Archeologia. Scoperte. La donna, l’asinello, i doni di 2000 anni fa. Come Santa Lucia. Trovate in Bulgaria tombe romane che ricordano le figure per l’infanzia amate tra Brescia, Bergamo, Verona, Mantova, Cremona e Trento. Come si spiega questa stranezza?

Crematori, statuette e giochi d’infanzia in un mondo che profuma di passato

Nel cuore del confine balcanico, dove le montagne dividono la Bulgaria dalla Grecia, una campagna di scavi condotta in questi mesi del 2025 ha portato alla luce un incredibile patrimonio dimenticato del I-II secolo dopo Cristo. Sotto la polvere della necropoli occidentale dell’antica città di Heraclea Sintica, il tempo ha restituito gioielli d’oro, vetri romani, urne funerarie, e persino i resti di un antico giocattolo: piccole ruote per accompagnare un’infanzia spezzata. Ma c’è di più: in una delle tombe, protetta dal silenzio per quasi duemila anni, è riemersa una statuetta in terracotta della dea Epona, la divinità celtica dei cavalli e della fertilità, che nelle leggende popolari dell’Italia settentrionale ha lasciato un’eco duratura nella figura luminosa di Santa Lucia, la portatrice dei doni invernali.

Il fascino discreto di una divinità dimenticata

Epona, la madre-cavallo che cavalca verso i bambini della notte

In un contesto dominato da riti funerari greco-romani, il ritrovamento di una statuetta dedicata a Epona rappresenta un elemento di straordinaria suggestione. Epona, spesso raffigurata a cavallo o con cavalli al suo fianco, era venerata in tutto l’Impero, soprattutto nelle province galliche – dalla quale aveva probabilmente tratto origine prima -, balcaniche e danubiane. Protettrice dei viaggiatori, della fertilità e della vita ultraterrena, era anche custode dei passaggi iniziatici. Non si può escludere che alcune tombe romane qui trovate appartenessero a defunti provenienti da ceppi romani di origine gallica, qui trasferitisi con l’esercito o in seguito alla distribuzione di terre. Quindi il culto di Epona si trova, a macchia di leopardo, sia in aree celtiche che nelle zone dell’impero romano nelle quali, in seguito ad immigrazioni favorite dal governo romano, si insediarono elementi gallo-romani, compresi coloro che provenivano dalla futura Lombardia.

Non è un caso che l’immagine traslata di Epona si sia impressa nel folclore europeo fino a trasformarsi, nei secoli, nella figura dolce e benefica di Santa Lucia, che ancora oggi, tra Lombardia, Trentino e Verona, porta doni ai bambini nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, viaggiando con il fido asinello. Un filo ininterrotto unisce quindi la valle del fiume Struma alla Pianura Padana, passando per secoli di riti e racconti tramandati sottovoce.

Un giocattolo per l’eternità

Ruote spezzate, piccole mani perdute, e l’eco di un’infanzia interrotta

In un’altra tomba, quella che ha sorpreso gli archeologi con una tegola danneggiata, è stato ritrovato un oggetto con ruote, interpretato come un giocattolo funerario. Il prof. Lyudmil Vagalinski – direttore degli scavi – ha confermato che si tratta con ogni probabilità della sepoltura di un bambino. Il piccolo cavaliere – che sormontava un cavallino con le ruote – è stato decapitato dai ladri di tombe dell’antichità, ma sembra custodire un ultimo messaggio d’amore lasciato da genitori sconosciuti.

Il suo silenzio è quello di tanti bambini sepolti lungo la strada della romanizzazione: figure fragili in una storia di adulti e imperi. I materiali dovranno essere ulteriormente vagliati, ma è possibile ipotizzare – osservando i corredi – una particolare attenzione di questa parte della necropoli, alle donne e ai bambini.

Urne, catene, metalli preziosi

Cremazioni, sepolture e sorprese sotto le pietre

Il cantiere, aperto in seguito all’ampliamento del gasdotto Bulgaria-Grecia, ha prodotto risultati eccezionali fin dai primi giorni: 13 cremazioni e 4 sepolture a inumazione sono state identificate nel solo mese di giugno. In 15 urne rinvenute, una conteneva una catena intrecciata e un anello metallico, segni tangibili di affetti, status e ritualità ancora da decifrare completamente.

Particolarmente impressionante è stata la scoperta di una grande tomba chiusa con enormi pietre scolpite, fissate da staffe in ferro. Nonostante il saccheggio antico abbia lasciato il sepolcro spoglio, la sua monumentalità testimonia l’importanza del defunto, probabilmente un membro di spicco della comunità.

Tra i materiali anche lucerne, tra le quali si segnala un lume che, sul tamburo reca una figura eroica, forse lo stesso Eracle-Ercole – a cui si deve il nome della città stessa di cui era protettore – che uccide un serpente, probabile eco dell’ Idra e dei serpenti che egli annientò nella propria culla.

E’ la luce che uccide il Male e che annienta la tenebra mostruosa della morte.

Dove si trova Eraclea Sintica

Tra i monti del mistero, vicino al confine greco, sotto il sole ardente del sud-ovest bulgaro

Eraclea Sintica si trova nella Bulgaria sud-occidentale, nei pressi dell’attuale villaggio di Rupite, nel comune di Petrich, a meno di 15 km dal confine greco.
La zona è dominata dal paesaggio solare e movimentato del massiccio del Belasica, una catena montuosa che segna i margini tra Bulgaria, Grecia e Macedonia del Nord. Sofia dista circa 160 km verso nord.

Il sito archeologico si colloca sulla riva destra del fiume Struma, in una valle ricca d’acque termali, frequentata ancora oggi per le proprietà terapeutiche.
La vicinanza all’antica via militare che collegava la Macedonia con l’Egeo fece della città un nodo chiave, strategico e commerciale.

La romanizzazione di Heraclea Sintica

Un’identità tracia che si piega senza spezzarsi: dai Sinti ai consoli, la città cambia volto

Originariamente fondata in epoca ellenistica con elementi di cultura tracia, Heraclea Sintica fu oggetto di una graduale e profonda romanizzazione a partire dal I secolo a.C.
Dopo la dissoluzione del regno macedone e la creazione della provincia romana di Macedonia (148 a.C.), l’insediamento entrò nell’orbita imperiale, mantenendo però tratti identitari distintivi: la popolazione dei Sinti, di origine tracia, fu progressivamente integrata nel tessuto romano, in una osmosi culturale che è leggibile ancora oggi nei rituali funerari e nei culti religiosi.

La città ricevette il titolo di civitas, adottando l’urbanistica tipica romana – foro, basiliche, templi, necropoli organizzate – ma continuò a esprimere una religiosità popolare sincretica, dove dee galliche come Epona convivevano con Marte e Dioniso.
Una prova, questa, di come l’Impero romano non cancellasse, ma metabolizzasse le identità locali, riscrivendole in una lingua comune: quella dei morti, delle monete e dei mattoni.

Un’eco bizantina e i misteri della continuità

Rifugi di pietra e memorie a lungo sopravvissute alla caduta dell’Impero

Sebbene Heraclea Sintica sia spesso raccontata come una città romana, gli archeologi sottolineano oggi la lunga durata del sito fino all’epoca bizantina avanzata, tra VI e VII secolo d.C. Frammenti ceramici, resti di mura e segni di riutilizzo dei sepolcri mostrano una continuità d’uso o almeno di frequentazione, forse legata a piccoli gruppi di pastori, eremiti, o culti locali mai del tutto spenti.

Non si tratta più di una civitas splendida e trafficata, ma di un luogo della soglia, dove i vivi si incontrano con l’antico, e i morti rimangono a guardare.

Condividi l'articolo su:
Redazione
Redazione

Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa