Arte. Venezia. Trovato il significato del dipinto murale scoperto su un palazzo del Canal Grande. Chi sono le due donne? Cosa fanno? Chi è la terza figura? Perché una vestita e l’altra discinta? Perché il dipinto è “bucherellato”? Rispondono gli esperti

Un dipinto murale dimenticato, nascosto per secoli sotto una coltre d’intonaco, ha riacquistato la voce. Dopo la scoperta dell’opera avvenuta recentemente, sotto una coltre di intonaco, ci si avvicina anche alla comprensione del significato e del motivo per il quale il dipinto appariva sulla pubblica via, portando i propri colori sul Canal Grande.


Il ritrovamento e il restauro

«Abbiamo avuto l’onore di riportare alla luce un dipinto murale del XVI secolo, rimasto nascosto per secoli sotto strati di intonaco», raccontano i restauratori di Seres srl, che insieme a G. Salmistrari srl hanno curato il restauro del “Condominio Rialto”, sul Canal Grande. Il ritrovamento è avvenuto durante lavori ordinari di ripristino delle facciate, ma quello che doveva essere un semplice intervento conservativo si è trasformato presto in una scoperta archeologica urbana di notevole portata.

Grazie alla sensibilità della committenza e alla collaborazione attenta con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna, è stato possibile riportare a vista un’opera pittorica di pregevole fattura, rimasta sepolta sotto un’intonacatura pesante.


Cosa sono quelle picchiettature sul dipinto

A sinistra vediamo i colpi inferti sulla superficie, che si presentano come lacune. Nel dipinto restaurato, oltre a un lavoro di pulitura che ha permesso l’emersione netta delle figure, vediamo, in bianco, l’opera di stuccatura

I segni chiari che vediamo in questa foto furono provocati dalla martellinatura del muro, operazione che precedette la copertura l’affresco con la malta, ai fini della cancellazione. Per essere certi che la malta, scivolosa, si abbrancasse al muro, gli operai, quando fu deciso che il dipinto doveva essere coperto, presero i martelli e infersero numerosi colpi alla superficie dell’opera per creare i punti in cui la malta avrebbe potuto legarsi a peduncolo con il muro. Un’operazione necessaria, in particolar modo quando si operava su una superficie liscia come quella di un dipinto parietale. In particolar modo l’opera del canal Grande sembra presentare – e ciò viene rilevato da una brillantezza del colore – leganti a olio che ne rendono la superficie ancora più liscia e pertanto inadatta ad accogliere la malta. Quella miriade di picchiettature sono pertanto colpi deliberati, inferti con martelli.

Ma perché mai, ci si chiede, cancellare un affresco così vibrante?

La risposta sta nella pratica diffusa, lungo tutto l’arco della storia dell’arte muraria, di sovrascrivere e aggiornare le immagini dipinte – quando il vecchio stile sembrava superato o erano mutati gli atti interpretativi dei testi o dei fatti ai quali l’opera stessa si riferiva – , sia per motivi estetici – abrasioni o cadute di colore o di intonaco dovute all’ambiente – , che, spesso, per ragioni ideologiche o morali. Quando un affresco cessava di essere considerato adeguato al gusto, al decoro o alla dottrina dominante, veniva “neutralizzato”: non bastava semplicemente ricoprirlo con una mano di colore poiché il colore stesso, a causa della superficie, si sarebbe staccato facilmente. Inoltre la posa di un nuovo intonaco garantiva operazioni di lisciatura in grado di dare un “nuovo decoro” all’edificio; per questo bisognava bisognava scalfire la superficie sottostante, creando abrasioni in grado di far aderire saldamente il nuovo intonaco alla parete.

Nel caso specifico di quest’opera veneziana, il gesto potrebbe aver avuto un’ulteriore connotazione censoria, in seguito alla diffusione dei princìpi moralizzatori della Controriforma: l’immagine, come suggeriscono gli studiosi di Stile arte, conteneva una figura femminile discinta, colta in una postura lasciva, probabilmente percepita come sconveniente agli occhi di un clero sempre più rigido e moralizzatore.


La scena svelata: parabola delle vergini sagge e stolte

L’affresco, sebbene gravemente danneggiato, presenta ancora con forza la struttura compositiva e l’intento narrativo. Due figure femminili e un angelo si stagliano sulla scena: a sinistra, una giovane donna in veste gialla, composta e vigile, tiene in mano una torcia e forse la alimenta gettando su di essa l’olio, Al centro, una figura discinta, in atteggiamento legato a un pigro risveglio, guarda verso lo spettatore con un’espressione a metà tra lo stupore e la colpa. Sulla destra, un angelo in atto di suonare una tromba sembra emergere come figura escatologica e annunciatrice.

