Vai nel vigneto e raschia. Che trovi? Tutti i misteri romani riemersi a Negrar di Valpolicella. Chi viveva qui? Com’era fatto l’edificio? Quali veri segreti nascondono le immagini? Rispondono gli archeologi

Significativi accumuli di terreno dovuti alle piogge portarono a un completo seppellimento sotto un imponente strato di sedimenti. Ma gratta gratta, il passato riemerge. E se prosegui ne sciogli i nodi che lo rendevano oscuro.

Il panorama archeologico italiano si arricchisce così di importanti acquisizioni di conoscenza grazie ai risultati delle ricerche sul sito della Villa dei mosaici di Negrar di Valpolicella, presentati durante una giornata di studi lo scorso 16 dicembre. L’evento, organizzato dal Dipartimento di Culture e Civiltà dell’Università di Verona in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, ha messo in luce l’importanza di un complesso archeologico che si distingue per raffinatezza e ricchezza storica. I primi resti furono individuati nel 1887 durante operazioni di lavorazione agricola. In quell’occasione emerse un pavimento a mosaico raffigurante, in un riquadro, un putto o un giovane alla guida di una biga trainata da due cavalli. Successivi scavi portarono alla luce altre due sezioni del pavimento: una decorata con un mosaico figurativo rappresentante una scena con tre personaggi e l’altra con motivi geometrici. I reperti furono acquistati dal comune di Verona e collocati presso il museo civico, oggi noto come museo archeologico al teatro romano.

Una villa dalle molteplici stratificazioni storiche

Lo scavo archeologico, condotto dalla Soprintendenza tra il 2020 e il 2022 sotto la direzione di Gianni de Zuccato, e lo studio successivo presentato in questi giorni hanno interessato un’area di circa 3500 metri quadrati, rivelando una lunga continuità di frequentazione del sito, databile dall’avanzato IV secolo all’VIII secolo d.C. Tuttavia, sono state documentate fasi di abbandono parziale, in particolare tra la fine del V e l’inizio del VI secolo, quando alcuni ambienti furono lasciati in disuso e subirono crolli strutturali. Successivamente, tra il VI e l’VIII secolo, il sito venne trasformato e adattato, con l’introduzione di nuove strutture a carattere produttivo e abitativo, evidenziando una riappropriazione selettiva degli spazi. Tale complessità temporale ha richiesto, a livello di studi, un approccio interdisciplinare che ha coinvolto specialisti in archeologia, geomorfologia, archeobotanica, archeozoologia, petrografia, archeometria, antropologia e analisi biomolecolari. Lo studio ha visto la partecipazione di docenti e ricercatori di diverse università italiane, tra cui Firenze, Padova, Trento e Udine, oltre a laboratori nazionali e internazionali.

Grandi avvenimenti e profonde crisi

Nel IV secolo – epoca nella quale la villa fu costruita, probabilmente da nobile romano che veniva da Verona – l’Impero romano attraversava profondi cambiamenti politici, religiosi e amministrativi. Il periodo fu segnato dalla riforma tetrarchica di Diocleziano, che suddivise il potere tra più imperatori per affrontare meglio le crisi interne ed esterne. Costantino il Grande (306-337) consolidò il potere unico, favorì la cristianizzazione dell’Impero con l’Editto di Milano (313) e fondò Costantinopoli come nuova capitale (330). Il cristianesimo divenne progressivamente religione dominante, culminando con l’Editto di Tessalonica (380) sotto Teodosio I. L’Impero fu caratterizzato da crescenti pressioni esterne, soprattutto da parte delle tribù germaniche, e da una crisi economica e sociale. Alla morte di Teodosio (395), l’Impero fu diviso definitivamente in due entità: l’Impero d’Occidente e l’Impero d’Oriente, preludio alla caduta di Roma nel V secolo.

Una villa molto mossa, lungo il pendio


La villa, armoniosamente inserita nel paesaggio della Valpolicella romana, si sviluppava su più terrazze raccordate da scalinate di pietra, seguendo il naturale andamento del terreno. La costruzione era pertanto molto “mossa”, sotto il profilo architettonico.

La planimetria, estesa su almeno 3000 metri quadrati, comprendeva un settore residenziale organizzato intorno a un giardino con peristilio – cioè un colonnato che girava attorno allo spazio verde centrale, come un chiostro – e un complesso termale dotato di vani per bagni freddi, tiepidi e caldi.

Le decorazioni testimoniano il gusto raffinato e il prestigio del proprietario: i mosaici pavimentali presentano motivi decorativi geometrici intrecciati a rappresentazioni naturalistiche, con scene di animali esotici e figure umane stilizzate, che richiamano influenze dell’arte tardoantica. Le pitture parietali si distinguono per l’uso di colori vivaci e la rappresentazione di elementi architettonici illusionistici, come colonne e nicchie, che conferiscono profondità agli spazi. Degni di nota sono anche i lacerti di soffitti dipinti, ricostruibili grazie alle analisi radiocarboniche delle cannucce palustri che ne tenevano uniti i frammenti.

Un appassionato di corsa con le bighe?

Gli indizi sono minimi, affermano gli studiosi di iconologia e iconografia di Stile arte ma non ci può sfuggire, a livello di suggerimento iconografico l’immagine musiva di un giovane in biga, nel lacerto di un mosaico della stessa villa, nonché la presenza di tre figure, tra le quali un personaggio maschile in tenuta da auriga – cioè un uomo che guida un carro da guerra o da corsa – forse riferibile a Pelope. In realtà, proseguono gli studiosi di Stile arte, le immagini degli aurighi sembrano riferirsi a un orizzonte platonico e probabilmente cristiano.

Un’immagine – questa, sotto – mostra un giovane o un putto che guida un carro trainato da una coppia di cavalli: uno chiaro e uno scuro.

Nella mitologia greco-romana, il carro è un simbolo ricorrente, associato al culto del Sole, come nel caso del carro di Apollo, di Elio e pure del “padano” Fetonte. Ma il cavallo nero e quello bianco ci portano alla filosofia di Platone che, nel Fedro, narra il mito del carro alato e dell’auriga. In questa allegoria, la biga – secondo Platone – rappresenta l’anima e l’auriga ne incarna la parte razionale o intellettiva (logistikòn). La biga è trainata da due cavalli: il cavallo bianco simboleggia gli impulsi spirituali (thymeidès) e si dirige verso il mondo delle idee, mentre il cavallo nero rappresenta le emozioni pulsionali (epithymetikòn), legate al mondo sensibile.

Il compito dell’auriga, ossia della ragione, è guidare i cavalli verso l’iperuranio, il regno metafisico delle idee, mantenendo l’equilibrio tra i due. L’obiettivo è rimanere il più possibile nell’iperuranio, ritardando la caduta verso il mondo terreno e la reincarnazione.

Tra i materiali della villa di Negrar troviamo una seconda immagine di auriga, quella che vediamo qui sotto. Una giovane nobile si inginocchia al cospetto di un uomo che sembra indossare gli abiti di un comandante o di un guidatore di carro da guerra, utilizzato anche nelle competizioni circensi. La seconda donna, in piedi, è la madre della giovane o un’ancella.

Le tre figure. Singolare che l’auriga appaia con un frustino che può ricordare il pastorale di un vescovo @ Foto di Anatoliy Smaga CC BY-SA 4.0

Si pensa che l’uomo possa Pelope, figura della mitologia greca, era figlio di Tantalo. Innamoratosi di Ippodamia, Pelope accettò la sfida mortale con i carri imposta ai pretendenti dal padre di lei, Enomao. Ma Pelope ottenne il favore degli dèi e convinse Mirtilo, l’auriga del re, a sabotare il carro di Enomao. Durante la gara, le ruote del carro reale si ruppero, causando la morte di Enomao e consentendo a Pelope di vincere e sposare Ippodamia. Questa storia segna l’origine della dinastia degli Atridi e delle sue tragiche vicende.

Ma non ci può sfuggire il fatto che l’immagine appaia, forse dopo aver evocato, nello spettatore antico, la vicenda di Pelope, come una scena di conversione nella quale il militare romano potrebbe essere visto come vescovo, in virtù del frustino che, in verità, si rivelerebbe un ricurvo pastorale. La giovane donna, inginocchiata, è al centro di un atto di devozione e pare rapita dalle parole dell’uomo. Ciò renderebbe visivamente la metamorfosi del mondo romano nel mondo cristiano.

Dobbiamo sottolineare il fatto che, proprio negli anni di costruzione della villa, il Cristianesimo stava diventando religione di Stato. Teodosio emanò, nel 380, l’ Editto di Tessalonica, che dichiarava che il Cristianesimo “universale”, cioè quello fedele alle disposizioni del concilio di vescovi convocato da Costantino e tenutosi a Nicea nel 325 d.c, era l’ unica religione accettata nell‘ Impero. E’ probabile che l’apparato decorativo accogliesse il nuovo, pur con qualche riserva, adombrandolo con antichi miti.

L’oscillum, la pelta e le piccole croci

Un altro elemento a cavallo tra la tradizione iconografica antica e il cristianesimo è la decorazione geometrica di uno dei pavimenti della villa. Il riquadro centrale del mosaico presenta una serie di pelte – scudi lunati dell’antichità – che fungevano da elemento di protezione delle case da spiriti avversi e che spesso erano rappresentate nell’oscillum, una decorazione domestica che poteva essere fatta oscillare manualmente o che veniva mossa dal vento. Osserviamo, nell’immagine qui sotto, una pelta greca e una pelta rappresentata in un oscillum di pietra nel confronto con la pelta del mosaico veronese.

Possiamo notare che la sommità della decorazione della pelta, nel mosaico, è rappresentata da una piccola croce. Elemento che parrebbe casuale, ma che probabilmente, senza eccessivo disvelamento e con molta discrezione, fu prefigurato volontariamente sotto il profilo decorativo.

La produzione vinicola: un pilastro economico

Uno degli aspetti più rilevanti emersi dallo studio è la vivace attività economica legata alla produzione vinicola della villa. Analisi archeobotaniche hanno attestato la coltivazione di cereali, legumi e vite, mentre tracce di mosto e vino sono state rilevate tramite analisi biomolecolari sulle pavimentazioni degli spazi produttivi. Il complesso comprendeva ampie aree dedicate alla spremitura e torchiatura dell’uva, confermando che il vino rappresentava il principale investimento del proprietario. Fonti letterarie del VI secolo suggeriscono che il prodotto fosse di alta qualità e rilevanza commerciale. Un confronto preliminare con produzioni analoghe dell’epoca, come quelle della Campania o della Gallia Narbonense, evidenzia affinità nella qualità e nei metodi produttivi, ma anche differenze legate ai vitigni locali e alle tecniche di conservazione. Attualmente, sono in corso analisi genetiche per identificare i vitigni utilizzati, nell’ambito di un progetto coordinato dallo stesso Dipartimento di Culture e Civiltà dell’Ateneo veronese.

Le trasformazioni nell’età altomedievale

La villa di Negrar non cessò di essere frequentata con il declino dell’Impero Romano. In età longobarda, alcuni settori del complesso furono occupati selettivamente e adattati per nuove funzioni. Vennero edificati ambienti in tecnica mista, con basi in pietra e alzati lignei, o completamente in materiale deperibile. Di particolare interesse sono tre aree funerarie risalenti alla prima metà del VII secolo, dove sono stati rinvenuti corredi tardo longobardi che includono fibule decorate, pettini d’osso intagliato e armi rituali come spade e punte di lancia. Questi reperti, caratteristici dell’epoca, offrono uno spaccato significativo sulle pratiche funerarie e sullo status sociale degli individui sepolti, confermando la continuità insediativa e la trasformazione dell’area in questo periodo storico.

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa