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Il Museo della Marineria di Cesenatico, dal 5 luglio al 7 settembre 2014, – 10-12, 17-23- ha allestito la mostra Corsari nel nostro mare, con immagini, carte nautiche, documenti. Una vicenda che ha condizionato la navigazione e le coste del mare nostrum tra XVI e XIX secolo, dando vita anche ad una intensa produzione di arte e folclore. Lo storico navale Marco Bonino descrive le navi utilizzate nell’ambito della guerra di corsa; Marco Asta, collezionista ed esperto di carte nautiche d’epoca, ha fornito il materiale cartografico, corredandolo di interessanti note; mentre l’archivista Veronica Pari ha curato una approfondita indagine negli archivi locali alla scoperta di lettere e documenti che ci portano le voci preoccupate, dolenti o disperate dei protagonisti di questa storia.L’evento di studio ed esposizione è stato curato dalla Marineria di Cesenatico con il patrocinio della AMMM – Association of Mediterranean Maritime Museums, il network dei musei marittimi Mediterranei, e dell’ISTIAEN – Istituto di Storia e Archeologia Navale, con il prezioso supporto, come per tutte le attività del Museo della Marineria, di Gesturist Cesenatico S.p.A. Il catalogo, a cura di D. Gnola con testi di M. Asta, M. Bonino, V. Pari, è pubblicato da Minerva Edizioni, Bologna.
Quella dei corsari è una delle tante storie che racconta il nostro mare, inteso sia come mare nostrum Mediterraneo, sia come il “più nostro” Adriatico sino alle coste di Romagna, le cui spiagge sono ora un luogo sicuro e familiare per eccellenza, ma dove tra le ultime incursioni di corsari e i primi stabilimenti balneari, tra 1820 e 1840, passarono solo due decenni. Anche il Mediterraneo ebbe infatti i suoi corsari, meno famosi ma certo non meno interessanti dei loro “colleghi” dei Caraibi; essi furono una presenza costante e pericolosa soprattutto tra la fine del secolo XVI e l’inizio del XIX, nel quadro della contrapposizione, ma anche della convivenza e del reciproco interesse e curiosità, tra il mondo degli stati cristiani e quello dell’Impero Ottomano, che dopo Lepanto vedono le loro forze e insediamenti in equilibrio sulle opposte sponde del Mediterraneo.
Una “guerra inferiore”, come la definì il grande storico Fernand Braudel, che vide protagoniste le navi corsare che avevano le loro basi nelle “reggenze barbaresche” di Algeri, Tunisi, Tripoli, senza dimenticare tuttavia la miriade di piccole imbarcazioni che trovavano rifugio un po’ ovunque nei tantissimi anfratti delle coste del Mediterraneo, come ad esempio, in Adriatico, a Dulcigno e Valona.
Corsari, non pirati: la differenza può sembrare poca, e sicuramente lo fu spesso anche in pratica; ma la differenza c’era, perché i corsari agivano sempre grazie alla “patente di corsa” o “lettera di marca” rilasciata da uno stato sovrano – in questo caso le potenze contrapposte degli stati cristiani e dell’Impero Ottomano – che li autorizzava a depredare navi nemiche e catturare persone come schiave. Va detto infatti che la pratica della guerra di corsa era comune a entrambi i fronti, e dava vita ad una curiosa sarabanda di reciproche catture dov’era a volte difficile districarsi e nelle quali – come dicevano i contemporanei – “una volta o l’altra, tutto finisce in Barberìa”.
Legato strettamente alle azioni corsare era il fenomeno della schiavitù, che oltre agli equipaggi messi ai remi sulle galee, coinvolgeva anche i pescatori e le popolazioni costiere, abituate per secoli a temere l’arrivo dei “Turchi” sulle spiagge; e che ha dato vita anche ad una ricca produzione folclorica e artistica, dalle canzoni popolari come la celebre “All’armi all’armi la campana sona / li Turchi so’ arrivati alla marina”, sino a opere come L’Italiana in Algeri di Rossini.
Il Museo della Marineria di Cesenatico ha proposto questa storia attraverso immagini, carte nautiche, documenti, esplorandone in sintesi i suoi aspetti: il Mediterraneo, piazza e crocevia di popoli, merci, culture; le incursioni e il sistema difensivo costiero; i suggestivi ex voto che illustrano con vivacità scene di attacchi e inseguimenti; il complesso fenomeno della schiavitù e del riscatto; e infine l’interessantissimo e ambiguo capitolo della reciproca fascinazione e attrazione che legava due mondi contrapposti – quello cristiano e quello Ottomano – che però hanno sempre mantenuto aperta una fitta rete di scambi e interessi; e dove da parte cristiana il “farsi Turco” era a volte una condizione di sopravvivenza, a volte una opportunità di riscatto economico e sociale, come mostrano le vicende di molti “rinnegati”.
Tra le testimonianze iconografiche dei corsari barbareschi, troviamo le stampe dedicate a Uluc Pascià, potentissimo ammiraglio turco, originario della Calabria, rapito da ragazzino, entrato a far parte del novero dei corsari barbareschi, fino alla scalata alla vetta dell’esercito e del potere. La sua abilità e la sua forza nonchè la sua origine impressionarono particolarmente le società italiane del Cinquecento. Secondo le ricostruzioni storiche, Giovan Dionigi Galeni stava entrando in convento per diventare monaco quando, diciassettenne, venne catturato dal corsaro algerino Khayr al-Dīn Barbarossa nel 1536 sull’isola Isola di Capo Rizzuto in Calabria, in località Le Castella.
Il prigioniero-ragazzino venne subito messo ai remi come uno schiavo, ma riuscì a sopravvivere grazie a una non comune resistenza e alla comprensione dei codici del nemico. Fu, in questo mutamento, aiutato dal contatto con corsari barbareschi di origine calabrese, tra i quali Ja’ Far Pascià, di cui sposò la figlia, dopo essersi convertito all’islam per poter uccidere senza conseguenze un turco dal quale era stato offeso.
L’audacia del mancato frate calabrese fu enorme. Da corsaro imperversò in tutto il Mediterraneo e compì imprese di temeraria rapina autorizzata. Atterrì le coste e i legni siciliani e napoletani, catturò navi, attaccò paesi e città, fino a spingersi a in Liguria a Civezza, attualmente in provincia di Imperia, che riusci a resistergli gloriosamente e attaccò anche la città dalmata di Curzola. Tentò di catturare il Duca Emanuele Filiberto di Savoia. Le sue corse sul mare avevano pertanto anche finalità politiche di ampio respiro. Si disse che egli avesse persino tentato, attraverso forti appoggi locali, di trasformare la Calabria in una regione musulmana a dominio turco, strappandola agli spagnoli. Divenne dapprima comandante della flotta di Alessandria, poi pascià d’Algeri, e infine bey (governatore) di Tripoli, divenne ammiraglio della flotta ottomana, combattè a Lepanto. In Italia, l’ex aspirante monaco fu chiamato “il rinnegato” o, popolarmente Uccialì, che deriva dal suo nome islamico.
Morì nel luglio del 1587 nel suo palazzo sulla collina di Top-Hana vicino Istanbul e lasciò ai suoi numerosi schiavi e servitori case e beni di proprietà, concentrati in un villaggio da lui fondato e chiamato “Nuova Calabria”. Secondo alcuni resoconti, in punto di morte sarebbe tornato alla fede cristiana, ma gli storici turchi negano con decisione questa eventualità, visto che già in vita gli erano stati offerti feudi e ricchezze in terre cristiane che egli aveva sempre rifiutato preferendo la libertà di costumi di cui godevano a quel tempo i cristiani convertiti all’Islam.
Altra leggenda che circola sul suo nome racconta di un viaggio clandestino sulla costa calabrese al solo scopo di riabbracciare la madre che, stando alle cronache coeve, lo avrebbe invece maledetto proprio per la sua abiura. Ricerche recenti, però, ascrivono questa leggenda alla propaganda spagnola ed ecclesiastica
LEGGI, CLICCANDO IL NOSTRO LINK INTERNO, QUI SOTTO LA STORIA DEL PITTORE-CORSARO FRANCESE, GARNERAY, I CUI QUADRI FURONO CITATI DA MELVILLE NEL MOBY DICK. QUI ANCHE LE IMMAGINE RARE DEI SUOI DIPINTI
http://www.stilearte.it/lavventurosa-vita-del-pittore-corsaro/
Uccialì, corsari e rinnegati: immagini del nostro mare flagellato dalle piraterie
Il Museo della Marineria di Cesenatico, dal 5 luglio al 7 settembre 2014, - 10-12, 17-23- ha allestito la mostra Corsari nel nostro mare, con immagini, carte nautiche, documenti. Una vicenda che ha condizionato la navigazione e le coste del mare nostrum tra XVI e XIX secolo, dando vita anche ad una intensa produzione di arte e folclore