Secondo l’interpretazione avanzata dagli studiosi di Stile arte, la scena è un invito a stare pronti ed è un’interpretazione della parabola delle vergini sagge e stolte (Matteo 25, 1-13), un passo celeberrimo della predicazione cristiana incentrato sulla vigilanza spirituale: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Le vergini, in attesa dello sposo (immagine tradizionale del Cristo), devono tenere pronte le loro lampade accese. Cinque sono sagge, portano con sé l’olio; cinque sono stolte, trascurano la preparazione. All’arrivo dello sposo, solo le prime saranno ammesse al banchetto.

L’affresco, seppur mutilato e interrotto da lacune pittoriche, suggerisce una lettura dualistica molto netta: virtù e pigrizia, prontezza e distrazione, luce e oscurità. Alla giovane composta, con la torcia accesa, si contrappone la nudità molle della figura centrale, più che probabilmente associata alle vergini stolte, quelle che si assopirono, quelle che, troppo tardi, corsero a cercare l’olio perduto.


Il contesto apocalittico: trombe e giudizio

Ma non è tutto. Dietro le figure principali si staglia un angelo, che suona una lunga tromba. Il rimando al Giudizio Universale e all’iconografia apocalittica è diretto e inequivocabile. Come in Matteo 24, 31: “Egli manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno i suoi eletti dai quattro venti”. L’apparizione angelica allude al momento escatologico, quando ogni anima sarà chiamata a rendere conto della propria condotta, pronta o meno per l’incontro con lo Sposo celeste.

L’affresco, dunque, come affermano gli studiosi di Stile arte, non rappresenta solo la parabola, ma sembra sintetizzare più livelli del messaggio cristiano: la vigilanza individuale, la testimonianza della fede (“non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio”, Mt 5,15), l’invito all’azione virtuosa, la preparazione all’inevitabile incontro finale.


Estote parati: un monito civile tra le pietre della città

Se nel contesto evangelico estote parati (“siate pronti”) è un appello alla vigilanza spirituale in vista del giudizio, nel cuore di Venezia — città costruita sulla fragile armonia tra acqua, pietra e memoria — questo motto assume anche una valenza civile profonda. Non è un caso che, nel corso della storia veneziana, tale esortazione sia stata adottata come codice di condotta morale e sociale, una sorta di bussola etica per il cittadino-repubblicano, chiamato a essere vigile non solo nel proprio animo, ma anche nei confronti del bene comune.

Nel Rinascimento, e in particolare nella Venezia del XVI secolo, la distinzione tra virtù civica e virtù religiosa era tutt’altro che netta. Le immagini sacre sulle facciate degli edifici pubblici o privati non erano soltanto strumenti di catechesi, ma veicolavano anche ideali di comportamento comunitario: ordine, disciplina, senso del dovere, prontezza all’azione. In una società che si autorappresentava come “Repubblica della Ragione”, la parabola delle vergini sagge e stolte si trasformava, nell’immaginario collettivo, in un’allegoria della buona cittadinanza: le vergini sagge erano il modello del veneziano cosciente, operoso, attento al proprio ruolo nella città e alla stabilità della Repubblica; le stolte, invece, erano l’incarnazione del pericolo, della trascuratezza, della dissoluzione delle virtù pubbliche.

L’angelo che suona la tromba nell’affresco, pertanto, non richiama soltanto il Giudizio divino, ma può essere letto anche come metafora della chiamata alla responsabilità civile: un risveglio delle coscienze, un invito a non farsi trovare impreparati di fronte alle crisi, ai mutamenti, alle prove che il corpo civico — come quello spirituale — è chiamato ad affrontare.

Questo significato duale — religioso e laico — è perfettamente in linea con la cultura veneziana del tempo, nella quale la pittura sacra aveva spesso anche un risvolto politico e sociale. La vigilanza, nel contesto urbano, si declinava come cura della città, memoria della legge, presidio del bene comune. E allora quella giovane con la torcia accesa, ritratta sull’edificio veneziano, non parla solo alla coscienza individuale, ma sembra rivolgersi alla collettività intera: Siate pronti, non solo a morire, ma anche a vivere con lucidità, con disciplina, con senso della misura. Ma a livello ben più popolare, l’affresco sarebbe apparso alla gente anche come un messaggio contro la pigrizia e un’immagine sulla quale il buon lavoratore, che percorreva il Canal grande alle prime ore del mattino, poteva vedere se stesso, nella gloria dell’operosità e del mattutino risveglio.

In quest’ottica, il ritorno in luce dell’affresco non è soltanto un fatto di cronaca artistica o un recupero storico: è una restituzione di senso alla città contemporanea, un invito a non spegnere la propria lampada interiore né quella della responsabilità civile. In tempi segnati da smarrimento e instabilità, da crisi ecologiche, sociali e culturali, l’antico monito estote parati — dipinto sulle pareti di Venezia — torna a interrogare chi attraversa le sue calli: siamo pronti? Pronti a custodire ciò che resta, a ricostruire ciò che si perde, a difendere ciò che unisce?


Ragioni della scomparsa: una censura della Controriforma?

