La pioggia cadeva da giorni, e un albero secolare aveva ceduto

Sotto le radici, la sorpresa. Una civiltà dimenticata sembrava voler parlare ancora
Nel cuore dell’Amazzonia brasiliana, tra acque limacciose e fitte foreste, l’invisibile memoria degli antichi ha trovato voce grazie a un caso fortuito. Sette urne funerarie, straordinariamente conservate, sono riemerse in un luogo dove la storia, fino ad oggi, si pensava solo passeggera. La notizia del ritrovamento è stata data ora. La scoperta è avvenuta nei pressi del Lago do Cochila, nel territorio di Fonte Boa, un comune dello Stato dell’Amazonas che si affaccia sulle acque mobili del fiume Solimões.

In questa regione definita várzea – termine portoghese che indica le pianure alluvionali sommerse per mesi ogni anno – nulla sembrava predisposto alla permanenza. Eppure, proprio qui, sotto le radici divelte di un albero caduto, dormivano da secoli, forse da millenni, due urne giganti e cinque contenitori minori, alcuni dei quali riccamente decorati, altri sobri, silenziosi come presenze rituali.
Fonte Boa e il Lago do Cochila
Un microcosmo fluviale sospeso tra cielo e acqua
Fonte Boa, distante circa 1.000 chilometri in linea d’aria da Manaus, è un comune sparso tra fiumi e igarapés, popoli indigeni e villaggi di pescatori. Il Lago do Cochila si trova nella porzione centrale dell’area alluvionale amazzonica ed è un sistema naturale instabile ma fertile, dove il suolo si rigenera ogni anno attraverso le piene del Solimões. Le isole che lo punteggiano, in parte artificiali, sono state modellate nei secoli da mani pazienti che hanno saputo piegare la natura alla vita.
Proprio su una di queste isole emerse – un’altura appena percepibile costruita stratificando terra e cocci – si è concentrata l’attenzione degli archeologi dell’Instituto de Desenvolvimento Sustentável Mamirauá (IDSM), guidati da Márcio Amaral, grazie alla segnalazione preziosa di un pescatore di pirarucú, Walfredo Cerqueira.
L’albero e le urne
Sette bocche spalancate sul mistero. Due, mai viste prima
Gli archeologi hanno trovato le urne funerarie a soli 40 centimetri di profondità, in un terreno che, nonostante le inondazioni annuali, aveva saputo proteggerle. Due di esse si sono subito distinte: dimensioni imponenti, lavorazione sofisticata, materiali ceramici del tutto atipici per la regione.
All’interno delle urne: frammenti ossei umani, ma anche resti di pesci e tartarughe, che richiamano antichi rituali di commiato e offerte. Nessuna presentava coperchi in ceramica: gli studiosi suppongono che venissero chiuse con elementi organici, forse tessuti vegetali intrecciati o stuoie, ormai completamente decomposti.
Una piattaforma tra fango e cielo
Archeologia sospesa: una struttura alta 3,2 metri per scoprire il passato senza distruggerlo
Il terreno instabile ha costretto gli archeologi a una sfida logistica inedita: costruire una piattaforma alta oltre 3 metri, fatta interamente con legno e liane locali. Uno scavo che sembrava più una danza in equilibrio tra ingegno e rispetto, eseguito con strumenti di precisione stratigrafica come il datum, di solito impiegato a livello del suolo.
“Non avevamo mai scavato a quell’altezza”, ha raccontato Amaral. Eppure, grazie alla sinergia con la comunità indigena di São Lázaro do Arumandubinha, ogni fase è stata portata a termine senza incidenti. Gli abitanti locali non hanno solo osservato: hanno partecipato attivamente, condividendo saperi, fornendo materiali, costruendo impalcature e aiutando nel trasporto dei reperti.
Il viaggio delle urne
Dal fango alla barca, dalla barca al laboratorio: 12 ore di navigazione per svelare una civiltà
Dopo lo scavo, è iniziata un’altra impresa: il trasporto delle urne fino a Tefé, sede dell’IDSM. Protezioni artigianali – pellicole trasparenti, supporti in legno, strati di pluriball – hanno assicurato che nulla andasse perduto.
L’arrivo in laboratorio ha segnato l’inizio di un’altra fase emozionante. Le prime analisi ceramologiche hanno evidenziato un profilo estremamente eterogeneo: impasti a base di argilla verdastra (rara in zona), decorazioni con ingobbi rossi, e forme sconosciute alle più diffuse tradizioni ceramiche amazzoniche, come la cosiddetta Tradizione Policroma Amazzonica.
Una cultura nuova?
L’Amazzonia riscrive se stessa: permanenza e complessità nel cuore della várzea
Ciò che emerge con forza è una ipotesi rivoluzionaria: le urne di Fonte Boa potrebbero appartenere a una cultura indigena finora non identificata. Le caratteristiche stilistiche e rituali divergono da quelle delle popolazioni note della regione, come gli Omágua, i Tikuna o i Kokama. Si potrebbe trattare di una comunità estinta o assorbita, che ha sviluppato tradizioni funerarie complesse, probabilmente connesse a un culto del fiume o a un’idea ciclica della vita.
Il fatto che tutto ciò sia avvenuto su isole artificiali permanenti dimostra anche che le popolazioni amazzoniche non erano solo nomadi o stagionali, come si è a lungo pensato. Al contrario, stabilivano insediamenti stabili e sofisticati, adattati al ciclo delle inondazioni grazie a un’ingegneria ambientale di sorprendente efficacia.
Il ruolo delle comunità locali
Sapere, ospitalità e memoria condivisa: un’archeologia viva, che ascolta e apprende
Geórgea Layla Holanda, una delle archeologhe IDSM, ha sottolineato quanto il progetto sia stato trasformativo anche dal punto di vista umano. “Non ci siamo limitati a lavorare: abbiamo mangiato insieme, ci siamo raccontati storie, abbiamo vissuto il ritmo della comunità”.
In un’Amazzonia sempre più minacciata, questa sinergia tra scienza e territorio rappresenta una speranza e un modello. È un invito a concepire l’archeologia non come estrazione di reliquie, ma come relazione viva con chi custodisce il passato senza saperlo, nei gesti quotidiani e nei racconti orali.
Un’eredità ancora da decifrare
Sette urne, sette vite, mille domande. La storia ha appena cominciato a parlare
La ricerca è solo all’inizio. Le analisi del DNA antico, le datazioni al radiocarbonio e l’esame comparativo con altri siti del bacino dell’Alto Solimões potrebbero presto fornire risposte più precise. Ma una cosa è certa: queste urne non sono semplici contenitori di ossa. Sono testimoni di una civiltà fluida, intelligente, adattabile, che ha vissuto in armonia con un ambiente estremo e mutevole.
Un ambiente che oggi, come allora, ci parla se siamo capaci di ascoltarlo.