Cesare Bertolotti, come dipingeva lo splendido verde dei prati

I suoi straordinari verdi erano ottenuti con una procedura tizianesca: tanti colori venivano stesi sul fondo della tela o del cartone. Una volta asciutti, egli iniziava a dipingere. La preparazione influiva sulle pennellate sovrapposte creando quella morbida mutevolezza cromatica provocata, nei prati, dalla presenza di sassi, terre, sabbie o dall’infinita varietà delle erbe.


di Giorgio Orlandi
Il quadro di Cesare Bertolotti che proponiamo qui in fotografia – prima e dopo l’intervento di restauro conservativo – appartiene alla tipologia pittorica dell’autore riconducibile alla metà degli anni Venti del Novecento. L’opera, sviluppata in orizzontale (50,5×110 cm), è connotata da una forte resa luministica che permea l’intera rappresentazione. In primo piano, una donna, seduta su una roccia, lavora con ago e filo, mentre al centro un’altra contadina, con la gerla sulle spalle, si dirige verso una baita. Lo scenario naturale che incornicia questa suggestiva veduta è caratterizzato dall’imponente catena del Tredenus, in Valcamonica, sovrastata da un cielo di intenso azzurro, “virgolato” da pennellate rosa, che risultano un richiamo divisionista. Il dipinto, eseguito ad olio su tela mista di cotone e canapa, fa parte della selezione – a cura dell’Osservatorio d’Opera di Brescia – finalizzata alla realizzazione della mostra di Bertolotti che si terrà dal 30 novembre al 15 dicembre nella ex chiesetta dei Disciplini, ora sala civica, a Bedizzole, organizzata dall’Associazione artistica culturale Andrea Celesti con il patrocinio dell’Amministrazione comunale.

Il quadro giungeva a noi, in laboratorio, con un accentuato appesantimento chiaroscurale, causato da uno spesso strato di sporco di superficie associato ad una vernice originale alterata che impediva la corretta lettura dei toni marcatamente luminosi. Si è dato inizio alla pulitura con tamponcini di cotone imbevuti in un solvente idoneo di origine artificiale a base di mucina, mediante i quali venivano raccolti i sedimenti. Si è poi provveduto all’asportazione della vernice grigio-marrognola che alterava i toni di colore: per questa delicata operazione è stato necessario utilizzare un’emulsione a base di stearato d’ammonio nella quale sono stati dispersi solventi a base di acetato di butile e toluolo. L’emulsione è stata applicata ad impacco ed in maniera differenziata sulla superficie, poi lavorata con un pennello morbido per circa un minuto, sino ad ottenere l’esito desiderato. Il restauro si è concluso con la verniciatura protettiva, eseguita con una resina chetonica a base di cicloesanone con filtro UV ad alta stabilità, stesa per nebulizzazione. Cesare Bertolotti è uno degli artisti bresciani che caratterizzano, verso la fine dell’Ottocento, la grande tradizione accademica. Ha operato in prevalenza ad olio, utilizzando per supporto la tela ed il cartone adeguatamente preparati e seguendo con scrupolo il dettato del “dipingere grasso su magro”. La vera ricerca – e forse unica sperimentazione – che l’autore ha condotto, riguarda la scelta cromatica della preparazione di fondi oleo-resinosi. Dal fondo del quadro qui considerato, infatti, durante i restauri sono emersi svariati colori, secondo una metodologia adottata, tra l’altro, dal sommo Tiziano. Queste stesure di preparazione della tela o del cartone venivano fatte asciugare; l’artista iniziava poi la realizzazione propriamente detta dell’opera. Soprattutto i verdi, grazie ad una diversa vibrazione sui colori del fondo, imitavano alla perfezione, nella mutevolezza, le morbide discontinuità cromatiche presenti in natura. Per quanto concerne la grafica, Bertolotti ha avuto modo di cimentarsi con la rigorosa tecnica del pastello, che impiegava in particolare nel ritratto. Qui l’impostazione deriva fortemente dall’insegnamento e dallo stilema del suo maestro, Roberto Venturi.

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