La struttura è perfettamente sigillata. Gli archeologi procedono con prudenza. All’interno, resti scheletrici. Ai piedi di quell’uomo furono posti quattro grossi dischi leonini, quattro anelli. I bassorilievi bronzei presentano animali con espressioni diverse. Anche i vetri raffinati sono riferibili al mondo romano. E che senso poteva avere un grosso chiodo anch’esso posto nella tomba? E i dodici contenitori di vetro soffiato? Ed ecco che scattano gli studi e le ricerche.
La scoperta archeologica è stata pubblicata nelle ore scorse nel volume 117 della rivista ‘Atiqot dell’Israel Antiquities Authority, a firma degli archeologi Elie Haddad ed Elisheva Zwiebel. Nelle vicinanze di Khirbat Ibreika, a sud del nodo stradale di Eyal e a ovest dell’autostrada 6, è emersa la tomba cistiforme contenente quattro dischi in bronzo decorati con teste leonine e altrettanti anelli, parte di un corredo funerario che solleva interrogativi profondi sul rituale della morte, le credenze religiose e le identità culturali nella provincia di Siria-Palestina tra il I e il II secolo d.C.
Khirbat Ibreika (talvolta traslitterato anche come Khirbet Breikha o Khirbet Ibreika) è un sito della Cisgiordania, nei pressi di Jenin, nel nord della regione.
La distanza da Gerusalemme varia a seconda del percorso stradale, ma in linea d’aria è di circa 80-90 chilometri a nord della città. In termini di viaggio su strada, il tragitto da Gerusalemme a Khirbat Ibreika si estende per circa 110-120 chilometri.
Il contesto della scoperta
Lo scavo è stato effettuato come operazione di salvataggio, precedendo la posa della ferrovia dell’Est. Tre aree (A, B e C) sono state indagate: l’Area A ha restituito un tratto stradale romano, l’Area C strutture bizantine e islamiche, mentre nell’Area B2 è stata individuata una serie di otto tombe a cassa in terra rossa (ḥamra), di cui una – la Tomba T6 – ha rivelato un corredo molto particolare.
Il sito si colloca in una regione frequentata da comunità ebraiche, samaritane e pagane. Questo rende ancor più complessa l’attribuzione degli oggetti rinvenuti. E’ probabile, comunque, che l’uomo avesse collegamenti stretti con il mondo romano. I leoni e i vetri portano a quel contesto. Ma c’è un motivo per il quale i contenitori vitrei erano 12?
Gli oggetti rinvenuti nella tomba

La tomba T6 è l’unica tra le otto ad aver restituito materiale significativo oltre ai resti ossei:
- Quattro dischi in bronzo decorati con teste di leone in rilievo, di dimensioni simili (ca. 153–155 mm di diametro, oltre 540 g di peso ciascuno), con tratti fisionomici umani (occhi con pupille, sopracciglia marcate, nasi scolpiti, criniere elaborate), ma privi di orecchie. I dischi erano dotati di fori per chiodi in ferro e uno supplementare per collegare l’anello.
- Quattro anelli in bronzo, che si collegavano non attraverso la bocca dei leoni – come spesso accade con i battenti da porta – bensì dalla sommità della testa.
- Dodici recipienti in vetro, distribuiti attorno al defunto. Si tratta di bicchieri e bottiglie soffiati, tipici della produzione romana.
- Un chiodo in ferro di grandi dimensioni con resti lignei.
È sorprendente la disposizione degli oggetti: i dischi e gli anelli erano impilati ordinatamente all’estremità meridionale della tomba, come se fossero stati smontati e deposti con intento preciso, e non semplicemente caduti o rimasti sul posto dopo il rito funebre.
Funzione e iconografia delle teste di leone

L’uso di teste di leone in bronzo è attestato nel mondo greco-romano in vari contesti: come battenti di porta, maniglie, decorazioni per mobili e urne funerarie. Nel caso della Tomba T6, le teste leonine con anello collegato alla sommità sembrano essere state parte integrante di un sistema per trasportare il feretro. Gli archeologi ipotizzano che i quattro dischi fossero disposti due per lato lungo della bara, consentendo l’inserimento di stanghe di legno per il trasporto a spalla del defunto, come illustrato da una ricostruzione (Fig. 11 del testo originale).

Il leone è, nelle culture antiche, simbolo di forza, regalità e protezione. Era anche guardiano dell’aldilà – si pensi alle cosiddette “porte di Ade” decorate con teste leonine. In questo senso, i dischi potevano avere una duplice valenza: funzionale e apotropaica.
Resta però da capire il motivo per il quale le maniglie sarebbero poi state smontate dalla struttura lignea e appoggiate ordinatamente alla base dei piedi dell’uomo.
Le ipotesi sull’identità culturale del defunto
Le domande più complesse sollevate da questa scoperta riguardano l’identità del defunto. Haddad e Zwiebel considerano varie ipotesi:
- Ebraica o samaritana: alcune tombe simili sono state rinvenute in contesti loculari (kokhim) attribuiti a queste comunità. Tuttavia, l’uso di immagini figurate, come il leone, contrasta con le norme aniconiche di tali gruppi. Queste culture rifiutavano le immagini realistiche del mondo.
- Romana-pagana, legata al culto di Mitra: la figura leonina è centrale nel mithraismo, culto solare misterico diffuso tra i soldati romani. Il leontocefalo, divinità con testa di leone e corpo umano, rappresenta il tempo eterno e la rinascita. Il fatto che le maniglie fossero poste sulla testa potrebbe simboleggiare la ruota del tempo, il ciclo vita-morte-rinascita.
- Status elevato: i leoni erano spesso impiegati per indicare rango sociale. La ricchezza del corredo – con bronzi e vetri – rafforza questa lettura.
La tomba si distingue dalle altre del sito, prive di corredo, segno evidente di un trattamento riservato a una figura di rilievo, forse un ufficiale, un sacerdote o un iniziato a culti esoterici.
Confronti e diffusione del fenomeno
Oggetti simili sono noti da altri siti in Israele:
- Netanya (Ben ‘Ami e Ramat Efrayim): dischi leonini su tombe loculari.
- Tel Dor: quattro dischi analoghi ritrovati in una tomba a cassa, distribuiti simmetricamente sui lati lunghi del feretro.
- Caesarea, Gerusalemme, Bet She’an: ritrovamenti isolati.
(Fonte: Haddad, Elie and Zwiebel, Elisheva (2025) “Unique Lion-Headed Handles from a Roman-Period Cist Tomb South of Khirbat Ibreika,” ‘Atiqot: Vol. 117, Article 9. DOI: https://doi.org/10.70967/2948-040X.2257
Available at: https://publications.iaa.org.il/atiqot/vol117/iss1/9)
IL NUMERO 12 NEL MONDO EBRAICO E CRISTIANO: SIMBOLO DI TOTALITÀ, ORDINE DIVINO E COMPIUTEZZA
I dodici contenitori di vetro posti nella tomba potevano avere un significato preciso? Il numero 12 occupa un ruolo di rilievo tanto nella tradizione ebraica quanto in quella cristiana. Non è un numero casuale, ma una cifra che si carica di significati religiosi, cosmologici e strutturali. Esso richiama l’idea di totalità ordinata, di governo spirituale e di una pienezza che abbraccia l’umano e il divino, il tempo e l’eternità, la storia e la profezia. Le sue ricorrenze nei testi sacri non sono episodiche, ma deliberate, sistematiche, cariche di senso teologico.
NEL MONDO EBRAICO
- Le dodici tribù di Israele
Il riferimento fondativo è costituito dalle dodici tribù di Israele, corrispondenti ai dodici figli di Giacobbe (Israele), ciascuno capostipite di una comunità con un proprio territorio, una propria identità, e una funzione all’interno del popolo ebraico. Le tribù, nominate ripetutamente nella Torah, rappresentano l’interezza dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, un’unità che non annulla la diversità ma la struttura. - Il pettorale del sommo sacerdote
Nel libro dell’Esodo (capitolo 28), si descrive il pettorale sacro che il sommo sacerdote doveva indossare durante il servizio liturgico. Esso era ornato con dodici pietre preziose, ciascuna incisa con il nome di una delle dodici tribù. Questo pettorale, oltre ad avere un valore ornamentale e rituale, era simbolo di rappresentanza sacra: il sacerdote portava idealmente tutto il popolo “sul cuore” davanti a Dio. - L’offerta dei capi tribali
Nel libro dei Numeri (capitolo 7), i dodici capi delle tribù presentano ciascuno un’offerta identica per la consacrazione dell’altare. Il gesto corale sottolinea l’uguaglianza delle parti nella costruzione dell’identità collettiva e la sacralità dell’ordine divino stabilito. - Altre occorrenze
Il numero dodici ritorna anche in contesti secondari ma significativi: le dodici fonti d’acqua a Elim (Esodo 15), i dodici pani della proposizione posti nel santuario (Levitico 24), le dodici spie inviate a esplorare la terra promessa (Numeri 13). In ciascun caso, il dodici funge da segno dell’organizzazione divina del tempo e dello spazio.
NEL MONDO CRISTIANO
- I dodici apostoli
Gesù sceglie dodici apostoli, non per caso, ma per fondare simbolicamente il nuovo Israele, la Chiesa. Come le dodici tribù costituivano l’antico popolo di Dio, così i dodici apostoli rappresentano la totalità del nuovo popolo, chiamato all’annuncio del Regno. Il tradimento di Giuda, e la sua sostituzione con Mattia, ribadiscono l’importanza del mantenimento del numero perfetto. - La Gerusalemme celeste nell’Apocalisse
Nel libro dell’Apocalisse, il numero dodici si moltiplica e si trasfigura nella visione escatologica. La Gerusalemme celeste ha dodici porte, dodici angeli, dodici fondamenti con i nomi dei dodici apostoli, mura alte 144 cubiti (12 x 12), e dimensioni che si estendono per 12.000 stadi per lato. La ripetizione martellante del numero enfatizza la perfezione dell’opera divina e l’ordine dell’eternità. - La donna coronata di dodici stelle
Sempre nell’Apocalisse (capitolo 12), appare una donna “vestita di sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo”. La figura, che si presta a molteplici interpretazioni (Maria, la Chiesa, Israele), è ancora una volta marcata dal segno del dodici, che simboleggia la totalità del popolo eletto, illuminato dalla grazia divina.
UNA LOGICA NUMERICA DI PENEZZA
Il dodici si collega a una logica numerica e simbolica precisa. È il prodotto di 3 (numero della divinità) e 4 (numero del cosmo, dei punti cardinali), a indicare un’interazione tra cielo e terra. Ma può anche essere inteso come moltiplicazione della totalità: 12 mesi, 12 segni zodiacali, 12 ore di luce e 12 di buio nella divisione classica del giorno.
Nel pensiero mistico ebraico, la Qabbalah attribuisce al numero dodici un ruolo importante nella struttura dell’albero sefirotico. Vi sono dodici linee che collegano le dieci sephirot, e dodici lettere semplici nell’alfabeto ebraico, collegate ai mesi, ai segni celesti e alle funzioni del corpo.
Nel cristianesimo medievale, il dodici viene accolto anche nella costruzione delle cattedrali e nelle miniature sacre: dodici colonne, dodici riquadri, dodici animali, dodici profeti, come eco visibile della pienezza spirituale.