Archeologia. Megaliti, arte scolpita e riti dimenticati. Scoperto un cimitero di 4.000 anni e un’antica arte rupestre: chi erano i custodi di rituali perduti?

Immagini scolpite sulla pietra svelano antichi riti funebri e pratiche dimenticate. Chi riposava nel cuore della Penisola di Tangeri? Un puzzle millenario fatto di arte, megaliti, e connessioni culturali mai viste prima.

I segreti di una scoperta d’altri tempi

Immaginate una distesa incontaminata, immersa fra le morbide colline del nord-ovest africano, dove il blu intenso del Mediterraneo si fonde con l’Atlantico. È qui, in un luogo senza tempo, che archeologi hanno sollevato il velo su un segreto custodito dalla terra per millenni. Durante una campagna di scavi recente, sono emerse tombe megalitiche vecchie di 4.000 anni, avvolte dal silenzioso eco dell’età del Bronzo. Ma non erano sole: al loro fianco, enigmatiche incisioni rupestri sembrano raccontare storie di rituali dimenticati, finora mai documentati in questa regione.

Chi erano questi uomini e donne che riposano nel silenzio? E quali simboli celano le rocce incise? Tra ipotesi storiche e interrogativi aperti, iniziamo a decifrare un frammento perduto della nostra storia.

Il cuore della scoperta: la Penisola di Tangeri

La scoperta è avvenuta nel cuore della Penisola di Tangeri, all’estremo nord-ovest del Marocco, dove le acque dello Stretto di Gibilterra separano a malapena l’Africa dall’Iberia. Questo territorio, crocevia naturale fra i continenti, ha ospitato per migliaia di anni culture in transito, plasmate dai venti del Mediterraneo e dalle correnti dell’Atlantico.

È proprio qui, in un’area di appena 8.000 km², che il paesaggio rivela tracce sorprendenti di un passato in movimento: cimiteri a cista risalenti al 2000 a.C., circondati da incisioni rupestri uniche. Daroua Zaydan, il sito che ospita la più antica di queste tombe, è ora al centro di nuove analisi, che con l’ausilio del radiocarbonio hanno fissato un punto fermo nella cronologia archeologica del nord-ovest africano.

Un altro dettaglio avvincente riguarda la morfologia del territorio. Questa penisola, delimitata dal fiume Loukkous a sud e dalle montagne del Rif a est, era non solo una via commerciale, ma un complesso sistema rituale, costellato di tumuli e pietre erette che sfidano il passare del tempo.

Le tombe di Daroua Zaydan e le tracce di vita antiche

La scoperta ruota attorno a una cista funeraria di rara complessità, situata a Daroua Zaydan. Queste tombe in pietra, composte da lastre piatte accuratamente lavorate, ospitavano probabilmente resti umani accompagnati da oggetti di pregio, come ceramiche, strumenti litici e occasionalmente resti metallici. La datazione al radiocarbonio indica una costruzione risalente ai primi secoli del II millennio a.C., un’epoca che vedeva il prosperare di culture dinamiche tra l’Africa del nord e l’Iberia.

Ma a rendere unica la scoperta non è solo la datazione. Accanto al cimitero, gli archeologi hanno rinvenuto incisioni rupestri enigmatiche: linee, figure geometriche e simboli che sembrano legati al culto ancestrale della morte. Ogni dettaglio parla di conoscenze avanzate nella lavorazione della pietra e di un linguaggio simbolico ancora oggi in parte misterioso.

Un’altra rivelazione importante riguarda lo stato di conservazione: mentre molte tombe a cista dell’area mediterranea sono state intaccate dall’azione del tempo o dai saccheggi, la struttura di Daroua Zaydan appare sorprendentemente intatta, consentendo agli studiosi di raccogliere dati preziosi sulle tecniche costruttive e sulle pratiche funebri dell’epoca.

Reperti e arte rupestre: un paesaggio rituale dimenticato

Oltre alle tombe, l’area ha restituito straordinarie testimonianze artistiche rupestri. Incise direttamente sulle rocce circostanti, queste rappresentazioni sembrano legate a pratiche di culto e commemorazione: spirali intrecciate, figure antropomorfe stilizzate e simboli che richiamano l’acqua e il sacro. Gli archeologi ipotizzano che questi graffiti potessero rappresentare rituali associati al passaggio nell’aldilà, del tutto comparabili ad alcune pratiche funerarie osservate nell’Iberia meridionale e persino nel Sahara orientale.

Tra i materiali recuperati, spiccano:

Ceramiche locali, decorate con motivi che richiamano le tradizioni della cosiddetta “Achakar Ware”.

Strumenti litici lavorati ad arte, probabilmente utilizzati nei riti di sepoltura.

Resti di avorio e uova di struzzo, forse importati e utilizzati come beni simbolici nel contesto funerario.

Collegamenti con altre culture suggeriscono una sorprendente rete di scambi che coinvolgeva il Mediterraneo occidentale e l’Africa pre-sahariana. Ogni oggetto rinvenuto sembra raccontare un frammento di una storia comune di migrazione, culto e interazione culturale.

Ipotesi e misteri ancora aperti

La scoperta del cimitero di Daroua Zaydan e delle incisioni rupestri circostanti apporta nuove prospettive sulle civiltà che hanno popolato la regione durante l’età del Bronzo. Gli archeologi suggeriscono che queste tombe possano appartenere a una comunità organizzata in strutture sociali complesse, con rituali funebri che riflettevano credenze elaborate sull’aldilà e il sacro.

Le incisioni nelle pietre e la collocazione strategica delle tombe lungo antiche rotte commerciali lasciano ipotizzare il ruolo della Penisola di Tangeri come crocevia culturale, un ponte naturale tra l’Africa e l’Europa. Tuttavia, rimangono diversi interrogativi. Qual era il significato preciso delle rappresentazioni rupestri? Quali contatti esistenti con l’Iberia influenzarono queste tradizioni locali? E soprattutto, quale era il volto della società che ha lasciato dietro di sé tali strutture enigmatiche?

Un’eredità da riscoprire

La Penisola di Tangeri offre oggi non solo un viaggio nel passato, ma un invito a riscoprire una storia condivisa tra culture divise da mari e millenni. Mentre gli studiosi continuano a analizzare ogni reperto, una cosa è certa: il cimitero di Daroua Zaydan e la sua arte rupestre rappresentano un raro frammento di un’epoca che collega popoli e identità lontane.

Se questi antichi rituali erano stati dimenticati nei secoli, ora riemergono come una testimonianza silenziosa del patrimonio culturale dell’Africa nordoccidentale. Un monito, forse, a guardare indie

Source: Benattia, H., Onrubia-Pintado, J. & Bokbot, Y. (2025). Cemeteries, Rock Art and Other Ritual Monuments of the Tangier Peninsula, Northwestern Africa, in Wider Trans-Regional Perspective (c. 3000–500 BC). Afr Archaeol Revdoi:10.1007/s10437-025-09621-z

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa