
Uno scavo di salvataggio eseguito in modo esemplare e completamente eseguito con il supporto e la registrazione digitale ha restituito una miniera di dati sulla vita quotidiana, la pianificazione urbanistica e i riti funerari della città romana di Augusta Raurica, nella sua parte bassa oggi situata nel comune di Kaiseraugst, nel Canton Argovia. Gli archeologi sono riusciti a restituire non solo strutture edilizie complesse, ma anche rari oggetti votivi, sepolture infantili e la testimonianza tangibile di un passato che continua a sorprendere.
Un cantiere edilizio apre le porte alla storia
Lo scavo di salvataggio, effettuato tra maggio 2024 e marzo 2025 nella zona di “Schürmatt” a Kaiseraugst, nasce dalla necessità di indagare due lotti destinati a un nuovo complesso residenziale. L’intervento, promosso dal Servizio archeologico del Canton Argovia, ha riguardato un’area di circa 1800 metri quadrati e ha segnato una tappa fondamentale nella metodologia archeologica svizzera: è stato il primo scavo interamente documentato in formato digitale dal Dipartimento cantonale.

Lo scavo si è svolto in un contesto urbano denso di significato: le parcelle interessate si collocano infatti nella città bassa dell’antica Augusta Raurica, importante centro romano fondato nel I secolo a.C. Non distante dal perimetro d’indagine, a nord, è stato riconosciuto un ampio cimitero tardoantico, il cui rispetto e preservazione hanno condizionato positivamente le modalità operative e la progettazione dello scavo.
Già nel 2019 erano stati eseguiti rilievi geofisici senza scavo, seguiti da saggi esplorativi nel 2021 e 2023. Queste indagini preliminari hanno consentito di pianificare in modo strategico e mirato le operazioni archeologiche, garantendo sia la protezione delle sepolture che il massimo rendimento informativo del sito.
Strade, case e cortili: la struttura della città bassa
Una delle scoperte più significative riguarda la presenza di un tratto di strada romana accuratamente costruito, fiancheggiato da edifici residenziali con cortili posteriori. La strada, che subì diverse ristrutturazioni nel tempo, era larga circa quattro metri nella sua fase finale e delimitata da fossati laterali e porticati (i cosiddetti porticus, spazi coperti ad uso pubblico o commerciale).

Sul piano urbanistico, le abitazioni rinvenute testimoniano una pianificazione rigorosa. Gli edifici presentano piante rettangolari, con strutture in muratura affiancate da costruzioni più semplici in legno e pali infissi nel terreno. La varietà tipologica lascia supporre una certa diversificazione sociale ed economica tra i residenti del quartiere. Le case, affiancate e dotate di cortile, richiamano la tipologia della domus a schiera, tipica degli ambienti urbani romani a media densità abitativa.
Molto interessante è anche la presenza di cantine, almeno due delle quali costruite in pietra, indizio di una certa cura edilizia e di un possibile uso per la conservazione di beni alimentari, forse anche di tipo commerciale.
Nel cortile, la morte e la memoria
Al di là delle strutture abitative, i cortili posteriori hanno restituito importanti testimonianze della vita quotidiana e delle pratiche funerarie. Tra le più suggestive, la scoperta di sepolture di neonati: queste non erano rare nel mondo romano e riflettono una concezione intima della morte infantile, che non veniva affidata ai cimiteri pubblici ma veniva elaborata e onorata all’interno dello spazio domestico.
Si tratta di un uso funerario profondamente radicato nella cultura romana, che affonda le sue radici in pratiche religiose e affettive: seppellire un neonato sotto la soglia di casa o nel cortile significava proteggerlo, onorarne la memoria e forse garantirgli una forma di presenza continua all’interno della vita familiare.
Oltre alle tombe, sono stati rinvenuti pozzi e fosse realizzati in pietra a secco, la cui funzione resta al momento oggetto di studio: potrebbero essere state utilizzate come latrine, cisterne o fosse di scarto. La loro presenza in un ambito residenziale apre numerose ipotesi sulla gestione delle risorse e dei rifiuti all’interno del quartiere.
I reperti: una pantera in bronzo e il vetro mosaico


Tra i reperti mobili, alcuni oggetti spiccano per la loro rarità e valore simbolico. Notevole è la scoperta di una statuetta in bronzo raffigurante una pantera, animale connesso ai culti dionisiaci e spesso associato alla forza, alla sensualità e all’elemento selvaggio della natura. Non è escluso che possa trattarsi di un oggetto votivo o decorativo legato a un culto domestico.
Altro oggetto eccezionale è un porta-voto in tufo, la cui funzione e dedicazione sono ancora in fase di studio. A completare questo piccolo corpus di tesori, una fusaiola in vetro mosaico, straordinario manufatto che testimonia l’alto livello tecnico e artistico raggiunto nell’ambito dell’artigianato romano.
Il contesto cronologico dei reperti si estende dal tardo I secolo d.C. al III secolo, mentre tracce di uso successivo – prevalentemente monete tardo-romane – attestano una frequentazione sporadica o trasformata dell’area anche in epoca tardoantica.
La pantera nel mondo romano: tra simbolo e mito
Nell’immaginario romano, la pantera è una figura fortemente connotata mitologicamente, soprattutto in relazione al ciclo dionisiaco. Dioniso – o Bacco, come lo chiamavano i Romani – è spesso raffigurato su carri trainati da pantere o leopardi, e queste fiere, esotiche e sensuali, rappresentano la potenza istintuale della natura, l’ebbrezza, il mistero e la trasformazione.
La pantera era quindi:
- Simbolo della forza vitale incontrollata;
- Icona del mondo dionisiaco, cioè della dimensione rituale legata all’estasi, al vino, ai misteri iniziatici;
- Animale esotico, che suggeriva ricchezza, raffinatezza, e potere.
Spesso, nelle decorazioni domestiche (mosaici, pitture, sculture), la pantera accompagna Dioniso, Menadi, Sileni, o viene rappresentata mentre beve da un kantharos (coppa del vino), parte di un mondo immaginifico legato ai banchetti e alla religione misterica.
In contesto templare o votivo, la pantera potrebbe essere un ex voto, un’offerta a Dioniso o a una divinità sincretica associata al suo culto. Dioniso era oggetto di culti misterici anche nelle province romane, sebbene più diffusi in Oriente, ma sono attestati anche in Gallia e in Raetia.
Quindi, la pantera potrebbe rappresentare:
- Un simbolo del trascendimento dell’umano, del passaggio tra vita e morte (tema dionisiaco);
- Una guida iniziatica, come lo erano anche i felini nell’immaginario misterico;
- Un attributo divino da venerare o da offrire in un contesto religioso.
- Dioniso – rappresentato, spesso dalla pantera, era, in epoca ellenistica e romana, anche divinità della rinascita, della sopravvivenza dell’anima, simile per certi versi a Osiride o ad altre divinità sotterranee. In questo senso, la pantera bronzea sarebbe guida e protettrice del defunto.
Augusta Raurica, Roma elvetica
Fondata nel 44 a.C. nei pressi dell’odierna Basilea, Augusta Raurica – nel cui territorio sono stati trovata strada, portici e reperti – rappresenta una delle più antiche colonie romane a nord delle Alpi. Il suo nome onora l’imperatore Augusto e il popolo dei Raurici, una tribù celtica stanziata lungo il Reno. La città fu inizialmente fondata da Lucio Munazio Planco, luogotenente di Cesare, con l’intento di stabilire un avamposto strategico in una zona di vitale importanza per i traffici tra l’Italia e la Gallia settentrionale.
Nel corso del I secolo d.C., Augusta Raurica divenne un fiorente centro urbano, con circa 20.000 abitanti nel suo massimo splendore. A differenza di molti altri insediamenti alpini, fu una città progettata secondo il modello romano: cardo e decumano ben definiti, foro, terme pubbliche, templi, una basilica e un teatro da 10.000 posti, oggi il meglio conservato a nord delle Alpi. Le ricche dimore patrizie con pavimenti a mosaico e impianti idraulici sofisticati testimoniano l’alto livello di romanizzazione.
La città prosperò anche grazie alla sua funzione commerciale, favorita dalla vicinanza al Reno, che fungeva da arteria navigabile verso la Germania e l’Olanda. Tuttavia, nel III secolo fu gravemente danneggiata da invasioni germaniche e da un terremoto. La nuova città fortificata, Castrum Rauracense, sorse poco distante, accanto a un importante presidio militare romano. Oggi Augusta Raurica è uno dei siti archeologici più ricchi della Svizzera e ospita un museo, una colonia di animali storici, ricostruzioni e scavi ancora attivi.
La conquista romana della Svizzera e la presenza imperiale
La presenza romana nella regione che oggi chiamiamo Svizzera ebbe inizio con le campagne di Cesare nella Gallia, culminate nel 58 a.C. con la battaglia contro gli Elvezi. Questi ultimi avevano tentato una migrazione di massa verso l’ovest, ma furono sconfitti presso Bibracte. Da allora, Roma cominciò a consolidare il proprio dominio sulla regione, incorporandola nelle province della Gallia Belgica e poi della Germania Superior.
La conquista fu seguita da un’intensa attività di romanizzazione: vennero fondati centri urbani come Aventicum (Avenches), capitale degli Elvezi romanizzati, e Vindonissa, sede di una legione stabile. La rete stradale romana unì la valle del Rodano con le Alpi e i passi strategici, trasformando la Svizzera in un corridoio commerciale e militare tra l’Italia e il nord Europa. L’integrazione fu profonda: i popoli locali adottarono la lingua, i culti e le architetture romane, lasciando un’impronta che ancora oggi riaffiora sotto forma di monumenti, lapidi e toponimi latini.
L’archeologia del futuro: documentazione 100% digitale
L’aspetto forse più innovativo dell’intervento di scavo non è però da cercare solo nel sottosuolo, ma anche nel metodo documentario adottato. Lo scavo di Kaiseraugst è stato il primo, nel Canton Argovia, a essere interamente documentato in formato digitale. Ogni singolo dato – dai rilievi planimetrici ai singoli reperti – è stato registrato e archiviato direttamente sul campo tramite dispositivi digitali, confluendo in un database centralizzato.
Questa metodologia non solo migliora la precisione del dato e la velocità di analisi, ma rappresenta anche un punto di svolta per la futura conservazione e condivisione delle informazioni archeologiche. Il modello adottato a Kaiseraugst potrebbe fungere da standard metodologico per gli altri Cantoni svizzeri e contribuire a uniformare le pratiche archeologiche in tutta l’area.