Il pavimento era di terra battuta, compatta e scura. Le mura raccontavano secoli di silenzi, di presenze dimenticate. In una stanza chiusa, probabilmente l’alcova di una casa di tolleranza medievale, una piccola tomba emerge lentamente dallo scavo. Nessuna lapide, nessuna croce, solo un fragile scheletro infantile, adagiato con una cura che sorprende e commuove. Chi ha sepolto quel bambino? E perché proprio lì, nel cuore di un luogo considerato peccaminoso dalla morale del tempo?
Cosa ci faceva un neonato all’interno di un bordello del Trecento? E, soprattutto, chi si prese cura di lui prima che la morte lo reclamasse? Le risposte arrivano da una combinazione di tecnologie all’avanguardia e archeologia emotiva. Ed è in questo frammento d’infanzia, in questo corpo minuscolo dimenticato dalla storia, che si nasconde una delle scoperte più umane degli ultimi anni. Un gancio invisibile ci tira indietro nei secoli, oltre i pregiudizi, fino al cuore pulsante di una maternità nascosta, ma viva.

Luogo e contesto storico
Siamo ad Aalst, una cittadina del Belgio orientale, nel cuore delle Fiandre. Durante scavi archeologici condotti nel 1998, all’interno di un edificio identificato come bordello del XIV secolo, gli archeologi della Flanders Heritage Agency rinvengono una sepoltura anomala: quella di un neonato. La collocazione – non in un cimitero ma all’interno di una stanza – attira subito l’attenzione degli studiosi. Analisi architettoniche e materiali confermano la natura dell’edificio: era una casa di tolleranza attiva nel pieno Medioevo, in un’epoca in cui il commercio sessuale era tollerato ma stigmatizzato, e la maternità delle lavoratrici del sesso spesso invisibile.
La scoperta: dettagli tecnici e unicità
Il piccolo corpo, identificato come AA.OV/161, è stato ritrovato in posizione supina, deposto con cura in un vano del pavimento. Gli esami osteologici indicano un’età inferiore all’anno. Ma è l’uso della biochimica avanzata a svelare i dettagli più sorprendenti: tramite analisi isotopiche e DNA antico (aDNA) si scopre che il neonato era nutrito al seno, un dato che esclude l’abbandono precoce o l’infanticidio subito dopo il parto. La stabilità dei valori isotopici nelle ossa suggerisce una cura costante, almeno nei primi mesi di vita.

Questa è la prima volta nella storia dell’archeologia medievale che una simile prova scientifica certifica l’allattamento all’interno di un contesto così marginale.
I reperti e il loro significato
Non sono stati trovati oggetti di corredo, ma la scelta del luogo di sepoltura, in una stanza interna e non marginale, è un indizio potente. Gli studiosi ritengono che il piccolo sia stato accolto e curato all’interno della comunità femminile del bordello. Le donne, spesso escluse dalla narrazione storica ufficiale, emergono qui come figure capaci di creare legami affettivi e reti di supporto.
Le tecniche analitiche utilizzate – in particolare il campionamento dentale per l’aDNA – aprono nuove prospettive su come leggere le vite quotidiane di soggetti invisibili, come le lavoratrici del sesso e i loro figli.
Interpretazioni e domande aperte
Secondo il bioarcheologo Maxime Poulain, responsabile dello studio pubblicato nel 2025 su Archaeological and Anthropological Sciences, questa scoperta obbliga a «ripensare radicalmente il ruolo della maternità nei bordelli medievali». Lungi dall’essere solo luoghi di sfruttamento e marginalità, i bordelli potevano essere anche microcosmi di relazioni umane, dove le donne non rinunciavano al diritto di essere madri.
La sepoltura non fu nascosta, né frettolosa: fu un gesto rituale, forse di lutto condiviso. Ma chi era la madre? Una delle lavoratrici? Una serva? Un’abitante della casa? L’assenza di documenti rende difficile rispondere, ma le tecnologie bioarcheologiche potrebbero in futuro chiarire anche questi interrogativi.
La scoperta solleva nuove domande:
- Quanti altri bambini vissero (e morirono) nei bordelli medievali?
- Esistono altre sepolture simili mai identificate?
- Come si intrecciavano marginalità sociale e legami familiari nel Medioevo urbano?
Questa scoperta è un colpo al cuore e alla mente. Un solo scheletro, minuscolo, racconta una storia di cura e presenza, là dove la storiografia aveva visto solo sopravvivenza e vergogna. E ci ricorda che l’archeologia, grazie alla scienza, può restituire voce anche ai più piccoli, ai dimenticati, agli ultimi. Una voce che – attraverso il silenzio delle ossa – parla d’amore, maternità e umanità.