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Stile Arte intervista l’artista Cristina Cherchi
Iniziamo con una breve scheda anagrafica. Nell’ambito dell’espressione artistica può immediatamente specificare il suo orientamento stilistico ed espressivo?
La mia ricerca artistica è una visione del mondo disincantata e giocosa, che allude, illude, rimanda, nasconde, si oppone. Anche se tempo ‘fa altre persone hanno definito il mio percorso artistico, io ritengo che la mia poetica non sia inscrivibile in nessun orientamento stilistico ed espressivo, sarà presunzione, non mi piacciono le “etichette”.
Ci può raccontare imprinting visivi, immagini artisticamente ossessive, che hanno preceduto e assecondato la scelta di intraprendere la strada formativa per diventare artista?
Diventare artista?
Ho scelto di intraprendere questo percorso ancora in età precoce; durante l’infanzia a periodi alternati dovetti rimanere in casa convalescente e durante le giornate occupavo il tempo disegnando e“scarabocchiando”; era molto bello, mi appassionai a tal punto che a 14 anni dissi ai miei genitori che volevo frequentare il liceo artistico.
La formazione vera e propria. Dove e su cosa ha particolarmente lavorato? Sono esistite, in quel periodo, infatuazioni espressive poi abbandonate? Come si sviluppa e si conclude – nel senso stretto dell’acquisizione dei mezzi espressivi – il periodo formativo?
Il mio percorso formativo è tradizionale. Ho scelto di frequentare un liceo artistico dove ebbi l’occasione, grazie alla dirigenza dello scultore Mauro Staccioli, di assistere a numerose conferenze di artisti come Alik Cavaliere, il disegnatore Bozzetto, Claudio Sugliani ed altri artisti importanti a livello internazionali. Gli insegnamenti in questo contesto mi hanno permesso di affinare l’arte del disegno e delle tecniche artistiche. Successivamente al percorso liceale, decisi di iscrivermi ad un corso di pittura, all’‘accademia di belle arti Carrara di Bergamo. La poliedrica direzione del fotografo Mario Cresci e gli insegnamenti di Angela Vettese, Martina Corgnati, Giorgio Verzotti, Jorrit Tornquist, Marco Senaldi, Renata Boero, Bruno Bandini, Nicole Gravier, Calisto Gritti, Claudio Sugliani, Laura Mattioli Rossi, Aldo Montù, Mazzini, Armando Tomasi, mi han permesso di aprire ulteriormente gli orizzonti dell’arte.
Nell’ambito dell’arte, della filosofia, della politica, del cinema o della letteratura chi e quali opere hanno successivamente inciso, in modo più intenso, sulla sua produzione? Perché?
Nel mio lavoro cerco sempre di creare un filo sottile di rimandi e citazioni che coniuga l’arte con altre discipline come la letteratura, musica, cinema, design. Non mi rivolgo ad un solo specifico autore, ma dipende sempre dal progetto che intendo realizzare. Ogni lavoro non è fine a se stesso, il legame che nasce con quello precedente rispecchia la mia ricerca di approfondire gli aspetti profondi dell’animo umano, però dando un “imprinting” differente. Mi interessa interagire con l’occhio di chi guarda. É l’ osservatore che deve dare le risposte all’enigma che si nasconde nell’opera.
Gli esordi come e dove sono avvenuti? Ci può descrivere le opere di quei giorni e far capire quanto e come le stesse – anche per opposizione – abbiano inciso sull’attuale produzione?
Ho cominciato ad esporre ed a partecipare a vari progetti a partire dagli anni ’90 con la frequentazione del corso Superiore di scultura e gioiello a Pietrarubbia (Pu), fondato da Arnaldo Pomodoro e diretto dallo scultore Eliseo Mattiacci; avendo una formazione pittorica, ma poiché di pittura ne ho praticata poca, ho sempre sperimentato le tecniche di incisione e l’utilizzo di svariati materiali; questa esperienza mi ha permesso di confrontarmi con altri artisti e affinare ulteriormente le mie conoscenze, non solo tecniche, ma anche teoriche. Ho sempre bisogno del raffronto con altri sistemi di percepire l’arte ed il mondo che mi circonda, per capire su cosa lavorare.
Il passaggio da uno stile all’altro è avvenuto ed avviene naturalmente, senza la percezione razionale.
Quali sono stati gli elementi di svolta più importanti dall’esordio ad oggi. Possiamo suddividere e analizzare tecnicamente, espressivamente e stilisticamente ogni suo periodo?
Il primo periodo di attività credo che sia, per ogni artista , passaggio fondamentale che permetta di capire quale sia la ricerca da intraprendere, ma se devo essere sincera il mio percorso non è mai stato lineare, ho sempre utilizzato svariate tecniche per la realizzazione di ogni opera ed in ogni progetto cambiavo metodo e approccio.
Riesco anche a trovare contraddizioni in quello che faccio. In effetti se osservo ciò che producevo nel primo periodo di attività, essendo aniconico, lo trovo estremamente differente ed in antitesi con quello che realizzo negli ultimi anni. Il filo conduttore che tiene legati i due periodi è semplicemente il gioco della stratificazione della materia:
prima era la Superficie, poi la profondità.
Mi piace spesso e volentieri giocare sulle opposizioni di genere, sulla memoria, la storia. Sono gli aspetti della stessa medaglia da un lato rimando: al gioco infantile, sfogo liberatorio di creatività, approccio innocente e aperto al mondo, e dall’altro lato al senso di dialettica, a volte conflittualità, tra parti del mondo, dell’essere e del sociale.
Ci sono persone, colleghi, collezionisti, galleristi o critici ai quali riconosce un ruolo fondamentale nella sua vita artistica? Perché?
Ho buoni rapporti e di stima nei confronti di amici artisti di cui condivido il loro percorso perché ritengo che la loro ricerca sia in continua evoluzione: Gianfranco Milanesi per l’ironia e l’aspetto ludico, Pietro Finelli per la capacità introspettiva e la cultura,, Tania Sofia Lorandi per l’empatia, Elisabetta Oneto per l’essere poliedrica, Filippo Borella per la dinamicità del suo percorso, Nadia Galbiati per il rigore poetico, Silvia Casilli per la raffinatezza dell’opera pittorica, Daniele Salvalai per la caparbietà, Gianluca Chiodi per la versatilità, Angela Corti per il connubio tra scultura e musica ; l’associazione art gallery di Milano che promuove il mio lavoro, ed il gallerista Neil Davenport che ho conosciuto ultimamente e tanti altri ancora.
Materiali e tecniche. Ci può descrivere, analiticamente, come nasce una sua opera del periodo attuale, analizzandone ogni fase realizzativa, dall’idea alla conclusione?
Dipende sempre dal contesto, ultimamente opero molto nel site- specific, mi piace osservare: il luogo e la sua storia, gli abitanti della zona, recuperare gli oggetti, approfondire il contesto culturale etnografico, giocare con questi aspetti, intrecciare i materiali con la memoria, ricordare il profumo del tempo trascorso, per poi pensare ad un vero e proprio progetto.
In alternativa alla ricerca artistica focalizzata sulla fotografia, ho realizzato diversi progetti installativi, recuperando oggetti e materiale provenienti dai processi di riciclaggio.
Ha gallerie di riferimento? Dove possono essere acquistate le sue opere?
Ho sempre esposto in spazi no- profit d’ arte Contemporanea ed in spazi pubblici, credo che l’arte debba essere condivisa da tutti. Il mio lavoro è poliedrico, forse poco riconoscibile dal sistema dell’arte.
A parte lei – che diamo come autore da acquisire – può indicarci il nome di colleghi di cui acquisterebbe le opere nel caso fosse un collezionista?
Io comprerei opere di artisti orientali. Tempo fa acquistai una serigrafia di Keizo Moroshita; se fossi collezionista mi piacerebbe anche un’installazione dell’artista cinese Ai Weiwei.
Contatti:
Email. cristinacherchi24@gmail.com
Sito web. www.cristinacherchi.com
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Cristina Cherchi, le inquietudini dei sensi nel giardino dell'infanzia
"Nel mio lavoro cerco sempre di creare un filo sottile di rimandi e citazioni che coniuga l’arte con altre discipline come la letteratura, musica, cinema, design. Non mi rivolgo ad un solo specifico autore, ma dipende sempre dal progetto che intendo realizzare. Ogni lavoro non è fine a se stesso, il legame che nasce con quello precedente rispecchia la mia ricerca di approfondire gli aspetti profondi dell’animo umano, però dando un “imprinting” differente".