Quando apri queste bottiglie o questi contenitori, saldamente sigillati, sai che imprigionano un’aria antica. Sarà una sensazione romantica, ma l’impressione è quella che si crei un raccordo magico con un mondo passato, ma ancora efficiente e pulsante, in una realtà parallela. Sono le capsule del tempo, cioè oggetti – spesso chiusi ermeticamente – che contengono nomi, elenchi, messaggi piccoli oggetti destinati alla posterità. Nei giorni scorsi la Bbc ha annunciato l’ultimo ritrovamento.

Un ritrovamento inaspettato che ha lasciato senza parole Mike Hume, un amante del teatro e sponsor del King’s Theatre di Edimburgo. Durante un sopralluogo ai lavori di restauro del teatro, Hume (a sinistra, nella fotografia) si trovava su un’impalcatura a circa 12 metri di altezza dal palco, osservando da vicino gli ornamenti architettonici della struttura. Al centro è collocata una corona. Spinto dalla curiosità – poiché aveva intuito che la corona potesse essere una sorta di contenitore ha infilato la mano in una fessura nascosta dietro la stessa corona decorativa dorata – vediamo anche questa, nella fotografia – e ha estratto una bottiglia di vetro che si rivelata essere una capsula del tempo, sigillata 119 anni fa.
Il teatro, un capolavoro dell’epoca edoardiana, era stato inaugurato nel 1906 e i suoi costruttori avevano lasciato un segno tangibile del loro lavoro per le generazioni future. Il tappo della bottiglia era stato immerso nel gesso, che ha sigillato ermeticamente il contenitore, proteggendo il contenuto per oltre un secolo.
Hume, un imprenditore di 48 anni, ha raccontato alla BBC che l’emozione del ritrovamento gli ha ricordato una scena da “Indiana Jones”. Dopo aver notato l’oggetto, ha inizialmente pensato si trattasse di un semplice frammento di decorazione, ma nel momento in cui ha sollevato la bottiglia e ha intravisto un biglietto all’interno, ha compreso di trovarsi di fronte a una scoperta emozionante.
“Era un po’ umido e c’era dell’intonaco sbriciolato tutt’intorno, ma ho sentito qualcosa di solido. L’ho tirato fuori e mi sono reso conto che avevo tra le mani una bottiglia sigillata,” ha raccontato Hume.
Una volta recuperata la bottiglia, il team di restauratori si è subito attivato per analizzare il reperto. La difficoltà principale consisteva nell’estrarre il biglietto senza danneggiarlo, poiché la carta, dopo oltre un secolo, risultava fragile e parzialmente incollata su se stessa. Dopo diversi tentativi, si è deciso di affidare l’operazione a specialisti del restauro cartaceo. Il biglietto contiene un elenco con i nomi delle persone coinvolte nella costruzione del teatro.

Tra costoro, il costruttore principale William Stewart Cruickshank e il capo architetto John Daniel Swanston. Un vero e proprio tributo lasciato da chi aveva lavorato alla realizzazione di una delle più importanti sale teatrali della Scozia. Ora ci si sta muovendo per ricostruire le singole biografie di progettisti e maestranze, che figurano nell’elenco.
I lavori di restauro del teatro, che hanno un costo complessivo di 40 milioni di sterline, proseguiranno nei prossimi mesi, ma ora con un nuovo significato: il teatro non è solo un luogo di spettacolo, ma anche un custode di storie, capace di riservare ancora grandi sorprese.
La capsula del tempo nel sito archeo
Un altro caso, a noi vicini, di un sensazionale recupero di una capsula del tempo, risale a settembre 2024, durante una campagna di scavi nel sito archeologico noto come Camp de César, situato tra Puys e Bracquemont nel nord della Francia e condotto un gruppo di studenti volontari. Guidati dall’archeologo Guillaume Blondel, hanno rinvenuto una piccola bottiglia di vetro sigillata con ceralacca – che vediamo nella foto, qui sotto – contenente un messaggio risalente a circa 200 anni fa.

Il sito, interpretato come un recinto fortificato del periodo gallico, è posizionato sul bordo di una scogliera ed è attualmente minacciato dall’erosione costiera. Durante gli scavi, il team ha scoperto un vaso di terracotta che custodiva al suo interno la bottiglietta di vetro. Secondo Blondel, si trattava di “una fiala che le donne usavano per portare sali profumati al collo”.
All’interno della bottiglia, avvolto con cura, vi era un foglio di carta arrotolato e legato con uno spago. Il messaggio, ancora perfettamente leggibile, recitava: “PJ Féret, nativo di Dieppe, membro di varie società intellettuali, vi effettuò degli scavi nel gennaio 1825. Continua le sue ricerche in questa vasta area conosciuta come Cité de Limes o Campo di Cesare”.
Pierre-Jacques Féret era un intellettuale e archeologo locale del XIX secolo, noto per i suoi studi pionieristici nell’area. I registri comunali confermano che Féret condusse scavi nel sito esattamente nel 1825, rendendo questa scoperta una testimonianza diretta del suo lavoro. Blondel ha descritto il ritrovamento come “un momento assolutamente magico”, sottolineando la rarità di imbattersi in una “capsula del tempo” così ben conservata in ambito archeologico.
Il messaggio di Féret non solo documenta le sue attività nel sito, ma funge anche da ponte temporale, collegando le ricerche del XIX secolo con quelle odierne. Questo ritrovamento sottolinea come la storia sia un dialogo continuo tra passato e presente, arricchito da scoperte che emergono quando meno ce lo si aspetta.
L’origine di questa consuetudine
La pratica di inserire pergamene contenenti dedicazioni e benedizioni durante la posa della prima pietra di edifici, in particolare quelli religiosi, ha radici profonde nella storia della Chiesa cattolica. Questo rito simbolico rappresenta l’invocazione della benedizione divina sull’edificio in costruzione e sulla comunità che lo utilizzerà.
Secondo il “Cerimoniale dei Vescovi”, un documento ufficiale della Chiesa cattolica, durante la cerimonia di posa della prima pietra, è consuetudine leggere un atto di benedizione che viene poi firmato dal vescovo e dai rappresentanti della comunità. Questo atto, spesso redatto su pergamena, viene quindi collocato nelle fondamenta insieme alla prima pietra, simboleggiando la dedizione dell’edificio a Dio e l’impegno della comunità nella sua costruzione.
Messaggi dai lontani “naufraghi del tempo”
Anche i laici, soprattutto nell’Ottocento, amarono sacralizzare un momento importante, lasciando un messaggio ai posteri. Questo aumento delle capsule del tempo soprattutto nel XIX secolo è collegato al diffondersi del pensiero romantico.,
Nella vastità del Tempo, l’uomo ha sempre cercato di lasciare tracce di sé, segni che possano parlare ai posteri. Tra le forme più evocative di questa tensione verso l’eternità vi sono i messaggi in bottiglia, non solo quelli affidati al mare, ma anche quelli sigillati dentro le strutture degli edifici, veri e propri naufraghi del tempo.
L’idea di sigillare lettere, monete, piccoli oggetti dentro le fondamenta di un palazzo o dietro un muro ha origini lontane. Nel Romanticismo, epoca che più di ogni altra coltivò il mito della malinconia e della rovina, il messaggio abbandonato alle onde del Tempo divenne un simbolo di attesa e di speranza. Le rovine gotiche, tanto amate dai romantici, erano viste come scrigni di segreti sommersi dal passato, e la suggestione di trovare in esse testimonianze sigillate divenne irresistibile.
Questi “naufraghi del tempo” non sono solo frutto del caso, ma spesso di un gesto consapevole: artigiani, muratori, sacerdoti e semplici abitanti hanno nascosto nelle pareti biglietti con il loro nome, preghiere, cronache della loro epoca, quasi volessero dialogare con chi, secoli dopo, avrebbe scoperto il loro lascito. Una sorta di ponte lanciato verso il futuro, con la speranza che un ignoto lettore potesse raccoglierne la voce.
Ogni ritrovamento di questi messaggi in bottiglia murati è un piccolo evento archeologico, un incontro tra due tempi lontani. A volte emergono note personali, storie di famiglia, dettagli sulla costruzione dell’edificio o sul periodo storico in cui fu eretto. E così, le mura diventano testimoni silenziosi di vite passate, pronte a rivelare il loro segreto quando il caso – o la curiosità di un restauratore – le riporta alla luce.