
Ora la scienza ha risolto il caso. Non un’orribile violenza privata. Ma ben di più, lungo sentieri kafkiani. E’ stato colui che punisce, non essendo mai responsabile della propria colpa. E’ stato colui che commette delitti, non potendo essere imputabile per delitto. Un uomo pulito, rispettabile, onorato.
Un’indagine archeologica durata oltre trent’anni ha così portato alla luce uno degli episodi più cupi e significativi della giustizia pubblica nell’Inghilterra altomedievale. Su di lei si abbatté la mano del giudice. Colpevole o non colpevole, non importa. Spesso, alla giustizia, serve una condanna qualsiasi che accresce la forza della corporazione e offre, in pasto, al popolo l’idea della sicurezza.
I resti di una donna brutalmente percossa e poi uccisa l1300 anni fa ungo le rive del Tamigi, ritrovati nel 1991, sono ora stati analizzati con strumenti moderni in uno studio pubblicato nel 2025 sulla rivista World Archaeology. La ricerca, firmata dalla bioarcheologa Madeline Mant (Mant et al., 2025), ha rivelato che non si trattò di una sepoltura qualsiasi, ma di una vera e propria messa in scena del potere punitivo, un’esecuzione femminile d’esempio – rara, studiata, simbolica.
Una sepoltura diversa da tutte
Il corpo esposto nella terra di nessuno
I resti identificati come UPT90 sk 1278 non furono sepolti secondo i riti cristiani dell’epoca, né occultati. Furono accuratamente disposti in superficie, in un luogo visibile e soggetto agli innalzamenti e abbassamenti del fiume, tra due strati di corteccia e adagiati su una stuoia di canne, con ciuffi di muschio collocati sul volto, sul bacino e sulle ginocchia. Era un trattamento funebre inusuale, quasi liturgico. O forse scenico. Il fiume stesso, con il suo ciclo perpetuo di allagamenti e ritiri, avrebbe mostrato e nascosto ciclicamente quel corpo ai passanti, rendendo il messaggio ancora più potente.
Secondo gli studiosi, quel tipo di esposizione poteva servire da monito: uno spettacolo fisico e morale, che sanciva la fine di una vita ma anche la riaffermazione di un ordine.
Il volto della violenza
Segni di percosse, torture e uccisione
L’analisi forense ha evidenziato oltre 50 lesioni traumatiche sul corpo della donna, inflitte in due fasi distinte e ravvicinate. Prima le scapole furono spezzate, in modo simmetrico, come conseguenza di forti colpi da dietro — lesioni che oggi si riscontrano in vittime di incidenti ad alta energia. All’epoca, quasi certamente, erano dovute a sevizie o a una fustigazione estrema. Successivamente, un’ondata di colpi si abbatté sul busto e sul cranio, fino al colpo letale: un impatto secco e preciso alla testa, che ne causò la morte.
Non si trattò dunque solo di un’esecuzione. Fu una messinscena di sofferenza e punizione, un rituale di espiazione imposto pubblicamente, forse destinato a rispecchiare una qualche colpa — reale o presunta — della vittima.
Una cittadina tra legge e destino
Vita breve, morte crudele
Dagli isotopi rinvenuti nelle ossa, si è potuto stabilire che la donna, morta tra il 680 e l’810 d.C., era del posto, probabilmente cresciuta nella regione del basso Tamigi. Aveva tra i 28 e i 40 anni e aveva sofferto, da bambina, di carenze alimentari gravi. La sua vita sembra inscriversi nella traiettoria tipica delle classi più povere dell’Inghilterra anglosassone. Ma la sua morte, per modalità e collocazione, la colloca in un territorio eccezionale e perturbante.
Il tempo della legge
L’evoluzione brutale delle pene
Il periodo in cui visse coincide con una fase di drastico mutamento giuridico in Inghilterra. Dai codici più antichi, come quello di Etelberto di Kent, che prevedevano pene pecuniarie, si passò rapidamente a norme più rigide: Wihtred introdusse punizioni corporali, e sotto Re Alfredo le esecuzioni divennero legali per reati gravi come il furto, il tradimento, la magia e la stregoneria.
“Col passare del tempo”, osserva Mant, “sempre più crimini vennero associati alla pena di morte… fu un periodo di evoluzione giuridica.”
E di affermazione spettacolare della giustizia. Uccidere non bastava: bisognava far vedere che si era ucciso, e perché.
La giustizia e il genere
Perché una donna? Perché così?
Le donne giustiziate in modo così visibile erano pochissime. Le sepolture di condannati, quando presenti, mostrano una netta prevalenza maschile (rapporto 4,5 a 1). Questo rende il caso di UPT90 sk 1278 eccezionale anche sotto il profilo di genere. Il suo corpo non era soltanto un esempio: era un simbolo.
La punizione esemplare al femminile, in una società che normalmente tendeva ad altre forme di controllo sul corpo delle donne, lascia spazio a diverse ipotesi: era accusata di stregoneria? Aveva infranto qualche norma religiosa o sociale legata alla sessualità? O si trattava di una marginale, una deviata, che il potere aveva scelto di rendere visibile nella sua distruzione?
Il luogo dell’infamia
Il fiume come confine e condanna
Il Tamigi non era solo un corso d’acqua. Era un confine: tra vita e morte, tra città e wilderness, tra sacro e profano. Molte comunità anglosassoni consideravano la riva del fiume uno “spazio liminale”, ideale per gettare, esporre o relegare coloro che si trovavano fuori dall’ordine.
E la marea diventava alleata: saliva a coprire le vergogne, poi si ritirava mostrando la pena inflitta. Un teatro ciclico e crudele della giustizia medievale.
Una storia tornata a galla
Scienza forense e archeologia riscrivono il Medioevo
Oggi, grazie all’archeologia forense e alla potenza narrativa dell’osteobiografia, questa donna dimenticata torna a parlare. La sua storia, ricostruita da Mant e colleghi, arricchisce il nostro sguardo sulla giustizia pubblica altomedievale. Non si trattava solo di punire: si voleva ammonire. Il corpo punito diventava messaggio, dottrina, spettacolo e simbolo.
In un tempo in cui il potere era ancora incerto e il diritto in formazione, il cadavere visibile era il foglio su cui si scriveva la legge. E il Tamigi, con il suo incessante andare e venire, era il palco ideale.
Fonte studio:
Mant, M., Brooks, S. T., & Holst, M. (2025). A riverine burial and the performance of punishment in early medieval England. World Archaeology.
Museum of London Archaeology (MOLA), scheda UPT90 sk 1278.