Scoperto un vescovo-volpe dissoluto inciso nel muro della prigione medievale: viaggio nel cuore segreto del castello di Caen
Sotto i giardini e le mura, una folla di scoperte. Dagli enigmatici graffiti ai resti gallici, le viscere del maniero raccontano mille anni di passioni, potere e prigionia
Dove oggi si passeggia in cerca di frescura tra le pietre del castello di Caen, un tempo si moriva, si combatteva, si tramava. E si sognava la libertà con un coltello nel muro. Gli archeologi dell’Inrap, dall’aprile 2023, non solo hanno restituito alla luce nuovi tratti della millenaria fortezza normanna, ma hanno anche riaperto le ferite del suolo e dell’anima. Perché tra le più sorprendenti scoperte di questi mesi ci sono proprio loro: le incisioni sulle pareti delle antiche prigioni. Un patrimonio incalcolabile di segni, figure, simboli e narrazioni che parlano di fede, disperazione, satira e vendetta.
E tra tutte, un’immagine affascina, stupisce e fa sorridere: un graffito medievale in cui un vescovo dalle sembianze di volpe fronteggia un civile. Un riferimento diretto — secondo gli studiosi — a quel capolavoro letterario dell’epoca che fu il Roman de Renart, la lunga e mordace saga in versi che raccontava il trionfo dell’astuzia sulla prepotenza, della furbizia sull’arroganza del potere.
Un vescovo-volpe incastrato nella pietra
Il graffito satirico nascosto nella cella della disperazione
In un angolo remoto della prigione medievale posta a nord-est del castello, un’incisione emerge dalle ombre. Raffigura una scena complessa: a sinistra, un personaggio civile, forse il detenuto stesso, armato solo del suo sguardo, affronta la figura ieratica e caricaturale di un vescovo. Ma non un vescovo qualsiasi. La mitra è pronunciata, lo sguardo torvo, il corpo allungato, sinuoso. È una volpe. Un evidente riferimento al Roman de Renart, nel quale i chierici, i monaci e i vescovi venivano spesso ridicolizzati per la loro ipocrisia. Forse si collega, pur per proiezione, al motivo per il quale il detenuto fu recluso. L’uomo con l’abito lungo – un nobile, un monaco? – insegue il prelato. Apre le braccia per chiedere la grazia o per manifestare la propria immocenza. Il vescovo
Il graffito non è un semplice sfogo. È un atto artistico e politico. Nella penombra della cella, dove si incidevano croci, rosoni e gigli, questa immagine colpisce per la sua modernità: è una critica ironica al potere ecclesiastico, fatta con mezzi poveri ma carichi di ingegno. Un uomo qualunque, privato della libertà, si prende la rivincita sull’alto prelato. E lo fa con la cultura. Le Roman de Renart (“Romanzo di Renart”) è una raccolta di racconti medievali in lingua francese del XII e XIII secolo, nei quali degli animali agiscono al posto degli uomini.
Nel Roman de Renart, Renart, la volpe astuta, si comporta spesso in modo non consono al suo rango di vescovo, soprattutto quando intraprende delle azioni che mettono in dubbio la sua fedeltà verso il regno del Re Leone. Anche se il personaggio non ha una vera e propria posizione ufficiale di vescovo, la sua astuzia e i suoi comportamenti scorretti spesso prendono di mira i rappresentanti del clero, come il vescovo di Chartres, che viene rappresentato in modo negativo.
In sintesi, nel Roman de Renart, Renart, pur non essendo ufficialmente un vescovo, agisce in modo che ricorda le azioni e gli inganni spesso attribuiti al clero, mettendo in discussione la moralità e la condotta di alcune figure religiose.
La prigione ritrovata
Un edificio di oltre 200 m² tra fortificazioni, graffi e memoria
La struttura, risalente al XII secolo, si trova dietro un vasto edificio destinato a magazzino — un capannone di quasi 500 m² dove transitavano carni, vini, stoffe, legnami e metalli. La prigione, organizzata su due livelli, presenta almeno cinque stanze, tutte affacciate sullo stesso lato. Solo una parte è stata scavata finora, ma è bastato per far emergere un intero universo carcerario: oltre al vescovo-volpe, sono stati trovati conti del tempo passato in cella (linee verticali come quelle di un diario), croci di preghiera, motivi floreali.
Gli archeologi ipotizzano che qui venissero rinchiusi non solo i criminali comuni, ma anche i prigionieri politici o religiosi. La presenza di simboli religiosi accanto a satira e allegoria fa pensare a una popolazione carceraria colta, o almeno espressiva. La prigione diventa specchio della società: punisce, ma anche accoglie e conserva l’eco delle sue voci sommerse.
Cavalli, draghi e cavalieri
La leggenda arturiana incisa in un muro del XII secolo
Non lontano dalla prigione, sulla parete di quella che forse era una panca in pietra nei pressi dell’ingresso fortificato settentrionale, un altro graffito riaccende l’immaginario medievale: un cavaliere in armatura affronta un drago che sputa fuoco. La scena, databile attorno alla metà del XII secolo, sembra riflettere le prime contaminazioni delle storie della Tavola Rotonda nella corte normanna.
Enrico I Beauclerc, figlio di Guglielmo il Conquistatore e costruttore della torre principale, aveva consolidato i legami con la cultura cortese anglonormanna. In quel periodo, la leggenda di Artù prende forma anche nei castelli: non più solo con parole, ma con segni, racconti incisi nella pietra da chi, forse, ascoltava quelle storie accanto al fuoco.
Fosse galliche sotto la corte dei Duchi
Un villaggio protostorico alle radici della cittadella
Ma la storia del castello di Caen comincia ben prima dell’anno Mille. Nei pressi dell’antico cortile del palazzo, sotto strati di calcare e terra, sono state individuate delle fosse abitative risalenti all’età gallica (150–50 a.C.), un unicum per la città. I vasi ritrovati e gli strati di semi bruciati — ora in fase di studio da parte dei carpologi — testimoniano un’agricoltura organizzata e la presenza di un insediamento stabile.
Si tratta delle prime tracce di un nucleo umano in quella che diventerà la città di Caen. Un luogo scelto già allora per la sua posizione strategica, nella pianura fertile tra il fiume Orne e le colline.
La trasformazione francese e la discarica del potere
Brocche decorate, ossa di banchetti e nuovi padroni dopo il 1204
L’annessione della Normandia al Regno di Francia, sotto Filippo Augusto nel 1204, segna una svolta anche nel paesaggio del castello. Il vecchio recinto e i suoi edifici vengono abbattuti. Il nuovo mastio si impone con le sue quattro torri rotonde e la sua monumentalità. E sopra le rovine, gli archeologi hanno trovato una discarica.
Ma non una discarica qualsiasi: si tratta di un deposito di rifiuti di corte, tra cui frammenti di ceramiche pregiate, brocche da vino ornate e resti di ossa animali. Un piccolo Louvre dei rifiuti, che racconta di cene sontuose, di abitudini alimentari aristocratiche, di importazioni e ricchezza.
Lo studio degli archeozoologi chiarirà quali carni venissero servite, forse cervi, cinghiali o animali d’allevamento. Ogni osso, una portata. Ogni frammento, un frammento di vita.
La guerra, le bombe e i soldati
Elmetti, cinturoni e bottiglie inglesi: la presa di Caen del 1944
Nei livelli più superficiali, la guerra è ancora viva. Crateri di bombe, elmetti tedeschi con nomi incisi, borracce, cinturoni per mitragliatrici, bottiglie di birra inglese. Tutto parla della Battaglia di Caen, del 1944, quando la città fu liberata dagli Alleati, ma al prezzo di immense distruzioni.
Le prigioni medievali, le cantine, le sale rinascimentali vennero occupate da truppe tedesche prima, anglo-canadesi poi. Le tracce materiali trovate nel suolo sono la testimonianza nuda di quegli anni: reperti recenti, ma già archeologia. Un’altra guerra, un altro potere, un’altra conquista.