Potta transgender e sirene. Le tentazioni carnali e il caos del mondo nelle metope della cattedrale di Modena. Il significato

Tra le opere scolpite si segnalano anche metope con elementi molto marcati sotto il profilo pulsionale e dell'identità di genere, che non solo alludono alla diversità che inquieta, ma che vengono a rappresentare elemento proiettivo dei desideri lussuriosi di chi osservava le opere d'arte

Evocare le inquietudini provocate dal caos, dal demonio e da un’alterità inquietante. E, attraverso le spaventose e caotiche epifanie del mondo, invitare il fedele ad imboccare la strada protettiva della Chiesa, all’interno della quale tutto di placa e acquista un senso. Era evidentemente questa la funzione di numerose sculture inquietanti o ambigue che caratterizzavano le facciate delle cattedrali. A Modena
creature abnormi esibivano se stesse. Probabilmente la fonte dalla quale si erano originate era il Liber monstrorum de diversi generibus, Il Liber monstrorum de diversis generibus (anche noto come Liber Monstrorum) è un repertorio mitografico anonimo, un catalogo ragionato di ciò che vi è in natura di portentoso, mosso dalla volontà critica di chiarire quanto le definizioni sui mostri siano vere o confutabili. Scritto probabilmente a metà dell’VIII secolo d. C. in ambiente anglosassone, potenzialmente vicino alla temperie culturale di Aldelmo di Malmesbury (abate che morì nel 709), è tràmandato da sei manoscritti (IX-X secolo) in minuscola carolina. Il libro è diviso in tre parti, proprio come la Chimera di cui parla: quasi umani (dalle razze ai casi singoli), animali e serpenti, tutti esseri provenienti dai quattro angoli del mondo, l’Oceano, il lontano Nord, i deserti Africani e lo sterminato Est.

Tra le opere scolpite si segnalano anche metope con elementi molto marcati sotto il profilo pulsionale e dell’identità di genere, che non solo alludono alla diversità che inquieta, ma che vengono a rappresentare elementi proiettivi dei desideri lussuriosi di chi osservava le opere d’arte. Problematico e controverso è stato il dibattito sulla datazione e sull’autore di queste sculture. L’arco cronologico considerato per la realizzazione delle metope va dal 1110 – 1115 alla metà del XII secolo. Per quanto riguarda lo scultore, siamo di fronte ad una personalità di altissimo livello, profondamente marcata dalla riflessione su modelli classici, attiva verosimilmente a una data abbastanza precoce e forse cresciuto nel cantiere di Wiligelmo.
Negli Anni ’50 del Novecento si è deciso per motivi conservativi di staccare gli originali delle metope e di esporli presso il Museo Lapidario del Duomo, sostituendoli con copie realizzate dallo scultore Benito Boccolari.

Tra le altre metope, gli scultori realizzarono qui due soggetti che rinviavano alla sfera del desiderio. Una, con l’ermafrodito, metteva in dubbio la preponderante linearità identitaria del maschio e della femmina, ma al tempo stesso tendeva ad attirare l’attenzione delle donne. L’altra – la sirena – richiamava , divaricando le due pinne, l’attenzione del maschio.

Il Potta
Con il termine potta – utilizzato qui per designare, popolarmente, l’ermafrodito che mostra le pudenda – ci si riferisce all’organo femminile. L’articolo maschile che precede il sostantivo femminile indica l’anomalia del “femminiello”. Si tratta di un nudo maschile seduto che tiene le gambe divaricate in modo da mostrare i genitali, che presentano lesioni provocate nei primi decenni del Cinquecento da colpi di archibugio.
Già nel corso del Quattrocento si tentò una moralizzazione del soggetto o occultamenti dell’ambiguità dell’ermafrodito sostituita dal suggerimento di una copiosa fertilità. In realtà, le connotazioni dell’ermafrodito evidenziate dalla policromia nella scultura ne causarono anche le lesioni materiali: recepita come immagine oscena, ostentazione frontale di una provocazione sessuale, divenne bersaglio degli archibugi della soldataglia e di altri atti vandalici da parte della popolazione.
Il rilievo è stato oggetto di interventi cinquecenteschi di rimodellamento particolarmente visibili nei ritocchi del volto, nell’incasso torpido del busto, nelle spalle lesionate.

La sirena bicaudata
In questo rilievo è scolpita una sirena pesce con le due code divaricate e fermate in equilibrio dalle mani. Lunghi capelli lineari che incorniciano il volto apportano una caratterizzazione lineare alla composizione, e un sorriso agghiacciante sulle labbra sottili, potrebbero, al di là del messaggio diabolico, far vedere i rapporti storici con il “Potta di Modena”. Una certa ambiguità è nella rappresentazione delle code, che potrebbero più propriamente essere definite come gambe pinnate, data anche la chiara definizione dell’intaglio dei piedi. L’immagine cui forse la scultura si ispira è descritta nel Liber monstrorum come una sirena pesce incantatrice che seduce i marinai con le sue splendide forme e col dolcissimo canto.

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Maurizio Bernardelli Curuz
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