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Fotografo di moda, abile ritrattista, ma soprattutto creatore di atmosfere dolcemente surreali, nelle quali ha spazio il sogno disteso, la negazione dell’incubo. Il fotografo Rodney Smith è nato nel 1947 a Long Island, New York. In casa ha respirato immediatamente il senso della bellezza e dell’equilibrio formale poichè il padre era presidente del colosso della moda Anne Klein. Smith, a proposito dell’infanzia e adolescenza ricorda: “Un senso di stile, un senso delle proporzioni e un senso di bellezza e un senso di grazia -. Tutte queste cose erano molto importanti nella mia educazione”. E quest’equilibrio, questa vena gentile, equilibrata e dolce è rimasta certamente nella sua produzione fotografica.
Sotto il profilo formativo, dobbiamo ricordare, la matrice letteraria – ha studiato letteratura inglese e teologia all’Università della Virginia, negli anni Settanta – e ha poi discusso una tesi di argomento teologico nel 1973, alla Yale University. Cercava solide radici intellettuali, Rodney e, contemporaneamente frequentava, lo studio del fotografo Walker Evans, che fu il suo primo maestro. Ha iniziato a fotografare con 35 millimetri Leica ed è poi passato a una Hasselblad 120 millimetri. Fino al 2002 ha prodotto esclusivamente fotografie in bianco e nero. E’ certamente un punto di riferimento assoluto per quanto riguarda l’uso della luce naturale, che riesce a catturare e a modulare in modo straordinario. Nel 1976 ha trascorso più di tre mesi in Terra Santa, dove ha scattato fotografie per complessivi ottantotto rullini, dai quali ha poi selezionato le immagini del suo primo libro “Nella terra della Luce: Israele, un ritratto della sua gente (1983).
“Il bianco e nero è come una struttura architettonica che rispecchia le fondamenta del nostro essere, del nostro sentire – dice Rodney Smith – Potremmo paragonarlo alle travi portanti di un edificio. Evoca l’essenza dell’esperienza vissuta. E questo è un aspetto di fondamentale importanza. Ma c’è di più: sul piano emotivo è, a mio parere, molto più intenso del colore. Non ne sono sicuro, ma credo che tragga la sua forza dalla nostra percettività visiva. Il colore si ferma all’apparenza delle cose. Può essere veramente bello, delicato, meraviglioso a suo modo, ma è totalmente diverso.”