • Barco (Reggio Emilia): Frazione del comune di Bibbiano.
  • Barco (Treviso): Frazione del comune di Pederobba.
  • Barco (Pavia): Frazione del comune di Garlasco.

Il termine “barco” potrebbe derivare dal latino “barca”, ma in alcuni contesti indica una struttura coperta o un ricovero per animali, suggerendo un’origine legata a edifici rurali.

3. Barca

Anche “Barca” è un toponimo diffuso in Italia:

  • Barca (Bologna): Quartiere situato nella periferia occidentale della città.
  • Barca (Torino): Zona urbana nel quartiere Aurora.

Il nome potrebbe derivare dal latino “barca”, indicando un luogo di attraversamento fluviale o un’area vicina a corsi d’acqua.

4. Barche

Il toponimo “Barche” si riscontra in alcune località italiane:

  • Barche (Brione, Brescia): Piccola frazione situata nel comune di Brione, in Lombardia. La zona è caratterizzata da un paesaggio collinare e da una forte tradizione agricola.
  • Barche (Coli, Piacenza): Frazione montana del comune di Coli, situata a circa 985 metri di altitudine. Secondo una leggenda locale, il nome deriverebbe da Annibale Barca, che vi avrebbe sostato nel 218 a.C. Tuttavia, etimologicamente, “Barche” potrebbe essere collegato al termine “barga”, indicante una capanna o rifugio alpino.

Considerazioni etimologiche

In Francia, il termine “Bar” nei toponimi spesso deriva da una radice gallica o pre-gallica che significa “altura” o “sommità” probabilmente recintata o fortificata, riflettendo la posizione geografica elevata di molte di queste località. In Italia, termini come “Barghe”, “Barco”, “Barca” e “Barche” sembrano avere origini legate a strutture rurali di ricovero degli animali. Anche il termine architettonico barchessa, cioè le ali laterali di un palazzo destinate ai lavori agricoli, poggia probabilmente sul termine barco o barca, inteso come recinto per animali.

Queste denominazioni toponomastiche offrono uno spaccato interessante sulle influenze linguistiche e culturali che hanno modellato i nomi dei luoghi in Europa, riflettendo sia le caratteristiche fisiche del territorio sia le attività umane che vi si sono svolte nel corso dei secoli.


Barga (Provincia di Lucca, Toscana)

Barga è un borgo toscano, situato nella Media Valle del Serchio, in posizione dominante sulla vallata. È uno dei centri più importanti della Garfagnana per storia, arte e cultura.

Il toponimo Barga è oggetto di diverse interpretazioni etimologiche. Le ipotesi principali sono:

  • Origine celtica o ligure: Secondo alcune teorie, deriverebbe da barga, termine prelatino (forse ligure o celtico) che indica una capanna o rifugio rustico, da cui proviene anche la forma “barga” attestata in diversi dialetti delle Alpi. Questa radice è affine a quella di “Barghe”, “Barche”, e si ricollega semanticamente a insediamenti di montagna o pastorali.
  • Latina: Altre ipotesi riconducono il nome al latino barrica o barca, ma si tratta di interpretazioni meno accreditate.

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa