Lo immaginiamo come un ragazzo ventiduenne, accorto, astuto, probabilmente leale; con tanti sogni per il futuro. Giulio Cesare fu in questo luogo, per combattere i pirati. Qualche decennio dopo sarebbe giunto un altro piccolo generale, che avrebbe realmente sconvolto il mondo. Sarebbe giunto con le sue parole. Parole davvero nuove.
Un messaggio di luce per chi entra
C’è qualcosa che abbraccia il cuore e i sensi nei ritrovamenti archeologici di Olimpo, sulla costa mediterranea della Turchia, dove l’estate sembra brillare anche sotto i lastroni antichi. Proprio qui, in uno dei più importanti siti della Licia romana e paleocristiana, è emerso un mosaico all’ingresso di una chiesa del V secolo d.C., con un’iscrizione greca tanto semplice quanto potente: “Solo chi è sulla retta via può entrare qui”.
Il messaggio, inciso con piccole tessere accuratamente disposte, si offre oggi agli occhi degli archeologi come un’antica soglia, un invito alla purezza dell’anima prima ancora che del corpo. È uno di quei rari momenti in cui l’archeologia non solo ricostruisce un edificio, ma ci restituisce un frammento vivo del pensiero, della fede e del linguaggio di un mondo scomparso. “La chiesa, dopo quella scritta, si doveva aprire a una frescura piena di luci lussureggianti; mosaici; profumi e bellezza. – dice Maurizio Bernardelli Curuz – Foglie, tratteggiate a mosaico sul pavimento, ricordavano il paradiso, l’oasi perduta dell’infanzia del mondo e di ogni nostra infanzia individuale. E quella scritta, nel clipeo, “Solo chi è sulla retta via può entrare qui” era un invito e un ammonimento che rappresenta già un messaggio di esclusione, di una chiesa che era già una struttura di potere, in parte non cristiano. Forse avrebbero dovuto scrivere : “Chi non è sulla retta via, non può vedere, qui”. E’ il vedere, il partecipare al mondo meraviglioso dei puri, entrando, che ci dischiude una realtà-altra. Omnia munda mundi. Solo la purezza garantisce uno sguardo limpido e l’apertura ad un altro mondo”.
Il direttore degli scavi: “Olympos continua a sorprendere”
“Una delle città più ricche della Licia per mosaici”. Parola del professor Gökçen Kurtuluş Öztaşkın
A comunicare il ritrovamento è stato il direttore della missione archeologica, il prof. associato Gökçen Kurtuluş Öztaşkın dell’Università di Pamukkale, che da anni guida lo studio sistematico del sito. Con soddisfazione, ha dichiarato che la città di Olimpo continua a offrire scoperte straordinarie e che “si conferma una delle località più ricche della Licia per la presenza di pavimenti musivi”.
Non si tratta, infatti, di un caso isolato. Già nel 2017, 2022 e 2023 erano stati scoperti numerosi mosaici, decorati con motivi geometrici, vegetali e iscrizioni dedicatorie. Ma il ritrovamento di questa fase, più recente, si distingue per la sua carica spirituale ed evocativa.
Bellezza nella fede: pavimenti a motivi botanici e dediche ai benefattori
I mosaici raccontano una comunità viva, che pregava con i piedi sulla bellezza
Accanto alla nuova iscrizione, sono emerse vaste sezioni musive nella navata principale e nelle aree annesse della chiesa. I disegni mostrano eleganti ornamenti geometrici e botanici, simili a viticci, foglie stilizzate, intrecci che richiamano la vitalità del giardino paradisiaco. Alcune iscrizioni riportano i nomi dei donatori, che con offerte in denaro avevano voluto contribuire alla decorazione sacra. Gesti che rivelano una comunità cristiana attiva, orgogliosa del proprio edificio di culto.
In una città come Olimpo, che già in epoca ellenistica era una delle sei più grandi della Lega Licia, l’arte musiva non era un semplice ornamento: era una forma di devozione, un linguaggio teologico tracciato in pietra.
Una città con il sale della storia: dai pirati cilici a Giulio Cesare
Un porto di desideri, battaglie, pellegrinaggi: la lunga vita di Olympos
Fondata nel III secolo a.C. e protetta da un’insenatura oggi incantevole e selvaggia, Olimpo è stata teatro di episodi degni di un romanzo. All’inizio del II secolo a.C. fu occupata dai pirati cilici, che la usarono come base navale e rifugio segreto, finché nel 78 a.C. il proconsole Publio Servilio Isaurico, affiancato da un giovane e promettente Gaio Giulio Cesare di appena 22 anni, non sconfisse il re-pirata Zekenite in una brillante campagna militare. La città venne annessa stabilmente al mondo romano e conobbe un lungo periodo di splendore, arricchendosi di monumenti e infrastrutture.
Nel 131 d.C., l’imperatore Adriano visitò personalmente Olympos. Da allora, la città assunse anche il nome di Hadrianopolis e si trasformò in centro cristiano di primo piano, diventando sede vescovile già nel III secolo. I suoi vescovi parteciparono attivamente a sinodi e concili, compresi quelli di rilevanza ecumenica.
Una cattedrale del tempo: la chiesa n.1 e la rinascita dell’archeologia sacra
Dal 2006, scavi senza sosta: un laboratorio di fede e scienza
Gli scavi moderni a Olympos sono iniziati nel 2006, ma è solo negli ultimi quattro anni che i lavori sono proseguiti senza interruzioni stagionali. Gli archeologi hanno riportato alla luce tre grandi chiese (n.1, n.3 e forse una seconda basilica minore), il palazzo vescovile, tombe monumentali e altre strutture religiose connessi al culto e alla vita cristiana tra tardo antico e altomedioevo.
La chiesa n.1, in particolare, si distingue per la qualità delle decorazioni musive e per la presenza di iscrizioni che offrono informazioni preziose sulla liturgia, sulla committenza e sulle modalità di costruzione. Il mosaico appena emerso, collocato strategicamente all’ingresso, sembrerebbe funzionare come una soglia iniziatica, un monito spirituale per i fedeli prima ancora di varcare la navata.
L’eco dei primi cristiani tra luce e pietra
Un’antica soglia parla al presente: chi è sulla “retta via” può ancora entrare?
Il valore simbolico del messaggio – “Solo chi è sulla retta via può entrare qui” – va ben oltre la funzione decorativa. La frase riassume un’intera visione del mondo: la chiesa non era solo uno spazio architettonico, ma un luogo di passaggio sacro, destinato solo a chi si purificava interiormente.
In un tempo in cui la fede si esprimeva anche con l’arte, il mosaico era una porta di parole e colori, un messaggio silenzioso che ogni fedele calpestava entrando, sentendosi forse giudicato, forse accolto. Un invito alla rettitudine, alla conversione, al cammino interiore. Un’espressione concreta della spiritualità paleocristiana, che non separava mai l’etica dalla liturgia.
La retta via e la dritta via
Immagini del cammino giusto tra Bibbia e letteratura cristiana
“Nella tradizione biblica e cristiana, il concetto della via come immagine della condotta umana è tra i più antichi e suggestivi. – dice Maurizio Bernardelli Curuz – All’interno delle Scritture, e ancor più nel patrimonio spirituale successivo, l’espressione “retta via” – o, nella rielaborazione letteraria italiana, “dritta” o “diritta via” – diviene metafora potente di una vita conforme al volere divino, in contrapposizione ai sentieri oscuri dell’errore e del peccato. Sbagliare fisicamente una strada o un sentiero, a quell’epoca, significava realmente morire. Per questo la metafora doveva apparire di una violenza che oggi non percepiamo”.
Già nei Libri sapienziali dell’Antico Testamento, il Signore è rappresentato come colui che “raddrizza i sentieri” di chi lo riconosce nelle proprie vie (Proverbi 3,6). L’uomo giusto, nel pensiero biblico, cammina su un percorso diritto, mentre colui che è preda dell’inganno o della malizia percorre vie tortuose. Isaia, con toni profetici e solenni, annuncia che nel deserto va preparata “la via del Signore”, invitando a raddrizzare la strada per il Dio che viene (Isaia 40,3). È un’immagine che ritroveremo anche nel Nuovo Testamento, applicata alla predicazione di Giovanni Battista, voce che grida nel deserto per predisporre i cuori all’avvento del Messia.
Ma il riferimento più netto alla “via diritta” nel Nuovo Testamento si ha negli Atti degli Apostoli (13,10), quando Paolo apostrofa Elimas il mago come “nemico di ogni giustizia”, accusandolo di pervertire “le vie diritte del Signore”. Qui la “via diritta” non è soltanto una condotta morale: è un cammino già tracciato da Dio stesso, un disegno salvifico che l’uomo può seguire o ostacolare.
La tradizione patristica riprende questo simbolismo con forza. Nei testi dei Padri del deserto, la vita spirituale è spesso descritta come un cammino che può deviare per superbia, accidia o tentazione. Giovanni Cassiano, nelle sue Conferenze, parla della necessità di mantenere la “via diritta del cuore”, mentre Gregorio di Nissa descrive la progressiva ascesa verso Dio come un pellegrinaggio che richiede discernimento e rettitudine.
Tuttavia, è con la Divina Commedia che l’immagine si scolpisce nell’immaginario collettivo: nel proemio dell’Inferno, Dante scrive di essersi smarrito in una “selva oscura”, dopo aver perduto la “diritta via”. Qui l’espressione, pur non presente testualmente nella Bibbia, attinge al suo intero orizzonte simbolico. La “dritta via” rappresenta il cammino della salvezza, dell’ordine divino, della vocazione spirituale che, se persa, espone l’anima al caos e al pericolo.
L’eco di queste immagini ha attraversato secoli di pensiero cristiano, predicazione, arte e poesia. Parlare di “retta via” o di “dritta via” significa dunque evocare non solo un percorso morale, ma anche una tensione spirituale: l’uomo, pellegrino nell’ombra, cerca la luce di un sentiero tracciato oltre il proprio orizzonte. E, nell’antica sapienza di Israele come nella poesia di Dante, quel cammino è sempre diritto, ma mai privo di ostacoli. Sta all’uomo scegliere se incamminarsi, tornare, o smarrirsi ancora.