Archeologia, oddio guardate laggiù, che splendore! Scavano. E’ come nella campagna di Roma. Il disegno. Le ricchezze. Cos’hanno trovato ora gli archeologi? Come leggere queste sontuosità? Cosa significa quel disegno blu e rosso?


Dalle aree dell’Impero di Roma. E’ una giornata di sole feroce, di quei soli estivi senza remissione che scuotevano i campi dipinti qui al sud da Van Gogh. I rosmarini e i cipressi dialogano con il terreno che esala un odore intenso di secco. E loro, gli archeologi, sono giù, lungo il terreno terrazzato. Il mosaico è davvero sconvolgente. Intatto. Somiglia a un quadro di Kodra o di un astrattista post-cubista del secondo Novecento. Somiglia anche a un circuito meccanico o elettronico. Un senso ce l’ha. Vuol dire fortuna, prosperità. Cercare la via perché tutto giri nel verso giusto.

Pulizia del mosaico in corso da parte degli archeologi © F. Giraud, Inrap

Siamo a Alès, cittadina di circa 40.000 abitanti situata a un centinaio di chilometri a nord-ovest di Nîmes, nel sud della Francia, nella gallo-romanissima regione dell’Occitania. Più precisamente, gli archeologi stanno lavorato sulle pendici dell’Ermitage, la collina che veglia su Alès, in un’area terrazzata che nei secoli ha accolto orti, vigne, e ora, un frammento di eternità.

Veduta d’insieme dell’area dello scavo preventivo, lungo terrazzamenti © Antoine Farge, Inrap

Tra febbraio e giugno 2025, una missione dell’Inrap (Institut national de recherches archéologiques préventives), su prescrizione dello Stato francese (DRAC Occitanie), ha condotto uno scavo preventivo su un’area di 3.750 metri quadrati. Il risultato? Un intero quartiere d’età romana, con tracce abitative, sistemi idrici ingegnosi e, soprattutto, una sala decorata da un mosaico splendido, una dei geometrici più belli e meglio conservati mai scoperte in questa parte della Gallia.


La domus ritrovata
Sette secoli di storia sepolta: dall’età romana all’Antichità tarda, tra lusso e pietà

Lo scavo ha portato alla luce un ampio edificio di circa 750 metri quadrati, probabilmente una domus, ovvero una casa urbana d’élite, costruita in pietre legate con terra. Per intenderci: non una villa di campagna, ma una palazzina, un palazzo urbano di quello che era sì, un paese di campagna, ma con un suo centro e le sue gerarchie sociali. La planimetria rivela due fasi costruttive ben distinte, segno di ristrutturazioni e ampliamenti nel tempo. I pavimenti, in origine di terra battuta, furono progressivamente sostituiti da strati in opera cementizia romana decorati da mosaici geometrici.

Particolarmente raffinato il sistema di drenaggio scoperto sul lato orientale: una canalizzazione formata da anfore tagliate e incastrate, utilizzata per raccogliere e allontanare le acque piovane dal tetto. Un’architettura ingegnosa, degna dei trattati di Vitruvio. Eccola qui sotto. Vedete i laterizi, simili ad imbuti, uno dentro l’altro?

Le pareti interne, benché fragili, conservano in alcuni punti tracce di intonaci dipinti, rari e sbiaditi, come ombre di un passato aristocratico. Il suolo di molte stanze poggia su un letto di braciere – un misto di scaglie di pietra e calce – che serviva da sottofondo tecnico alle pavimentazioni in calcare o in malta.


La sala dell’incanto
Un tappeto di tessere, rossi intensi e gialli solari, svela la stanza dell’ospitalità

Veduta d’insieme dell’area del mosaico e di quelle laterali. Questo disegno geometrico doveva apparire al centro della stanza © F. Giraud, Inrap

Ma il vero cuore dell’edificio, la scoperta che ha fatto sussultare di emozione il team dell’Inrap, è un mosaico policromo, un pavimento musivo di 4,50 x 3,80 metri, intatto e straordinariamente raffinato. L’alternanza tra colori chiari e scuri, crea, visivamente, delle borchie che sembrano levarsi sul pavimento stesso. Borchie o tende di un accampamento? E qual è la soluzione di entrata e di uscita di un labirinto che pare senza sviluppo? Si alludeva a un luogo inespugnabile? Quanto questo disegno vuole, al contempo, richiamare, in modo mistico un accampamento militare? Probabilmente non era una semplice decorazione. Forse alludeva a un tappeto – un tappeto della tradizione celto-romana – ma i tappeti antichi, come sottolinea Bernardelli Curuz, alludono spesso a giardini segreti o a orti conclusi, o a posti impenetrabili. “E’ l’impenetrabilità della bellezza che viene offerta ai padroni di casa e ai propri ospiti che vengono resi partecipi di un luogo segreto e della conoscenza di un genius loci”- afferma Bernardelli Curuz -. Anche perché i gallo-romani non erano inclini a decorazioni puramente estetiche, prive di un connotato magico, in grado di esercitare un’azione sulla realtà e sul destino.

Al centro, campeggia un tappeto di intrecci geometrici – con presenza di simboli arcaici del sole, quelle poi sinistramente trasformati in simbolo di una dittatura nel Novecento – realizzato con tessere bianche e nero-blu, mentre altre, quelle che conferiscono la linea principale del disegno sono tinte di rosso violaceo, forse con l’uso del rarissimo cinabro, pigmento ricavato dal solfuro di mercurio, prezioso e tossico, riservato ad ambienti di rappresentanza.

In altri punti del mosaico, tessere gialle suggeriscono giochi di luce e colore studiati con cura per sorprendere l’occhio e l’animo degli ospiti. Ai lati, due fasce di tessere bianche prive di decorazione pongono interrogativi: erano zone riservate a banchetti? Vi poggiavano panche o letti tricliniari?

@ Flore Giraud, Inrap

Su uno dei bordi – lo vediamo alla nostra sinistra, qui sopra una decorazione a croci bianche su fondo nero, – come il brillio della notte sulla città e della luna sulle acque di un fiume notturno – incorniciata in tessere candide, sembra indicare un’apertura: una soglia? Una porta verso un giardino interno? Il labirinto, le croci del sole i quadrati porterebbero a pensare a un meandro svasticato, tipico della decorazione musiva gallo-romana tra I e II secolo d.C., con forti valenze simboliche legate all’ordine cosmico e alla fortuna.


Un sapere da architetti dell’anima
Gestione delle acque, ambienti nella roccia, ingegneria nascosta sotto la bellezza

Accanto alla domus, le indagini hanno permesso di identificare quattro abitazioni rupestri, scavate in parte nella roccia calcarea. Un’architettura funzionale e lungimirante, pensata per gestire le infiltrazioni d’acqua e le variazioni termiche.

Le pareti erano rivestite con argilla impermeabilizzante, mentre le acque piovane venivano incanalate in condutture sotterranee realizzate in tegole, sostenute da strati drenanti di pietre. In queste strutture, la funzionalità dialogava con la bellezza.


L’ultimo silenzio: il cimitero tardoantico
Sopra le stanze della vita, le tombe dell’attesa: dieci sepolture svelano l’ultimo volto della collina

A sud del complesso, gli archeologi hanno rinvenuto una necropoli con dieci sepolture, databili tra la metà del V e la fine del VI secolo d.C., epoca dell’Antichità Tarda. I defunti, deposti con la testa rivolta a occidente, erano probabilmente avvolti in sudari o collocati in bare di legno, oggi scomparse ma intuite dai vuoti lasciati nel suolo.

Le tombe erano semplici, spesso coperte da pietre disposte a lastra, e prive di corredo funerario. Due ulteriori sepolture, isolate a nord-ovest, sembrano ricollegarsi a questa stessa fase. Analisi radiocarboniche in corso definiranno con maggiore precisione la cronologia.

Alès ai tempi di Roma

Luce del Sud, ricchezza nascosta. Quando l’Ermitage guardava il mondo romano da una terrazza di mosaico

Prima ancora che si chiamasse Alès, la collina dell’Ermitage dominava un territorio di confine. Un promontorio naturale circondato da vallate, carico di sole, affacciato sul fiume Gardon, che nell’antichità costituiva una sorta di spartiacque tra la Gallia celtica e il mondo già romanizzato della provincia Narbonense. In questo crocevia, fatto di colline ondulate, querce, viti e strade battute dai commercianti, sorse uno dei tanti oppida gallici, centri fortificati dell’età del Ferro che fungevano da capisaldi del potere tribale e da mercati regionali. Ma quello che stava sul colle dell’Ermitage aveva qualcosa di speciale.

Non si trattava solo di un centro militare o difensivo. Era anche un luogo abitato stabilmente da élite locali, in rapporti sempre più fitti con il mondo romano. Qui, fin dagli anni centrali del I secolo a.C., durante le guerre galliche di Cesare, iniziarono a comparire i segni tangibili di un incontro: frammenti di ceramiche fini, anfore da vino, monete, oggetti raffinati d’uso quotidiano. I Galli del luogo, presumibilmente legati alla tribù dei Volci Arecomici, iniziarono ad adottare stili di vita e modelli decorativi d’importazione romana, pur mantenendo un’identità propria.

Con la conquista, la romanizzazione trasformò gradualmente l’oppidum in un vero e proprio centro gallo-romano, integrato nella nuova amministrazione imperiale. Non si trattava però di una romanità imposta con la forza, ma di una lenta assimilazione culturale, che passava anche per l’architettura, le decorazioni, i pavimenti. Ed è proprio qui, su questa antica terrazza urbana a mezza costa, che i segni di quella trasformazione si fanno emozionanti.

Il mosaico scoperto sul versante orientale della collina, in una dimora riccamente decorata, rivela una padronanza sorprendente della tecnica e del gusto romano.

La continuità insediativa è confermata da altri reperti: resti ceramici, tracce murarie, testimonianze di attività agricole e artigianali. La collina dell’Ermitage non fu mai abbandonata del tutto. Al contrario, fu attraversata da epoche diverse, come un palinsesto di pietre, dove si scrivevano storie di adattamento, prosperità, ibridazione culturale.

In epoca alto-imperiale, Alès si configura dunque come un nodo secondario ma strategico, legato sia alle vie commerciali tra il Rodano e le Cevenne, sia alla produzione agricola della regione. Non fu mai elevata al rango di colonia o municipium, ma funzionò probabilmente come un centro semi-urbano, con case a patio, cisterne, botteghe, forse un piccolo foro, o un’area sacra. Un villaggio evoluto, dove l’architettura domestica diveniva il riflesso di una romanizzazione vissuta con naturalezza, tra pietre, viti, luce e mosaici.


Una collina tra orti e memoria
Dalle terrazze moderne alla città romana: la lunga storia di un paesaggio vissuto

Nel corso dell’età moderna, tra il XVI e il XVIII secolo, il sito fu trasformato in faïsses, le terrazze coltivate tipiche della regione, mentre nel XIX secolo subì nuovi rimodellamenti agricoli.

Sotto questi strati di terra e fatica, dormiva la città antica. Ora, riemerge con i suoi colori, le sue geometrie, i suoi silenzi di pietra.



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Redazione
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa