
Un’equipe di archeologi ha riportato alla luce una delle più rare meraviglie del vetro romano: un calice diatretico figurato, decorato con un venator che affronta belve feroci. Il tesoro era deposto nella tomba di una donna, insieme a un corredo sontuoso, che svela un mondo di ricchezza, eleganza, che andava oltre al limen della morte.
Un luogo carico di storia
Doclea, città di pietra e cultura tra le montagne e il fiume
Il sito di Doclea, anche conosciuto come Docleia, si trova poco a nord dell’attuale capitale montenegrina Podgorica, in una fertile pianura attraversata dal fiume Zeta. La città fu fondata dai Romani nella seconda metà del I secolo d.C., in un’area precedentemente abitata da popolazioni illiriche. Il toponimo “Doclea” deriva probabilmente dalla tribù dei Docleatae, e l’insediamento prosperò fino all’invasione gotica del V secolo.
Con una popolazione stimata tra i 10.000 e i 15.000 abitanti, Doclea era un centro urbano organizzato, dotato di foro, terme, templi e necropoli monumentali. Era strategicamente situata lungo gli assi viari che collegavano la Dalmazia all’interno dei Balcani e alla Macedonia, rendendola un nodo commerciale e culturale fondamentale. Le necropoli che circondano la città sono tuttora fonte di scoperte straordinarie, come dimostra il recente ritrovamento.
La tomba di una donna potente
Oro, vetro e giochi da tavolo: il silenzioso lusso della morte

La sepoltura appena scoperta, databile al IV secolo d.C., era quella di una donna che doveva appartenere a una classe altissima della società locale. La conferma viene da ogni singolo oggetto rinvenuto accanto a lei: orecchini in oro con perle di vetro verde, una collana a più fili con inserti di giaietto, e una raffinata pisside con strumenti cosmetici in osso, che evocano l’arte quotidiana della cura del corpo.
Ma non solo. Accanto al suo corpo, parzialmente conservato e caratterizzato da una statura superiore alla media per l’epoca, sono stati trovati anche pezzi da gioco in osso – verosimilmente un set per il ludus latrunculorum – e otto recipienti in vetro, tra cui spiccano due creazioni che ci riportano al cuore pulsante della cultura romana: una grande ciotola iridescente di produzione germanica (Colonia Claudia Ara Agrippinensium, oggi Colonia) e, soprattutto, un rarissimo calice diatretico.
Cosa sono i vetri diatretici?
Lusso puro, tecnica incredibile: i capolavori intagliati nella luce

I vetri diatretici sono tra le più stupefacenti realizzazioni dell’artigianato romano tardoimperiale. La loro particolarità consiste in una decorazione a rilievo reticolare, traforata, che avvolge il corpo del vaso ma è staccata da esso, come se galleggiasse sulla superficie.
Le decorazioni – generalmente geometriche, floreali o iscrizioni in latino o greco – venivano ottenute con una tecnica che ancora oggi lascia perplessi gli studiosi: il vaso veniva soffiato in uno stampo e poi lavorato con estrema precisione per rimuovere il vetro in eccesso, lasciando emergere la rete traforata.
Si tratta di oggetti rarissimi: solo una decina di esemplari completi sono noti al mondo, e ogni nuovo ritrovamento costituisce un evento. Alcuni studiosi ritengono che questi vetri siano stati prodotti nelle botteghe di Colonia, Milano, Aquileia e Costantinopoli, veri centri di eccellenza del vetro romano nel IV secolo. E’ probabile che questi vasi venissero utilizzati soprattutto come doni spettacolari e che fossero conservati soprattutto per la bellezza, fragile e possente, della materia lavorata. Erano pertanto, soprattutto, oggetti di arredamento decorativo, in grado di aggiungere un tocco di raffinata eleganza a una sala.
Il calice con gladiatori e felini
Un venator attaccato da belve: la scena che si accende sotto la luce

Quello scoperto a Doclea, in frammenti che potranno essere ricomposti, si distingue non solo per la rarità della forma e tecnica, ma anche per l’unicità del soggetto rappresentato: un venator – il tipo di gladiatore specializzato nella caccia alle bestie – è raffigurato mentre affronta fiere selvagge, probabilmente ghepardi, animali esotici impiegati nei giochi pubblici. La rappresentazione è realizzata in rilievo figurato su vetro e dipinta in due colori distinti, giallo e verde, secondo una tecnica a due strati che denota una maestria tecnica sopraffina. Sarà una coincidenza che anche gli orecchini della matrona fossero dello stesso colore?
Questa scena, oltre alla sua rarità iconografica, offre uno squarcio visivo e culturale sull’immaginario romano tardoantico: l’arena non era soltanto teatro di sangue, ma anche luogo di prestigio, esotismo e potere, in cui l’Impero esibiva la propria capacità di dominare uomini e animali, realtà e simbolo. In molti casi personaggi di grande potere venivano ricordati e celebrati per aver organizzato ludi gladiatori. L’amore e il combattimento erano poi i temi ricorrenti sulle raffinate stoviglie romane in terra sigillata. Temi diversi che si rivolgevano, probabilmente, in modo separato e congiunto, alla padrona e al padrone di casa. Possiamo immaginare che il vaso scoperto fosse un dono di nozze?
Una lavorazione che sfida il tempo
Tecnica complessa, fascino eterno: il mistero della manifattura
Il calice di Doclea, purtroppo frammentato, si presenta come un capolavoro da ricostruire. La trasparenza scintillante, le curve minuziose delle decorazioni a rilievo e la delicatezza dell’intaglio fanno pensare a un’opera di altissimo livello, destinata forse a una corte o a una famiglia senatoriale.
Alcune ipotesi suggeriscono che il vaso possa essere giunto a Doclea tramite i circuiti commerciali adriatici, proveniente da Colonia o da Aquileia. La presenza di vetri simili in ambito danubiano e balcanico conferma l’esistenza di una rete di distribuzione elitaria, dedicata a committenti prestigiosi e selezionati.
Un mondo in un calice
Il lusso, il gioco, la morte: la vita delle élite romane in un solo sepolcro
La tomba di questa donna rivela un microcosmo di oggetti e simboli: il gioco (i pezzi in osso), la cura del corpo (la pisside cosmetica), il gusto raffinato (i gioielli), il lusso estremo (il vetro diatretico). Tutto concorre a delineare la figura di una matrona influente, forse appartenente all’amministrazione cittadina o all’aristocrazia militare, in una fase in cui l’Impero Romano, pur tra crisi e mutamenti, continuava a esprimere una cultura materiale di vertiginosa bellezza.
Una scoperta che incanta
Tesori tra le pietre, emozioni nel vetro: il profumo del passato riemerge a Doclea
Questo ritrovamento, unico per il Montenegro, rappresenta un documento visivo e sensoriale straordinario, capace di accendere l’immaginazione e stimolare nuove ricerche sul ruolo delle donne aristocratiche, sulla circolazione del lusso e sul significato simbolico del vetro nel mondo romano.
Il calice sarà ora sottoposto a un delicato restauro, che ne permetterà in futuro l’esposizione museale, offrendo al pubblico non solo un oggetto prezioso, ma anche una storia intensa e viva, fatta di spettacolo, forza, eleganza e desiderio di eternità.