Nella sintesi suprema di un punto di vista al quale giungono messaggi e suggestioni del passato e vivide proiezioni del futuro, Kostabi pone il proprio, elettivo luogo di ricerca. Se infatti ad una strada – una strada maestra percorsa con intensità ai tempi della formazione – l’artista americano ha affidato il proprio transito iniziale essa è quella straordinariamente ampia del Surrealismo e della Metafisica, ripercorse in un dimensione totalmente moderna, privata degli angoli angoscianti di una Psiche che, ai tempi di Breton, Magritte e dei compagni di strada, risultava ancora impenetrabile, nonostante gli studi di Freud. Immediato appare, nella pittura di Kostabi, il confronto con De Chirico, autore amatissimo dal giovane americano, durante gli anni dell’elaborazione della propria cifra stilistica. “L’incontro con le opere di De Chirico – afferma infatti – è stato fondamentale. Dopo essermi trasferito a New York sono stato tra gli spettatori di una retrospettiva dedicata al maestro. La mostra mi è piaciuta molto. Avevo già inventato il mio linguaggio visivo con la figura senza volto che, in qualche modo, si specchiava nei manichini dechirichiani.
Certamente la mostra ha aggiunto qualcosa, in me. L’amore per De Chirico era condiviso da molti artisti, a New York, nell’ambito del cosiddetto Neo-Surrealismo”. Ma Kostabi ha proceduto attraverso i codici della contaminazione, come se le celeberrime piazze dell’autore italiano, pur riprodotte con un’aura sospesa ed aperta alla rivelazione, si dischiudessero alla modernità, accogliendo il vento della cultura di massa, composta da fumetti, marziani algidi, riletture pop di celebre icone – la Pop art risulta uno dei punti di riferimento principali nel “romanzo di formazione” di Kostabi -, copertine dei dischi sulle quali si cercava un punto di raccordo tra la tradizione e l’innovazione.
Esponente di una cultura, come quella americana, contrassegnata profondamente dalla necessità di una fagocitante consumazione delle diverse “religioni” della pittura, l’artista statunitense è pertanto giunto, attraverso i suoi androidi, ad osservare la realtà con un programmatico disincanto, contrassegnato da una lieve, poetica ironia. Gli androidi di Kostabi – nei quali si può riconoscere l’uomo universale, privato della sua dimensione individuale – giocano nelle sue piazze e nei suoi quadri come turisti stupiti o come vacanzieri che hanno pianificato un week-end sentimentale, in una scioltezza di atteggiamenti che comporta un allontanamento metafisico dalla prigionia dei manichini dechirichiani, personaggi in mano alla volontà del suo autore, privi di libero arbitrio. E’ invece il canto alla libertà a contrassegnare i flessuosi attori dei dipinti di Kostabi: una libertà pur sorvegliata, poiché essa si rivela sempre riconducibile a un comportamento stereotipo, a un rituale di massa per il quale è prevista una concezione coreografica – di aggraziati passi – nella realtà.
La scelta post-rinascimentale della “bottega globale”. L’artista vive tra l’Italia e New York. Nel suo studio americano lavora una folta équipe di collaboratori, rispetto alla quale Kostabi si pone come un caposcuola dell’arte italiana antica. Egli elabora le idee, che vengono poi passate, in bozzetto, alla “factory” affinché siano trasformate in dipinti. Durante la stesura da parte dell’”officina”, Kostabi chiede di vedere lo sviluppo di ogni opera. “Quando Giotto non era ad Assisi – afferma l’artista – procedevano i suoi collaboratori, il cui lavoro veniva controllato da alcuni inviati del responsabile di bottega”. Dopo il trasferimento in Italia, Kostabi verificava inizialmente il lavoro con l’uso di Polaroid, ora opera con le mail. “Io ho creato uno stile – afferma il pittore, che conta su un’équipe di stampo warholiano – Non ha più senso distinguere un quadro dipinto da me, direttamente, o dalla bottega. Essi si equivalgono”. Per evitare che il sistema di collaborazione molto aperto possa essere sconvolto dall’inserimento di falsari, Kostabi ha elaborato una protezione in codice, che consente la piena identificabilità dei quadri autentici.
L’artista di origine estone tra la musica e la pittura. Mark Kostabi nasce a Los Angeles nel 1960 da emigrati estoni; cresce a Whittier in California e studia disegno e tecnica pittorica alla California State University di Fullerton. Si trasferisce a New York nel 1982 e dopo pochi mesi diviene una figura di rilievo nel vivace movimento artistico dell’East Village. Si fa notare a Manhattan pubblicando interviste a se stesso che evidenziano la mercificazione dell’arte contemporanea. Nel 1988 apre il Kostabi World, una vera e propria “factory” che si compone di uno staff di assistenti alla pittura e di soggetti creativi. Rassegne retrospettive sul suo lavoro si sono tenute presso il Museo Mitsukoshi di Tokyo nel 1992 e al Museo d’Arte dell’Estonia a Tallin nel 1994. Suoi quadri si trovano in importanti musei. Nel 1988 dipinge un murale nel Palazzo dei Priori ad Arezzo. E’ anche compositore, ed il suo primo cd, “I Did it Steinway”, musica per solo pianoforte composta e interpretata da lui stesso, è uscito nel 1998. Kostabi ha disegnato le copertine di album rock, “Use Your Illusion” dei Guns’N’Roses, e “Adios Amigos” dei Ramones, e numerosi oggetti tra cui uno Swatch. Significativa è la sua presenza in diversi programmi televisivi statunitensi ed europei. Di lui hanno scritto molte testate giornalistiche, tra cui, per ricordare alcune delle maggiori, “The New York Times”, “People”, “Vogue”. (maurizio bernardelli curuz)
Kostabi, l'artista che vive in Toscana e che fa dipingere la sua bottega a New York
Folgorato da De Chirico, l’artista americano ha elaborato un proprio linguaggio basato sulla sintesi di elementi metafisici, messi a collidere con il fumetto e con la cultura popolare occidentale. Il successo delle sue opere risiede proprio nella capacità di recuperare codici all’apparenza distanti, attraverso un lavoro di innesto. Che è poi insegna del “sincretismo” e della visione pulviscolare della realtà nel contemporaneo