Bambino di 2000 anni fa portato a scuola sul dorso di un delfino amico da Baia a Pozzuoli. Accertato. E’ verità. Tra cronaca, letteratura e arte l’animale che portava gioia e fortuna ai nostri antenati romani. E che allontana(va) il male. Le nuove scoperte archeologiche

Negli ultimi anni, una serie di scavi condotti in Italia e nell’area del Mediterraneo ha restituito, con sorprendente frequenza, raffigurazioni di delfini in contesti domestici, funerari e religiosi. Da eleganti mosaici rinvenuti nelle terme di Aquinum a raffinati oggetti in argento ritrovati nelle ville dell’area vesuviana, passando per anelli, lucerne e pitture parietali di Ostia e Cartagine, emerge un culto affettuoso e ricco di sfumature attorno a questa figura marina.

Ma perché i delfini erano così amati dai Romani? Cosa simboleggiavano davvero? E in che modo arte, religione, mito e letteratura ne hanno celebrato la presenza?

La meravigliosa vicenda del delfino Simone

L’incrocio di dati e l’autorevolezza di Plinio il Vecchio, che la racconta con altri autori, confermano come veridica una storia che commosse il mondo romano, quella del ragazzo e del delfino Simone.

Ecco il brano latino tratto dalla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, nel quale racconta la celebre vicenda del “Delfino Simone”, ambientata nel lago Lucrino ai tempi di Augusto, che sarebbe avvenuta qualche decennio prima. Scrive Plinio il Vecchio:

Quando era imperatore Augusto, un delfino entrò nel lago Lucrino. Un fanciullo povero, che ogni giorno si recava a scuola da Baia a Pozzuoli, passando per quel luogo, si fermava lì nelle ore del meriggio. Chiamava spesso l’animale con il nome di Simone e lo attirava con frammenti di pane che portava con sé per il viaggio. Il delfino, conquistato da un amore straordinario, si affezionò profondamente al ragazzo.

Mi asterrei dal raccontare questo episodio, se non fosse che la storia è stata narrata anche da autori come Mecenate, Fabianio e Flavio Alfio, oltre che da molti altri.

In qualsiasi momento della giornata il ragazzo lo chiamasse, anche se il delfino era nascosto e trattenuto sul fondo, accorreva rapidamente; prendeva il cibo dalla sua mano e gli offriva il dorso per salire. Ritirava la sua pinna come in un fodero, per evitare di ferirlo con gli aculei, e lo trasportava a dorso, attraverso l’ampio specchio d’acqua, fino a Pozzuoli, riportandolo poi indietro nello stesso modo. Questo si ripeté per parecchi anni.

Alla fine il ragazzo morì di malattia. Ma il delfino continuò a recarsi ogni giorno nel solito luogo, mostrando una tristezza evidente, come se fosse in lutto; e alla fine, senza che vi fosse alcun dubbio, morì anche lui, consumato dal desiderio.


Simbolo di salvezza e speranza
Il delfino come psicopompo e messaggero celeste

Nel cuore della religione romana e dei suoi sincretismi con il mondo greco, il delfino era percepito come guida delle anime verso l’aldilà. Non un custode minaccioso come il traghettatore Caronte, ma una creatura leggera e gioiosa, che scivola tra le onde accompagnando dolcemente gli spiriti verso l’eternità.

L’immagine del delfino compare spesso sui sarcofagi, come nel celebre esempio conservato ai Musei Vaticani (III secolo d.C.), in cui un delfino guida un amorino nudo tra le onde, evidente allusione al viaggio dell’anima infantile. Nella necropoli di Isola Sacra, presso Ostia, un mosaico raffigura un delfino accanto a una nave, metafora del passaggio da un mondo all’altro.

Il delfino, quindi, nell’immaginario religioso romano, non era solo psychopompos (guida dell’anima), ma un ponte sensoriale tra il calore della vita e la freschezza dell’aldilà.


Creatura sacra e messaggero divino
Apollo Delphinios e l’origine mistica del nome Delfi

Il legame tra delfini e divinità è attestato fin dai poemi arcaici. Secondo l’Inno omerico ad Apollo, il dio si sarebbe trasformato in un delfino per guidare un gruppo di marinai cretesi verso le coste della Focide, fondando il santuario di Delfi. Da qui deriverebbe l’aggettivo Delphinios, epiteto di Apollo.

I Romani accolsero pienamente questo mito, tanto che, nei riti apollinei, i delfini venivano evocati come segni di favore divino. In alcuni mosaici tardo-repubblicani di Pompei (es. Casa del Fauno) e in sculture templari oggi al Museo Nazionale Romano, il delfino è raffigurato accanto alla cetra e all’arco, attributi classici del dio, sancendo una triade simbolica tra musica, luce e mare.


Afrodite e i trionfi d’amore tra le onde
Delfini come amanti del desiderio, della fertilità e del gioco sensuale

Anche Afrodite, chiamata dai Romani Venus, è spesso accompagnata da delfini. Nell’arte pompeiana, come negli affreschi della Casa della Venere in conchiglia, la dea emerge dalle acque tra una schiera di creature marine tra cui delfini danzanti. Sono animali amanti della bellezza e del gioco, simboli di piacere e fertilità.

In contesti privati, come dimostrano recenti ritrovamenti nella zona di Stabia (villae del Secondo Stile), piccoli delfini scolpiti decoravano le testate dei letti e i bordi delle vasche termali. Erano presenze leggere, ma eloquenti: richiamavano l’idea del piacere fisico, del lusus, del movimento sinuoso e dell’evasione sensuale.


Letteratura, cronaca e delfini innamorati dell’uomo
Plinio ed Eliano raccontano la tenerezza tra i due mondi

Come abbia letto, nella Naturalis Historia (IX, 8–12), Plinio il Vecchio racconta di un delfino del Golfo di Baia che aveva stretto amicizia con un fanciullo, trasportandolo ogni giorno da una riva all’altra. Lo stesso episodio viene ripreso e ampliato da Claudio Eliano nel De Natura Animalium (VI, 15), in cui il comportamento del delfino è interpretato come un gesto di amore disinteressato.

Queste storie, che uniscono osservazione naturalistica e sentimento, ebbero enorme diffusione. In epoca imperiale, furono replicate anche nella narrativa e nella statuaria. Al Museo Nazionale di Napoli è conservata una piccola scultura bronzea raffigurante un giovane abbracciato a un delfino: un’eco tangibile di quei racconti d’affetto.


Delfini nei mosaici e nelle case: un’icona tra estetica e apotropaico
Mosaici, affreschi, oggetti domestici: la fortuna iconografica del delfino

Gli scavi delle case romane a Pompei, Ostia, Cartagine e in Spagna (come a Mérida) dimostrano che i delfini erano tra i soggetti più amati nei mosaici pavimentali, soprattutto nelle zone termali e nei peristili con fontane.

In molti casi, i delfini sono rappresentati mentre si intrecciano tra tridenti, anfore e creature marine. Nel balneum della Villa della Pisanella a Boscoreale, due delfini affrontati circondano un tralcio di vite, unendo simbolismo marino e vitale in un’unica danza visiva. Oggi, oggetti simili sono conservati al Louvre, al Museo di Tarragona e al Bardo di Tunisi.

Ma anche le suppellettili raccontano questa passione per il delfino: anelli con intagli di delfini, lucerne a forma di cetaceo, fibule in bronzo e cucchiai con manici decorati sono emersi negli scavi di Aquileia e Sabratha. Alcuni avevano valenza apotropaica: si credeva che il delfino tenesse lontano il male e portasse fortuna.


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Redazione
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa