[U]n ritratto che non dovrebbe esistere, un uomo all’apparenza immortale. Ecco il resoconto di una vicenda accaduta nella Venezia del 1600 che ebbe per protagonisti l’alchimista Federico Gualdi – lo studioso che sarebbe divenuto un punto di riferimento teorico per Cagliostro – e, indirettamente, Tiziano La trasmutazione dell’oro, la ricerca dell’elisir di lunga vita sono temi circonfusi da un’aura mitica.
Argomenti di questa portata non potevano rimanere estranei alla sfera della pittura, sia per quanto riguarda la rappresentazione di soggetti dal significato ermetico, comprensibili a pochi iniziati, che per quanto concerne le truffe realizzate attraverso il supporto dell’arte. E non stiamo parlando di medaglie di piombo, inserite in un bagno alchemico e poi sostituite con identici oggetti d’oro, imbroglio nel quale caddero numerosi sovrani europei, ma di un ben più inquietante gioco con il tempo, giostrato attraverso l’uso della tela e dei pennelli.
E’ in questo modo che i fili del destino s’intrecciano, ponendo in una relazione indissolubile le figure di Federico Guardi e Tiziano. Il primo è un conosciuto alchimista attivo nella Venezia della seconda metà del XVII secolo, creduto depositario del segreto dell’eterna giovinezza; un uomo eclettico e colto, che amava circondarsi di letterati, ecclesiastici, artisti, eruditi, nonché autore della Philosophia Hermetica.
Lo stesso Consiglio della Serenissima decise di sovvenzionarne le ricerche, ma ad una condizione: per mantenere attivi i finanziamenti erano richiesti esiti concreti.
E poiché i risultati tardavano a giungere, l’alchimista pensò bene di tenere alto il livello di mistero attorno a sé. Un ruolo straordinario, in questo ambito, fu svolto da un ritratto dipinto in perfetto stile Tiziano. L’alchimista vi appariva come se il tempo non fosse passato e che lui – cent’anni prima con lo stesso aspetto di un uomo di quarant’anni – si fosse seduto nello studio del grande maestro per ottenere una pregiata effigie.
Gualdi era solito far transitare gli ospiti davanti a quel dipinto, fingendo un relativo disinteresse per l’opera stessa, per quanto gli invitati osservassero la tela con sguardo allibito, ora scrutando il quadro ora osservando il padrone di casa.
Lo stile pittorico e gli abiti indossati da Gualdi creavano un mix esplosivo: la mano sciolta e imperiosa, ma al tempo stesso sensuale del falsario, gli accordi cromatici, la capacità introspettiva portavano inequivocabilmente – come testimoniarono anche alcuni pittori passati per la casa dell’alchimista – al grande Tiziano; e gli abiti della persona ritratta, poiché la moda aveva fatto il suo corso, sembravano quelli appartenenti a una generazione ormai inesorabilmente cancellata dalla morte.
L’azione estraniante sulla linea del tempo – permessa dal falso ritratto tizianesco – consentiva all’alchimista di ottenere i massimi effetti di vertigine. Evidentemente, dopo aver sfruttato la vena aurifera offerta dalle persone facilmente suggestionabili, Gualdi fu costretto a levare le tende. di un mito? Non proprio. Per i sostenitori della tesi dell’eterna giovinezza, Gualdi sarebbe scomparso dalla laguna nel 1682 per poi riapparire in Germania attorno al 1716 con l’identità di August Melech Hultazob, principe d’Achem, raffigurato nelle incisioni dell’epoca vestito alla foggia di un nobile orientale. Famoso per la sua medicina universale, si produsse in una trasmutazione alchemica per il re Federico Augusto II di Polonia, incontrò Federico II re di Prussia e lo zar Pietro il Grande. Intrattenne un carteggio con Anna Ivanovna, duchessa di Curlandia e futura imperatrice di Russia. Il matrimonio con una contessa polacca gli riservò una ben triste fine: per ordine di costei, un servitore moro lo uccise, soffocandolo.
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Truffa con la pittura. "Sono immortale, la prova è nel mio ritratto"
L’alchimista Federico Gualdi, ritenuto possessore del segreto dell’eterna giovinezza, appare in una tela attribuita a Tiziano, vissuto però un secolo addietro. Cronaca di un gioco che passa dalla pittura per arrivare all’oro