La domanda inevitabile sorge: perché fu cancellato? La risposta si annida probabilmente nei mutamenti ideologici imposti dalla Controriforma, che con il Concilio di Trento (1545-1563) e i suoi decreti sulla rappresentazione religiosa impose rigore, decoro e censura morale. La figura centrale dell’affresco, una giovane parzialmente nuda, sebbene parte del discorso morale sull’indolenza e la non vigilanza, potrebbe essere stata giudicata inopportuna. Non bastava la funzione catechizzante dell’immagine: il nudo femminile, anche se simbolico, diventava veicolo di scandalo. Così si decise di intonacare, martellare, far scomparire.

Ma la cancellazione, come accade spesso nella storia della cultura visiva, non fu totale. I pigmenti resistettero sotto le calce, i contorni riaffiorarono appena si iniziò a rimuovere lo strato di malta. Ed è stato proprio grazie a un gesto di sensibilità — quello della committenza e delle maestranze coinvolte nel restauro — che oggi quel frammento di predicazione figurata torna visibile.


Valore artistico e stilistico: una mano sapiente

Nonostante le pesanti perdite, l’affresco mostra una sorprendente qualità pittorica: i panneggi mossi, l’anatomia delle figure centrali, la modulazione della luce sui corpi rivelano una mano esperta, formata all’equilibrio del Rinascimento maturo. Il cromatismo è brillante, ancora vivo nonostante i secoli. L’uso dei contrasti — tra il giallo dorato, il rosso vermiglio e le tonalità cupe dello sfondo — intensifica il dramma spirituale della scena.

Non è ancora chiaro chi sia l’autore. Gli studi sono appena cominciati, ma già si avanzano ipotesi di collegamenti con la scuola veneta cinquecentesca, forse un artista minore ma influenzato da Tintoretto o Veronese, per la teatralità e la composizione dinamica.


Estote parati: il dipinto è anche un monito civile

Argomentano poi gli studiosi di Stile arte: se nel contesto evangelico estote parati (“siate pronti”) è un appello alla vigilanza spirituale in vista del Giudizio e dell’incontro con Cristo, nel cuore di Venezia – città costruita sulla fragile armonia tra acqua, pietra e memoria – questo motto assume anche una valenza civile profonda. Non è un caso che, nel corso della storia veneziana, tale esortazione sia stata adottata come codice di condotta morale e sociale, una sorta di bussola etica per il cittadino-repubblicano, chiamato a essere vigile non solo nel proprio animo, ma anche nei confronti del bene comune. La pigrizia e la mollezza non potevano essere tollerate poiché inducevano lascivia e improduttività.

Nel Rinascimento, e in particolare nella Venezia del XVI secolo, la distinzione tra virtù civica e virtù religiosa era tutt’altro che netta. Le immagini sacre sulle facciate degli edifici pubblici o privati non erano soltanto strumenti di catechesi, ma veicolavano anche ideali di comportamento comunitario: ordine, disciplina, senso del dovere, prontezza all’azione. In una società che si autorappresentava come “Repubblica della Ragione”, la parabola delle vergini sagge e stolte si trasformava, nell’immaginario collettivo, anche in un’allegoria della buona cittadinanza: le vergini sagge erano il modello del veneziano cosciente, operoso, attento al proprio ruolo nella città e alla stabilità della Repubblica; le stolte, invece, erano l’incarnazione del pericolo, della trascuratezza, della dissoluzione delle virtù pubbliche.

L’angelo che suona la tromba nell’affresco, pertanto, non richiama soltanto il Giudizio divino, ma può essere letto anche come metafora della chiamata alla responsabilità civile: un risveglio delle coscienze, un invito a non farsi trovare impreparati di fronte alle crisi, ai mutamenti, alle prove che il corpo civico – come quello spirituale – è chiamato ad affrontare.

Questo significato duale – religioso e laico – è perfettamente in linea con la cultura veneziana del tempo, nella quale la pittura sacra aveva spesso anche un risvolto politico e sociale. La vigilanza, nel contesto urbano, si declinava come cura della città, memoria della legge, presidio del bene comune. E allora quella giovane con la torcia accesa, ritratta sull’edificio veneziano, non parla solo alla coscienza individuale, ma sembra rivolgersi alla collettività intera: Siate pronti, non solo a morire, ma anche a vivere con lucidità, con disciplina, con senso della misura, con operosità.

In quest’ottica, il ritorno in luce dell’affresco non è soltanto un fatto di cronaca artistica o un recupero storico: è una restituzione di senso alla città contemporanea, un invito a non spegnere la propria lampada interiore né quella della responsabilità civile. In tempi segnati da smarrimento e instabilità, da crisi ecologiche, sociali e culturali, l’antico monito estote parati – dipinto in forma allegorica sulla facciata della palazzina che si affaccia sul Canal Grande –torna a interrogare i passanti. Pronti a custodire ciò che resta, a ricostruire ciò che si perde, a difendere ciò che unisce. Come recita il Vangelo: “Siate pronti, con le cinture ai fianchi e le lucerne accese”.


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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa