Quanta gioiosa luce
nell’ultimo Di Prata
Quaresmini ha dedicato
al maestro un libro
e una mostra
che si occupano
della svolta stilistica
che caratterizza
le opere più recenti
didascale: Le opere più recenti di Oscar Di Prata, contrassegnate da una sintesi estrema e da una grande fiducia nella vita e nel cielo
“L’ultimo Di Prata, rarefatto, con pochi segni, con campiture dominate da ampie stesure di luce dolcemente diffusa, dischiudono un nuovo orizzonte, l’estremo per il pittore bresciano. – nha commentato il critico Maurizio Bernardelli Curuz – La produzione più recente, risulta contrassegnata da una riduzione del segno grafico a favore di un perdersi gioioso nella direzione del cielo. Un completamento del viaggio intellettuale di un artista che ha denunciato il cuore di tenebra del Novecento, che ha praticato una pittura contrassegnata dalla denuncia della violenza. Ma ecco che, nel percorso finale, tutto si distende di fronte all’eterno. Tutto diviene gioia. Fiori contro cieli ampi; silhouette graziose di persone che camminano su fondali rosa. E luce, tanta luce”.
La pubblicazione di Gianni Quaresmini “Oscar Di Prata: l’Addio”, che ha accompagnato l’omonima mostra, tenutasi a Trenzano nel maggio scorso, rivela al lettore il prezioso dialogo tra rappresentazione e interiorità, tra pittura e poesia che si fondono nella nobiltà creativa dell’artista e nel sentimento di amicizia con l’autore, che aleggia come delicata brezza in pagine di intensa suggestione.
In controluce, il segreto presagio del trapasso da cui emerge un misterioso fulgore di luce, dolcissima melodia d’avvolgente tepore tra cromie e versi.
Ogni dipinto viene impreziosito da una breve narrazione e da una lirica in tono di canto nell’essenzialità della profondità del sentire.
Nostalgia d’Oriente
“Da lontananze segrete, in quel giorno d’aprile, era emersa la soave nostalgia dell’India– scrive nell’introduzione il prof. Gianni Quaresmini.
E su un filo immaginario dell’esistenza, steso in una violetta notte d’oriente, aveva firmato al centro della tela una delle sue opere degli ultimi anni. “O. Di Prata”, era stato vergato nella leggera vampa vermiglia lassù, accanto ad una minuscola falce di luna, piccola gondola, dolce ferita sospesa in un cielo violetto, violetto come il paesaggio. Anche il suo animo sembrava essere sospeso lassù in un vuoto spaziale, denso di ricordi.
L’atmosfera respirata durante i suoi studi a Venezia era divenuta tutt’uno con il turbamento di un notturno vissuto durante la sua lunga prigionia in un campo di concentramento alle pendici dell’Himalaya durante il secondo conflitto mondiale. Laggiù veniva avvolto – come sempre più spesso accadeva nel suo studio mentre dipingeva – dal vuoto incommensurabile, colmo di mistero del deserto. Tra le dune, nell’oasi di Gialo, aveva combattuto mentre i tizzoni ardenti del tramonto accendevano l’orizzonte. E nella vastità sabbiosa, dopo un istante di buio fatto di sgomento, appariva uno stellato trepidante di stelle.
Se nel campo di concentramento avvertiva la lancinante nostalgia dei suoi cari e dell’amata Eros, negli ultimi anni della sua esistenza, dopo una vita di affetti e di fecondo percorso artistico, provava sempre di più la nostalgia di quelle lontananze palpitanti, che sommergevano il suo animo. Il dolore, si sa, scava ferite, ma alla lunga può generare anche i rimedi per lenirle.
Ed ecco il suo dipinto “Nostalgia d’oriente” con l’aerea firma del Maestro apposta in modo del tutto insolito, forse nel sommesso presagio dell’Addio.
Infatti, dall’opera emerge un’emozione che percorre latitudini monocromatiche, sostenute da un intenso violetto mentre delinea l’atmosfera di una radura che vibra in orizzonti smisurati.
Cielo e terra si fondono in un’evocazione che sembra dissolversi nell’evanescenza.
Un lieve dripping, che cala dall’alto, conferisce al dipinto elementi d’irrealtà accentuandone lo struggimento.
I diversi tempi cronologici, per l’artista, non sono più distinti, ma si fondono e si condensano, a sintesi di una vita, in un’unica emozione, un’emozione misteriosa, presentimento d’Addio”.
Un soave canto cromatico
“L’opera può essere considerata rappresentativa, ma ne esistono numerose altre, della pittura dell’ultimo periodo quando la potenza figurativa si trasmuta in dolcissimo canto cromatico nella nostalgia della nostalgia– prosegue Quaresmini.
Infatti, la forma si dissolve e sulla tela, nella soavità dell’evocazione, danzano i ricordi e i ricordi dei ricordi, vissuti e rivissuti, che si allontanano sempre più dalla concretezza e da una mera precisione descrittiva per assurgere ad un’astrazione di senso che tutto avvolge in arcana melodia.
Così un’astrazione ne invoca un’altra.
Di rimando in rimando, entrambe – sia quella della memoria del proprio vissuto, nell’essenzialità dei nuclei dei significati, che quella della rappresentazione pittorica attraverso le cromie – vibrano attraverso la malia di una narratività che si rinnova continuamente. I ricordi trasmutano in colori che si liquefanno in una luce che tutto domina. L’emozione trasmigra nel paesaggio interiore che diviene stato d’animo, presentimento.
Sono fremiti di commozione che scaturiscono dal ricordo del deserto e della violenza dell’uomo sull’uomo.
Così la pittura di Oscar Di Prata, anche nell’ultimo scorcio dell’attività creativa, conserva l’impeto gestuale che, esprimendosi in armonioso ritmo compositivo, svela il persistere di un ricchissimo mondo interiore che il Maestro esplorava senza sosta: con autenticità, con sincerità, senza remore.
Ed ecco l’attenuarsi o il perdersi della forma nella delicatezza di un segno cromatico che diviene tensione e palpito, mentre emerge un impulso emotivo toccante e capace di tutto avvolgere, perchè l’uomo vive avvolto nell’immenso”.
Giovanni Quaresmini, Oscar Di Prata: L’Addio, La Compagnia della Stampa, Roccafranca, aprile 2011.