A Toul (Lorena), scoperti i resti di una statua equestre rinascimentale sepolta accanto alla porta medievale demolita: un cavaliere classicheggiante, che riecheggia gli studi di Leonardo da Vinci, Donatello, Verrocchio sulla figura di un uomo politico romano, a cavallo, che era conservata a Pavia. Una scoperta emozionante che apre nuove strade di indagine sul Rinascimento in Francia.

A Toul, storica città della Lorena a 300 km da Parigi, il terreno ha restituito una trentina di frammenti di pietra e che raccontano una storia sospesa tra Rinascimento italiano, ambizioni monarchiche francesi e l’ombra lunga di Leonardo da Vinci. I blocchi, studiati in queste settimane dagli archeologi francesi, sembrano appartenere a una statua equestre di notevoli dimensioni, forse collocata originariamente sulla sommità di una porta urbana, oggi scomparsa. Il monumento – o ciò che ne resta – sembra potersi datare al Cinquecento, con ogni probabilità alla seconda metà del secolo, in coincidenza con il regno di Enrico II, figlio del celebre Francesco I.
Ma chi era Francesco I? Fu lui, nel 1516, a chiamare Leonardo in Francia, ospitandolo con tutti gli onori presso il castello di Clos-Lucé, ad Amboise, dove l’artista toscano visse gli ultimi tre anni della sua vita. Un sovrano raffinato e ambizioso, cultore delle arti, collezionista appassionato e legato in modo profondo all’Italia, anche perché figlio di un’italiana.
I lavori stradali diventano scoperta: a Toul si apre un varco nel tempo
Riemersa la Porta “La Place”, simbolo della città medievale e moderna
Nel cuore della cittadina di Toul, nel dipartimento della Meurthe-et-Moselle, a 300 km da Parigi e non lontana da Nancy, gli archeologi dell’Inrap (Institut national de recherches archéologiques préventives) hanno intercettato i resti dimenticati della porta settentrionale medievale della città, nota nel XVI secolo come Portae platae, cioè Porta della piazza. Il ritrovamento è avvenuto durante un cantiere di rifacimento urbano, occasione perfetta per il monitoraggio archeologico preventivo.
Questo varco monumentale era stato abbattuto poco dopo il 1700 per ordine delle autorità militari francesi, durante le imponenti campagne di rinnovamento difensivo promosse da Sébastien Le Prestre de Vauban, celebre ingegnere del re Sole. Sotto la strada moderna sono emerse mura fortificate, cave di accesso e tratti di muratura che suggeriscono una struttura articolata e fortemente difensiva. Ma ciò che ha fatto letteralmente tremare il cuore degli archeologi è apparso davanti alla porta, nel tratto interno alla città: una fossa colma di terra e frammenti lapidei, a più di un metro di profondità. Nella buca varie parti di un cavallo con cavaliere, scultura in pietra fatta a pezzi durante il rifacimento delle mura.
La notizia del ritrovamento è stata data in queste ore dagli archeologi dell’Inrap.
Una statua equestre rinascimentale: una rarità archeologica dal sapore romano
Il contenuto della fossa ha lasciato senza parole i ricercatori: una statua equestre monumentale, spezzata ma ancora imponente, emergeva in blocchi di calcare bianco. Il cavallo conserva il corpo, la testa, parte delle zampe e perfino il cuscino da sella su cui era seduto il cavaliere. Quest’ultimo, mutilato, è ancora leggibile in alcune porzioni cruciali: il bacino, le cosce, parte del busto e del drappeggio. Forse la testa fu sottratta come ritratto o gli operai infierirono su di essa, durante l’abbattimento del monumento?

Il blocco più grande della scultura misura oltre 1,10 m in altezza e lunghezza, con una larghezza di circa 50-60 cm, e pesa oltre 500 kg. Gli studiosi ipotizzano che la scultura originaria superasse 1,60 metri in altezza e lunghezza. Il materiale impiegato è un calcare bianco fossile tipico del Barrois, forse proveniente dalle cave del Perthois.

Il gruppo – che potrà essere parzialmente ricomposto – appare ispirato alle statue equestri romane: il cavaliere indossa una tunica all’antica e un mantello drappeggiato (chlamyde), e si presenta con un’impostazione nobile e austera. Nulla di simile ai sovrani medievali corazzati, o ai condottieri del XVII secolo: questa è una citazione diretta dell’arte imperiale romana, filtrata attraverso l’estetica rinascimentale. La mente corre subito al Marc’Aurelio del Campidoglio o al più dimenticato ma ammirato Regisole di Pavia, opera che fu fondamentale nell’immaginario artistico italiano del Quattrocento. E che folgorò anche Verrocchio e il suo allievo Leonardo da Vinci.
Un’opera politica, simbolica, colta
Chi ha commissionato il cavaliere classicheggiante di Toul?
L’identificazione del personaggio rappresentato in Francia è ancora incerta. Mancano la testa e gran parte degli arti del cavaliere, e soprattutto non si dispone di fonti scritte che menzionino direttamente l’esistenza della statua o della sua installazione sulla porta cittadina. Tuttavia, gli archeologi avanzano ipotesi fondate su confronti stilistici e contesti storici.
Uno dei candidati principali è Jean III de Lorraine, potente cardinale, vescovo di Toul, Metz e Verdun, diplomatico presso il papato per conto di Francesco I di Francia. Francesco I, come ben sappiamo, fu il re che volle e ospitò Leonardo ad Amboise.
Un’altra ipotesi collega la statua al re Enrico II di Francia, il figlio di Francesco, che nel 1552 conquistò i Tre Vescovati di Metz, Toul e Verdun, inglobandoli nella corona francese. Enrico promosse interventi architettonici e difensivi nelle città lorenesi, e non è da escludere che possa aver voluto segnare il territorio con simboli del potere regio e della nuova egemonia culturale. Francesco I ed Enrico II vedevano in Leonardo la chiave di volta di questo straordinario processo di riformulazione dell’antico. Leonardo aveva anche lavorato intensamente per la famiglia regale, oltre ad abitare nelle vicinanze del palazzo e della corte.
Una presenza maestosa sulla porta di città
La scultura probabilmente troneggiava su una nicchia monumentale del XVI secolo
I frammenti della statua equestre rinascimentale sono stati trovati ai piedi della porta medievale, in quella che pare essere stata una fossa di smaltimento intenzionale: la statua fu abbattuta con la demolizione della porta, probabilmente tra il 1700 e il 1710, e i suoi frammenti sepolti in modo rapido, per evitare trasporti e smaltimenti in altre aree. Gli archeologi ipotizzano che originariamente il gruppo equestre fosse collocato in alto, sopra l’arco della porta, visibile a chi entrava nella città. Un messaggio visivo forte, un monito di potere e civiltà rivolto a chi varcava le soglie di Toul.
Una bellezza perduta e ritrovata. Inizia il puzzle
Analisi, restauro e nuove tecnologie per riportare in vita il cavaliere

Ad oggi, sono 27 i frammenti individuati e ricomposti in un primo tentativo di rimontaggio virtuale. Si sta realizzando un’acquisizione completa in fotogrammetria 3D, per consentire studi approfonditi e una possibile restituzione museale del gruppo. Il lavoro è condotto sotto la responsabilità scientifica di Jean-Denis Laffite (Inrap), con il sostegno della Drac Grand Est e la collaborazione della municipalità di Toul.
L’obiettivo è duplice: ricostruire l’aspetto originario della scultura e, allo stesso tempo, indagare il contesto sociale e artistico della sua creazione. Perché questo cavaliere non è solo un oggetto d’arte: è testimonianza materiale di un dialogo culturale tra Italia e Francia, tra Rinascimento e romanità, tra ambizione nobiliare e desiderio di eternità.
Leonardo da Vinci, la passione per l’antico e il mistero del Regisole: la statua equestre che fece sognare il Rinascimento
Una figura bronzea protesa nel gesto dell’oratore e del pacificatore. Un cavallo fiero, con lo zoccolo alzato. Era un’impronta imperiale, una promessa d’eternità. E Leonardo ne fu stregato. Ma chi era, davvero, quell’uomo a cavallo che dominava Pavia? E da dove veniva, quell’inno di bronzo alla gloria e al potere?
Leonardo, il disegno e la rivelazione
Quel giorno del 1490 a Pavia, davanti al Regisole, Leonardo comprese qualcosa di profondo
E’ una sorta di folgorazione.. È il giugno del 1490. L’artista visita Pavia, città ricca di memorie, e si ferma davanti a una statua che lo colpisce come un fulmine: il Regisole.
Lo osserva, lo disegna, lo studia. Rimane colpito dalla postura, dallo slancio, dalla maestosità che parla la lingua dell’Impero. Sul foglio annota una frase che è un programma artistico e intellettuale: “l’imitazione delle opere antiche è più lodevole di quelle moderne”. È lì, davanti a quel cavallo che pare muoversi, e a quell’uomo in clamide che domina il mondo con un gesto, che Leonardo vede straordinariamente ribadita la via maestra della scultura rinascimentale: guardare all’antico non come un peso, ma come un abbraccio, un amore, un’eredità da reinventare.

Il cavallo, con lo zoccolo alzato e una leggera torsione del collo, ha in sé tutta la tensione del movimento. L’uomo parla con il corpo. Cavallo e cavaliere sono legati da una Pace espressa con potenza ed eleganza. Il cavallo corporeamente emana la gioia di essere indirizzato da un uomo saggio al quale egli offre la propria devozione – che non è servaggio -. Il Regisole è colui che porta saggezza nell’atto di governo e nel mondo. E’ un uomo di pace perché il suo saluto è disarmante, benedicente, inclusivo, protettivo. Ed è proprio questa fisicità retorica che entrerà, come una linfa segreta, nel grande progetto leonardesco del monumento a Francesco Sforza, mai realizzato.





Da Ravenna a Pavia
Un viaggio lungo i secoli e il corso del Po. Da capitale imperiale a orgoglio civico medievale
La statua romana del Regisole non era “nata” a Pavia. La sua origine è un enigma che attraversa i secoli. Alcuni studiosi ritengono che l’uomo a cavallo fosse Teodorico il Grande, re degli Ostrogoti, il sovrano barbaro più romanizzato. Altri pensano a Settimio Severo, imperatore africano dal piglio autoritario, vissuto tra il II e il III secolo. L’ipotesi di più ampia convergenza indica il Regisole – così chiamato popolarmente perché ritenuto il re del sole – come una statua romana del III secolo, modificata più volte e adattata alle esigenze di nuovi regni e nuovi contesti.
Sappiamo però che la sua prima collocazione fu Ravenna, capitale imperiale, città sospesa tra l’ultimo bagliore romano e la fragile luce bizantina. Poi, misteriosamente, la statua arriva a Pavia. Forse come bottino di guerra, forse come dono politico. Due re longobardi, Liutprando e Astolfo, potrebbero averla trasportata lungo il corso del Po, come emblema di autorità e continuità imperiale. Un atto simbolico, per dire: noi siamo gli eredi di Roma. Peraltro i bizantini ravennati, ai quali fu sottratta erano acerrimi nemici dei longobardi. E’ pertanto storicamente plausibile che il Regisole possa essere giunto a Pavia – capitale longobarda – proprio in quell’epoca.
L’imperatore davanti alla cattedrale
Dopo il crollo del Palazzo Reale, il Regisole diventa il cuore visibile di Pavia medievale
Nel X secolo, lo scrittore arabo Ibrāhīm al-Turtuši descrive una grande statua equestre in bronzo, collocata accanto a una delle porte del Palazzo Reale pavese. Ma nel 1024 il palazzo viene distrutto. E il Regisole cambia posto — e ruolo. Viene eretto su una colonna davanti alla cattedrale, cuore pulsante della città, centro simbolico del potere religioso e civile.
Il Regisole diventa il volto stesso di Pavia. Appare nei sigilli ufficiali del Comune, nei documenti giuridici, nelle xilografie che illustrano gli Statuti cittadini del 1505. È un monumento identitario, amato, difeso. Persino quando, nel Trecento, viene requisito dai Visconti e portato a Milano, i pavesi non si danno pace. E nel 1335, quando torna a casa, lo accolgono con solennità. Viene ridorato, aggiornato nelle bardature, dotato di finimenti imperiali. E torna a svettare, come un simbolo invincibile di orgoglio civico e memoria imperiale.
Il Rinascimento e la rinascita della statua equestre
Gattamelata, Colleoni e il segreto del cavallo con la zampa sollevata

Il Regisole ha avuto una discendenza artistica prestigiosa. Donatello, nel suo ritratto equestre del Gattamelata, reintroduce l’espediente del sostegno sotto la zampa anteriore del cavallo (nel suo caso, una sfera). Un trucco che serviva a dare equilibrio alla statua senza rinunciare all’effetto dinamico. Nel XV secolo, il Regisole era diventato uno dei modelli imprescindibili per ogni artista che volesse cimentarsi con la scultura equestre. Tra questi, Andrea del Verrocchio – maestro di Leonardo – lo studiò e lo reinterpretò nel monumento a Bartolomeo Colleoni a Venezia (1480-88), dove adottò soluzioni tecniche ispirate proprio alla struttura del Regisole. Leonardo, dal canto suo, lo disegnò con attenzione maniacale: lo ammirò a Pavia nel 1490, annotando nei suoi taccuini l’armonia del cavallo e la nobiltà dell’insieme.

Il Regisole aveva mostrato che l’antico può essere reinventato, che la forma imperiale può rinascere nei volti dei condottieri del Quattrocento. Era il passato che ritornava — ma con una nuova veste, più laica, più eroica, più umana.
La distruzione del sogno
Nel 1796 i giacobini lo abbattono: è il crollo della monarchia anche in bronzo

Nel maggio del 1764, lo storico Edward Gibbon visita Pavia e descrive il Regisole nei suoi appunti. Parla di una statua di imperatore in clamide, disarmato, con il braccio teso come un oratore. Lo giudica “non cattivo”, ma è il cavallo a entusiasmarlo, con quel portamento fiero e fiero. È l’ultima grande testimonianza prima della tragedia.
Nel 1796, i giacobini entrano a Pavia. Odiano tutto ciò che sa di monarchia. Il Regisole, simbolo di un impero tramontato, è condannato. Viene abbattuto e distrutto, nella furia iconoclasta che vuole purificare il mondo dai fantasmi del passato.
Secondo la tradizione medievale, il Regisole era una statua equestre romana, giunta a Pavia forse da Ravenna o da Roma, dove potrebbe aver ritratto un imperatore, come Adriano o Costantino. La sua presenza a Ravenna è documentata almeno dal VI secolo, e venne trasferita a Pavia in epoca carolingia o alto medievale. Tuttavia, non esiste un’identificazione certa del personaggio rappresentato.
Una statua equestre “alla romana”
Il modello antico che ispirò il Rinascimento e i suoi artisti
Il Regisole rappresentava un cavaliere barbato, in tunica e mantello, con braccio destro alzato nel gesto dell’allocuzione, in perfetto stile imperiale romano, molto simile alla statua di Marco Aurelio del Campidoglio. Era in bronzo dorato, a grandezza quasi naturale, montato su un basamento monumentale e collocato davanti alla cattedrale di Pavia. La scultura divenne simbolo della città e modello iconografico per artisti e mecenati del Rinascimento.
Fu Petrarca a descriverla con entusiasmo, sottolineando come fosse un raro esempio di arte imperiale sopravvissuta al Medioevo. Non a caso, Leon Battista Alberti, Donatello e Andrea del Verrocchio si ispirarono a questa statua – direttamente o attraverso copie e incisioni – per le loro opere equestri. Il Regisole, in questo senso, è un anello di congiunzione tra la classicità e la sua rinascita.
L’ombra della rivoluzione: la distruzione nel 1796
La fine di un simbolo monarchico durante la tempesta napoleonica
Nel 1796, durante l’invasione francese, la statua venne abbattuta e fusa dai giacobini locali che la ritenevano un simbolo dell’ancien régime e del potere feudale. La memoria della statua sopravvisse solo attraverso disegni, stampe e descrizioni.
In particolare, un’incisione del 1832 di C. Ferreri documenta i dettagli della scultura in modo fedele: il cavallo in posizione raccolta, il cavaliere in posa classica, il mantello, l’eleganza sobria della composizione.
Una rinascita moderna: il nuovo Regisole del Novecento
L’identità culturale risorge dal bronzo
Nel 1937, in pieno periodo fascista, Francesco Messina, celebre scultore italiano, fu incaricato di ricostruire il Regisole basandosi sulle fonti iconografiche superstiti. L’opera fu installata di nuovo davanti al Duomo di Pavia nel 1939, dove si trova ancora oggi. Sebbene si tratti di una rielaborazione, la statua attuale conserva la solennità e la nobiltà dell’originale, diventando simbolo della città e metafora della continuità culturale tra epoche lontane.
Influenza sul Rinascimento europeo
Dalla Lombardia a Napoli: l’eco del Regisole
Il Regisole fu una delle ispirazioni chiave per le statue equestri rinascimentali, non solo in Lombardia ma in tutto il nord Italia. È verosimile che anche l’anonimo autore della statua ritrovata a Toul, come indicato nel rapporto Inrap, abbia attinto a questo modello, soprattutto se consideriamo la circolazione di disegni e incisioni tra Pavia, Milano, la Francia e la Lorena nel Cinquecento. Il gesto del braccio alzato, il panneggio classico, la monumentalità del gruppo sono tutti elementi che tradiscono un’influenza diretta o indiretta del Regisole.
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Scoperta emozionante a Toul: una statua equestre rinascimentale ispirata al Regisole di Pavia emerge dagli scavi. Un’opera che unisce potere, bellezza e l’eco dell’antico.