Archeologia. Scavano nel bosco della Strega. E cosa trovano? Cosa sono questi oggetti antichi? “Appartenevano a una donna vissuta 2000 anni fa”. Ma a cosa servivano? Rispondono gli archeologi

Tra le colline boscose di una terra carica di leggende e misteri, un ritrovamento inatteso sta suscitando notevole clamore. Nei pressi delle terre rosse, di roveri e olmi, a poco meno di 600 metri di altitudine – nel Bosco della strega – sono stati trovati oggetti antichissimi. A che servivano? Erano collegati alla leggenda che colloca qui la presenza di un donna misteriosa, che viveva nel luogo isolato? Ci addentreremo tra fibule, bracciali e simboli solari per ricostruire la storia di un tesoro che parla la lingua dei Daci.


Dove tutto ha avuto inizio: la località della scoperta

Il tesoro è venuto alla luce i questi giorni – ne dà notizia il Comune – nei pressi della comune di Breaza, nella contea di Mureș, una regione situata nel cuore della Transilvania romena. Una zona finora poco associata alla presenza materiale della civiltà dacica, ma ora proiettata al centro dell’interesse scientifico grazie a questa scoperta senza precedenti. Breaza si trova in una valle circondata da dolci rilievi collinari, un territorio che, all’epoca preromana, costituiva una delle frontiere del mondo dacico. Gli oggetti, facenti parte di un complesso set decorativo coordinato forse appartenente a una donna, erano stati sepolti insieme, circa 2000 anni fa. Nel luogo non sono state trovate tracce di sepolture, anche se la pratica dell’incinerazione avrebbe potuto cancellare i segni di un antico rituale funerario. Altra ipotesi? Che l’argento, che aveva un valor molto elevato, sia stato nascosto per timore che qualcuno lo potesse rubare, magare durante un’incursione nemica. Ma restano tante leggende, sul luogo. Tante storie inquietanti, che sono state tramandate nei secoli, durante le lunghe notti transilvane. Leggende che, come abbiamo visto, hanno un nucleo di verità. Come quei fuochi fatui che, nelle notti d’estate inseguivano i passanti, oscillando nell’oscurità. Chi abitava nel bosco? Oppure: poco lontano dal punto del ritrovamento del set d’argento c’era un santuario pagano? Gli archeologi stanno perlustrando la zona.

Pesanti collane d’argento subito dopo il recupero

Il ritrovamento è stato effettuato da due appassionati esploratori con metal detector, Dionisie-Aurel Moldovan e Sebastian-Adrian Zăhan, che hanno immediatamente segnalato il tutto alle autorità. Un gesto di rara correttezza, che ha permesso agli archeologi del Museo della Contea di Mureș di intervenire tempestivamente e recuperare gli oggetti nel loro contesto originario.


Il tesoro: una collezione d’argento di raffinata bellezza

Il ripostiglio contiene sei manufatti in argento finemente lavorati, per un peso complessivo di circa 550 grammi. La varietà tipologica e la qualità della lavorazione indicano un insieme unitario, forse appartenuto a un singolo individuo di alto rango — probabilmente un membro dell’aristocrazia dacica, o comunque a un personaggio con un importante ruolo sociale o religioso.

I reperti includono:

  • Un ampio bracciale decorato con motivi vegetali, probabilmente simbolici e stilizzati secondo il gusto artistico dacico;
  • Tre fibule, ovvero spille da abbigliamento: due allungate, sobrie e con piastre romboidali, e una più piccola con quattro nodi arrotondati;
  • Una collana con pendenti a forma di chiodo, dalla funzione forse rituale, composta da una catena chiusa con un anello terminale;
  • Una cintura composta da placche ovali e anulari, con una piastra rettangolare centrale decorata con motivi solari, chiaro indizio del legame tra questi oggetti e la sfera del sacro.

Appartenenza culturale: la raffinata arte dei Daci

Questi oggetti appartengono con sicurezza alla cultura dacica, popolazione traco-illirica stanziata nei territori dell’attuale Romania e Moldova tra il I millennio a.C. e l’epoca della conquista romana nel 106 d.C. L’arte dacica, fortemente influenzata dai modelli celtici e greci ma con un marcato stile autoctono, si distingue per l’uso del simbolismo naturalistico, per la geometrizzazione delle forme e per la capacità di unire funzione e ornamento.

In particolare, il bracciale con motivi vegetali richiama una lunga tradizione decorativa che simboleggia fertilità, rigenerazione e potere, mentre il sole, rappresentato sulla cintura, allude al pantheon dacico, dove l’astro diurno aveva un ruolo centrale, forse come divinità suprema o simbolo di eternità.


Una datazione cruciale: tra la fine dell’indipendenza e l’avvento di Roma

Sebbene le analisi archeometriche siano ancora in corso, gli studiosi ipotizzano una datazione tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., periodo segnato da intensi mutamenti socio-politici per i Daci. Si tratta degli anni in cui il regno di Burebista e, successivamente, quello di Decebalo, affrontarono prima la pressione delle tribù vicine e poi l’espansione imperiale di Roma.

Il contesto della scoperta — avvenuta non in un sepolcro, ma sotto terra, in un’area di probabile insediamento — fa pensare a un deposito votivo o a un nascondiglio d’emergenza, forse collocato in un momento di pericolo imminente, come durante l’invasione romana o un conflitto interno.


Rituale o fuga? Le ipotesi degli archeologi

Cosa rappresentava dunque questo tesoro? Le interpretazioni possibili oscillano tra due estremi: una sepoltura votiva, offerta agli dei per ottenere protezione o esprimere gratitudine, oppure un tesoro nascosto frettolosamente, nella speranza che potesse essere recuperato in tempi migliori.

Questa duplice lettura è tipica dei contesti protostorici, dove gli oggetti d’oro o d’argento venivano talvolta sepolti non per essere usati, ma per comunicare con l’aldilà, per sigillare un patto sacro, o per salvare ciò che restava del potere in tempi incerti. Qualcuno, nella cittadina, parla di una donna notturna che mangiava i passanti che si fossero arrischiati nel bosco. Pur a livello di battuta grottesca, qualcuno pensa che tutti quegli argenti fossero parte delle decorazioni di un vestito di una ragazza che doveva essere scomparsa nel bosco 2000 anni fa.

Antiche decorazioni metalliche di abiti romeni antichi

Il valore storico della scoperta

Oltre al pregio estetico e materiale, la scoperta ha un valore storico fondamentale. Si tratta infatti della prima evidenza materiale concreta di una presenza dacica stabile nella zona di Breaza, in una regione che finora era rimasta ai margini della mappa archeologica dell’antico regno dei Daci. Questo cambia radicalmente la percezione dell’estensione territoriale e della distribuzione culturale di questo popolo.

Inoltre, la varietà e la qualità degli oggetti suggeriscono una sofisticata gerarchia sociale, in cui l’aristocrazia si distingueva non solo per il ruolo politico, ma anche per la disponibilità di oggetti simbolici ed estetici.


Uno scrigno che apre nuove vie alla ricerca

Il tesoro dacico di Breaza non è solo una collezione di splendidi gioielli in argento. È una testimonianza silenziosa ma eloquente di un mondo perduto, che oggi ci parla di identità, spiritualità e crisi. È un invito a riscrivere la storia, ad ampliare la mappa culturale della Dacia antica e a continuare l’indagine sulle modalità in cui le popolazioni europee pre-romane hanno costruito i loro simboli, i loro riti, le loro memorie.

Grazie all’intuito e alla correttezza di due cercatori dilettanti, e al pronto intervento delle autorità culturali locali, questo scrigno millenario è tornato alla luce, pronto a rivelare — centimetro dopo centimetro, ornamento dopo ornamento — le pieghe ancora oscure della nostra antichità.

Leggende che indicano resti antichi

La memoria collettiva, pur nella trasfigurazione, indica spesso luoghi che paiono contenere ricordanze di eventi immaginari. In verità non si tratta di sole leggende.

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Redazione
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa