"Fare le polveri" - nel senso domesticamente feriale di rimuoverle " - diventa, se esse sono unte e appiccicose, "compiere un restauro". Ci auguriamo che la via della semplificazione di questo assurdo Paese passi attraverso un colpo di spugna, figurato e sostanziale, al contempo. Ne sarebbe grato anche l'architetto-clochard
E’ un dovere civico contribuire a segnalare all’ente pubblico, impegnato nel complesso gioco dei piatti cinesi, piccoli segni simbolici di disinteresse e di abbandono. Non biasimiamo, qui, l’ottimo lavoro dei funzionari, alle prese con mille emergenze e, soprattutto, con normative bizantine. Ma facciamo autocritica. Se uno dei simboli della città si presenta come un nobile signore decaduto, significa che i nostri occhi sono lontano da lui, dimenticato, nonostante le eroiche, civiche imprese. Gli occhi di cento, di mille persone tengono puliti i monumenti. Ciò non capita all’architetto Rodolfo Vantini, maestro del neoclassicismo architettonico, convertitosi, negli ultimi anni di vita, al sentire celeste del neogotico. Quel Vantini che progettò, a Brescia, uno dei cimiteri più belli d’Italia, a ridosso dell’editto di Saint Cloud, che prescriveva una rivoluzione nelle sepolture, proiettate, per ragioni illuministicamente igieniche e policamente venate di giacobinismo, fuori dalle cinte urbane. L’Aldilà diveniva prosaicamente al di là. Vantini seppe contemperare questo allontanamento doloroso dei defunti, con sentimento e memoria, realizzando una parallela e magniloquente città dei morti, che teneva conto delle suggestioni foscoliane. Per quanto il laicismo dell’epoca riservasse al defunto un vuoto in cui leopardianamente “precipitando il tutto oblia”, restava la corrispondenza foscoliana d’amorosi sensi – ben interpretata da Vantini – e, soprattutto, rimanevano le “urne dei forti”, capaci di indicare, con le antiche imprese, un alto senso di morale civica ai discendenti. Ora il busto di Vantini – collocato nei pressi della sua tomba, al centro del Vantiniano, sotto la lanterna della luce imperitura – appare come un clochard, trasfigurato da una vita errabonda sotto i ponti.
Brescia è una città che non ama la memoria. E poichè non ama memoria e cultura – intesa come elaborazione di un linguaggio peculiare, che è appannaggio delle capitali – è destinata a restare un luogo marginale.
Conosciamo molto bene, poi, quali siano i vincoli che leggi assurde, concatenate, intrecciate,impongono, impedendo a tante donne e uomini di buona volontà di intervenire semplicemente, come un tempo, con spugna e acqua distillata. Ma in Italia è tutto molto più complicato. “Fare le polveri” – nel senso domesticamente feriale di rimuoverle ” – diventa, se esse sono unte e appiccicose, “compiere un restauro”. Ci auguriamo che la via della semplificazione di questo assurdo Paese passi attraverso un colpo di spugna, figurato e sostanziale, al contempo. Ne sarebbe grato anche l’architetto-clochard. (e. pon.)
Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa