Pompei, la tragedia di Elle e Frisso: nuove stanze, oggetti quotidiani e vittime emergono dagli scavi

Un letto sbarrato contro la porta, nel vano tentativo di arginare la furia del Vesuvio. Corpi strappati alla vita, oggetti che raccontano abitudini interrotte, storie sospese nel tempo. A Pompei, la domus di Elle e Frisso torna a parlare, e lo fa con la forza emotiva e documentaria di una scoperta che ci riconduce direttamente negli ultimi istanti prima dell’apocalisse del 79 d.C.
Il Parco Archeologico di Pompei ha diffuso oggi le notizie di una nuova, straordinaria scoperta avvenuta nell’area di via del Vesuvio, in prossimità della celebre Casa di Leda e il Cigno. Gli archeologi sono tornati a indagare la cosiddetta Casa di Elle e Frisso, denominata così per un affresco che raffigura il mito di Elle e Frisso, i due fratelli salvati dal vello d’oro e dalla benevolenza divina. Questo nome simbolico, già carico di evocazioni mitiche, oggi si carica di una nuova dimensione drammatica: quella di un luogo che ha custodito per duemila anni i resti e le paure di chi cercò di sfuggire all’ineluttabile.
Un microcosmo domestico riemerso: la struttura della casa

La dimora – dotata di eleganti affreschi – era stata già in parte oggetto di interventi precedenti, mirati alla messa in sicurezza e al restauro, con l’intento di restituirla alla fruizione pubblica. Ma è grazie agli ultimi scavi che si è potuto ricostruire con maggior precisione l’impianto architettonico e la vita al suo interno.



Sono ora visibili l’ingresso e l’atrio con impluvium, ovvero la vasca destinata alla raccolta delle acque piovane, elemento centrale delle domus romane. Accanto, è emerso un cubiculum – una camera da letto –, un triclinium riccamente decorato, che suggerisce una vita domestica raffinata e socialmente attiva, e infine un vano coperto da tettoia con un’apertura centrale: un elemento architettonico che potrebbe aver avuto un ruolo fatale.
È proprio attraverso questa apertura che, secondo gli archeologi, sarebbero penetrati i lapilli caduti a pioggia durante la fase iniziale dell’eruzione. Questo dettaglio architettonico si trasforma così da soluzione funzionale in potenziale via di accesso del disastro.
La tragedia impressa nella cenere
È in uno degli ambienti di questa casa che si è presentata agli occhi degli archeologi una scena tanto drammatica quanto preziosa per la comprensione dei comportamenti umani di fronte alla catastrofe.
Un letto posizionato di traverso, (nella foto qui sotto) a ostruire l’accesso alla stanza: un gesto disperato, istintivo, nel tentativo di creare una barriera contro la furia che stava avanzando. Un gesto che oggi appare tanto inutile quanto profondamente umano.

Proprio di questo letto è stato possibile ottenere un calco in gesso, seguendo la tecnica consolidata a Pompei: il riempimento con gesso liquido dei vuoti lasciati nella cenere dall’originaria decomposizione del materiale organico, in questo caso il legno. L’impronta lasciata dal letto, ora solidificata, è un documento tanto materiale quanto emozionale.

Ma accanto al letto, quattro vittime, probabilmente membri della stessa famiglia, hanno restituito al mondo la loro ultima posa. Tra loro, i resti di un bambino, riconosciuto anche grazie al ritrovamento di una bulla in bronzo, un piccolo amuleto che in epoca romana veniva fatto indossare ai bambini maschi come protezione, fino all’età adulta. Un oggetto di affetto, ma anche di rito e identità, che oggi testimonia l’esistenza spezzata di un piccolo pompeiano.

Vita quotidiana interrotta
Accanto alla dimensione tragica, la scoperta porta alla luce anche numerosi elementi della vita quotidiana, offrendo una panoramica dettagliata delle abitudini, dei consumi e delle funzioni degli ambienti domestici.
In un sottoscala utilizzato come dispensa, è stato scoperto un deposito di anfore, alcune delle quali probabilmente contenevano garum, la celebre salsa di pesce fermentato, molto apprezzata dai Romani.
Altri oggetti includono un servizio da tavola in bronzo, composto da un attingitoio, una brocca monoansata, un vaso a paniere e una coppa a conchiglia: un corredo che ci parla del livello sociale degli abitanti e del loro gusto estetico.
Particolari architettonici come soglie asportate, decorazioni mancanti e tracce di tagli murari inducono a pensare che, al momento dell’eruzione, la casa fosse in fase di ristrutturazione. Ma, nonostante i lavori in corso, la dimora continuava ad essere abitata. I suoi occupanti, forse colti di sorpresa, forse convinti che la minaccia sarebbe passata, scelsero – o furono costretti – a restare.
Il soffio mortale del Vesuvio
La fine giunse come un colpo improvviso e totale. Secondo quanto ricostruito, dopo le prime fasi dell’eruzione – segnate dalla pioggia di pomici e lapilli – arrivò il colpo di grazia: la corrente piroclastica, un’onda incandescente di gas, ceneri e detriti che piombò su Pompei con forza devastante, penetrando in ogni angolo, spegnendo ogni vita e sigillando ogni cosa nel suo abbraccio rovente.
L’episodio, avvenuto nel tardo agosto del 79 d.C., trasformò Pompei in un’enorme capsula del tempo, ma anche in un cimitero silenzioso, che ancora oggi restituisce voci, corpi e storie.
Una memoria che interroga il presente
Il caso della Casa di Elle e Frisso non è solo una scoperta archeologica di grande rilievo, ma è anche uno specchio in cui si riflettono le ansie e le reazioni umane davanti al disastro. Quei gesti – il letto sbarrato, la fuga nel vano più sicuro, l’amuleto del bambino – ci parlano di una tragedia collettiva che è anche profondamente personale.
Pompei continua a emozionare e a insegnare, mostrandoci come la vita antica, pur nel suo essere distante, sia attraversata da emozioni e istinti ancora riconoscibili. Ogni nuova stanza scavata, ogni corpo ritrovato, ogni oggetto che riemerge, accende una luce sulla fragilità umana e sull’immutabilità del tempo.