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di Anna Maria Perini
[I]l santo scende al volo dal cielo per allontanare un molosso che s’avventa su un bambino. E, ancora, si precipita dal nimbo per fermare la caduta di un altro piccino, evitando che si schianti sul selciato.
Siamo a Siena, nel XIV secolo. La Repubblica protegge e incentiva il culto dei santi e garantisce, attraverso l’apporto delle forze sovrannaturali, la sicurezza dei cittadini. Anche di quelli più deboli ed esposti all’infortunio. Così, pure le pale d’altare divengono, in forma traslata, elementi di propaganda politica sulle certezze fornite dalla città ai propri abitanti.
Secondo lo storico americano William Bowsky, tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento in nessun luogo meglio che a Siena si poteva osservare con chiarezza il rapporto simbiotico fra cultura e governo, come emerge dalla nuova monografia di Pierluigi Leone de Castris dedicata a Simone Martini (Federico Motta editore, 383 pagine, 34 euro). Negli anni del regime popolare e guelfo dei cosiddetti “Nove governatori” (1287-1355), nella città toscana si avverte da un lato un interesse intenso da parte delle autorità ad accompagnare l’azione amministrativa con un vasto programma di promozione per immagini, e dall’altro un’assoluta centralità della committenza istituzionale all’interno del mercato artistico locale.
Gli incarichi prevedevano l’uso pressoché esclusivo d’un pittore, quasi che fosse stato eletto a rappresentare la civica necessità di produzione di immagini. Il primo artista a rivestire questo ruolo fu Duccio di Buoninsegna, seguito, a partire dal 1334 circa, dai fratelli Lorenzetti.
Intorno al 1312 entra in scena Simone Martini, autore della pala d’altare dedicata alla figura e al culto del beato Agostino Novello (Siena, Pinacoteca nazionale, in deposito dalla chiesa di Sant’Agostino), opera a cui ci riferivamo all’inizio e da cui trapela, al massimo grado, il concetto di “cristianità civica”. L’immagine religiosa e le finalità civili che si sovrappongono – come sottolinea De Castris – diventano una delle caratteristiche più significative della pittura di Martini e, più in generale, della produzione e della politica in ambito artistico della Siena del primo Trecento. Il Comune nel 1329 deliberava in tal senso: “Si crede e si spera fermamente che la venerazione dei santi, che in passato veniva fatta nella città dal detto Comune e dai suoi ufficiali, conferirà numerosi vantaggi, metterà fine a molti mali e pericoli e ne proteggerà la città”.
La pala di Martini – che ha l’evidenza di un manifesto devozionale-politico – riporta al centro la figura nera e colonnare di Agostino con un libro fra le mani e un angelo che gli parla all’orecchio; intorno ad essa, una serie significativa di miracoli post mortem, due alla destra e due alla sinistra del Beato.
Ma chi era quest’uomo dalle virtù eroiche? Un agostiniano che era morto in provincia di Siena, in odore di santità. Il suo corpo era tumulato in città, e ciò spiega – alla luce di quel culto delle reliquie e delle sepolture, che aveva la funzione politica ed economica di far convergere nello spazio urbano devozione e pellegrinaggi – l’intervento del Governo a favore della venerazione di cui era oggetto. La Repubblica promuoveva il proprio Beato e il Beato la ripagava proteggendo i cittadini. Ma ciò andava pubblicamente reso palese da una pittura-manifesto.
Ecco, allora, la scansione della pala, che era stata posta nei pressi della tomba di Agostino Novello. In alto, a sinistra, la prima tavola raffigura una strada della città (non viene qui ostentata l’architettura patrizia, frequente nelle opere di altri pittori del tempo), nella quale un bambino è azzannato e dilaniato al volto da un cane rabbioso. La scena è resa con un linguaggio realistico, fluidamente narrativo, altamente drammatico. La madre soccorre il piccolo; un’altra donna tenta di allontanare l’animale, minacciandolo con un bastone. Poco più in là, nella sequenza successiva, il lieto fine, dovuto alla presenza angelica e benedicente del santo. Come in un piccolo presepe, il bambino, vivace, prodigiosamente indenne, siede sulle ginocchia della madre velata e si aggrappa alle sue mani giunte, mentre la donna rivolge gli occhi al cielo in segno di ringraziamento.
Alla base della prima tavola, un secondo dipinto raffigura un altro fanciullo che precipita da un vecchio “solaio” e viene salvato, sia dalla caduta che dal rischio d’essere schiacciato da una trave, per l’intervento del Beato che, in volo, evita la disgrazia.
In alto a destra, una terza scena in cui un uomo, per intercessione di Agostino, sopravvive ad un rovinoso ruzzolone da cavallo. Poco sotto appare il quarto miracolo, che ha nuovamente come protagonista un bimbo: un piccolo in fasce, ninnato dalla balia, casca dalla culla; la madre disperata si rivolge orante al Beato, mentre la zia soccorre il nipote. La leggenda narra: “Cominciò a racconciare la testa del bambino, quasi fosse cera; e così racconciandola votò il bimbo al beato Agostino, che, se lo avesse liberato da quella sciagura, glielo avrebbe offerto sopra il suo altare, vestito come se fosse un frate”.
Nella scena posta sotto il luogo della disgrazia, un piccolo corteo di ringraziamento è aperto dalla mamma, che amorevolmente tiene in braccio il figlioletto; questi indossa abiti monastici e regge in mano una candela votiva. Il viso giocondo e paffuto, che contrasta con il nero abito da adulto, è rivolto verso la madre e le tre donne che lo seguono, in raccoglimento. Anche qui, la scena si svolge in una semplice casa, con una rappresentazione accurata e molto realistica.
Donne che si disperano per il pericolo di perdere la prole, bambini salvati e portati in trionfo, mostrano come il messaggio di queste immagini propagandi una sicurezza garantita alla città dalla virtuosa fusione delle azioni di buon governo con la protezione dei santi; ma la pala, al tempo stesso, è indice del mutamento della concezione che gli adulti hanno dell’infanzia.
Se fino al XIII secolo prevale uno scarso investimento sentimentale nei confronti dei piccoli, che va ricercato anche nel dramma della demografia medievale e in una famiglia anaffettiva in cui i rapporti interpersonali non sono di per sé fonte primaria di valori, dal Trecento in poi assistiamo invece al manifestarsi di una nuova considerazione dei bambini, grazie ad una rinascita economica e culturale, con un risveglio delle energie morali, intellettuali, religiose. L’attenzione di Simone Martini e del Governo senese ai piccoli miracolati dimostra, appunto, l’accesso ad una modalità tutta moderna di osservazione del mondo infantile
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