di Beatrice Avanzi
In occasione dell’uscita del catalogo generale dell’opera di Mario Radice (Electa, 384 pagine, 967 illustrazioni) e della retrospettiva dedicata all’artista a Como, sua città natale, “Stile” ha intervistato Luciano Caramel, autore del volume e curatore della rassegna
Il catalogo generale dell’opera di Mario Radice, da lei curato, e la mostra di Como consentono di ripercorrere l’attività di questo artista, che fu uno dei massimi protagonisti dell’astrattismo italiano. Quali sono le maggiori novità che emergono?
La mostra è la conseguenza delle ricerche per il catalogo generale ed è puntata, in due sedi, su due obiettivi. Il primo, nella Casa del Fascio, è di presentare una serie di lavori legati alla collaborazione tra Radice e Giuseppe Terragni, mentre nel salone del Broletto ci sono una sessantina di quadri, esemplari per qualità, che evidenziano alcuni aspetti del percorso dell’artista. Il catalogo generale è il frutto di un lavoro di ricerca molto lungo e complicato, per le difficoltà nel rintracciare le opere e per l’incertezza delle datazioni. Il metodo di Radice era quello di elaborare alcuni modelli compositivi, che poi spesso riprendeva, modificandoli nella struttura, privilegiando però frequentemente la datazione iniziale. Ci sono quadri con strutture strettamente analoghe, che sono dislocate nel tempo, dagli anni Trenta alla morte. Il pittore datava l’ideazione compositiva, anche se si trattava di opere sostanzialmente diverse. Le molte centinaia di pezzi ritrovati hanno richiesto quindi un lavoro capillare e complesso. Nella prima parte del catalogo sono pubblicati circa ottocento dipinti, nella seconda sono raccolte oltre cento schede sull’attività non pittorica di Radice, che fin dall’inizio ebbe tra l’altro un rapporto molto importante con gli architetti. Oltre che con Terragni, collaborò con Cesare Cattaneo, con il quale già nel 1935-36 realizzò la grande fontana per il Piazzale di Camerlata, e ancora con Luigi Zuccoli, Ico Parisi, Marcello Nizzoli. Con gli architetti, ma anche da solo, progettò allestimenti, architetture d’interni, facciate di negozi. Da questa seconda parte del catalogo, che comprende inoltre mosaici, vetrate, opere di grafica, emergono molte novità importanti, non solamente perché restituiscono l’immagine generale dell’attività di Radice, ma perché testimoniano uno dei caratteri fondamentali della sua arte, che è quello della polidimensionalità e di questo fondante rapporto con l’architettura.
A tal proposito, l’intervento di Radice nella Casa del Fascio di Terragni fu un episodio particolarmente importante…
I suoi interventi, distrutti dopo il 25 aprile per un’ovvia damnatio memoriae, in quanto inglobanti scritte e immagini relative al Fascismo, furono in due spazi, la Sala del Direttorio e il Salone delle Adunate. Nel primo ambiente Radice realizzò un grande “Plastico murale ad affresco” tridimensionale e una “Pittura murale”, che era completamente sconosciuta se non nello schema strutturale, attraverso alcune opere che Radice eseguì nei decenni successivi, riprendendone la composizione secondo il metodo che ho ricordato. In occasione della mostra viene riproposta per la prima volta la ricostruzione dei due lavori, nei luoghi in cui furono dipinti, in bianco e nero la “Pittura murale” e a colori il “Plastico”, sulla base di una tavola fuori testo pubblicata sulla rivista “Quadrante” nel 1936 e della cartella dei colori di Radice desunta dalle sue opere coeve. Nel Salone delle Adunate l’artista dipinse alcuni pannelli in cemento armato sospesi alla parete attraverso sbarre metalliche, secondo l’idea di un inserimento della pittura nello spazio. Si tratta di un episodio fondamentale in cui Radice, pur essendo informato del rifiorire dell’interesse per l’arte astratto-geometrica a Parigi nella prima metà degli anni Trenta, è stimolato alle sue soluzioni dall’architettura di Terragni. Il fatto che, come ho dimostrato ricostruendo tutte le date, Radice abbia eseguito i suoi interventi non a priori, ma in mezzo al cantiere, alla spazialità della Casa del Fascio e ai suoi rapporti architettonico-strutturali è fondamentale, perché siffatta congiuntura stimola la singolare caratterizzazione della sua pittura, per ciò diversa da quella degli astrattisti del tempo, comaschi compresi.
Oltre a questo aspetto, viene ricostruito anche quello, meno noto, della sua ricerca figurativa.
Sì: uno degli aspetti fondamentali, insieme al rapporto con l’architettura, è questa continuità nell’arte figurativa. La prima opera catalogata, del 1926, è figurativa, così come l’ultima, che è del 1986, alla vigilia della morte. Radice non ha mai abbandonato l’arte figurativa, proprio perché non ha mai aderito alla logica dell’avanguardia, nel senso di adottare come strumento di giudizio la novità e il superamento di quello che è avvenuto. Anche le sue opere astratte, a cominciare da quelle della Casa del Fascio, hanno un colore legato a una luce atmosferica, a dei dati, quindi, tutt’altro che concretisti, a priori. Non sono mai stesure esatte. Ciò deriva anche dalla conoscenza e dall’amore per l’arte del passato, lombarda in particolare. Ma non solo. Ci sono, per esempio, delle “Battaglie” degli anni Quaranta legate a Paolo Uccello, che Radice espose alla Biennale insieme ad opere astratte. Nelle stesse opere astratte il titolo a volte nasconde il rapporto con il referente oggettivo. “R.S.” vuol dire “Ritratto Segreto”, “A.N.F.” significa “anfora”, con rimandi ai soggetti delle composizioni. Diversamente dalla maggior parte degli astrattisti, Radice ha sempre continuato su questa strada, con una scelta non univoca, anche se dagli anni Cinquanta l’astrazione diviene fondamentale e predominante.