di Carla Costa
L’urbanistica delle grandi città ormai era diventata lo specchio dell’animo umano, in totale anarchia: ogni via era diventata per necessità estrema, spazio vitale per costruirvi abitazioni più o meno fatiscenti, da occuparsi con la forza. Restavano solo due vie principali utilizzate quasi esclusivamente come luogo per il mercato illegale di beni di prima necessità e piste di atterraggio per i “Corsair” a idrogeno. Seppur il nome di una delle due vie aveva mantenuto quello originario, l’altro ne era concettualmente in totale contrapposizione, in sintonia con il pessimismo/realismo del genere umano che vedeva il declino dietro l’angolo. (Tratto da “The beach at redpoint” di Charles Bruno).
Biografia scritta su uno spartito, a scandirne le fasi
PART 1: Sleeper in Metropolis
Nasce a Brescia il 18 giugno 1965
PART 2: Suburban war
Si diploma presso un istituto tecnico industriale statale, ma coltiva principalmente le sue passioni e interessi per la musica e la grafica, lontane da formule di fisica e calcoli matematici, frequentando club e eventi musicali.
PART 3: Tell me easter’s on Friday
Negli Anni Novanta lavora presso una casa discografica dove cura la Comunicazione su riviste specializzate (Billiboard, iD) e realizza la grafica delle copertine di CD e vinili.
PART 4: Fire ant
Nel 2004 ritrova vecchi biglietti e flyers di club londinesi, newyorkesi e parigini, degli Anni ’80 e ’90 che diventano fonte di ispirazione per realizzare il progetto “Articket”: farli rivivere. Ne mantiene il testo originale e la grafica essenziale e li riproduce fino ad immortalarli formato 70 X 100 cm circa su cartoncino, o stoffa intervenendo con tecniche miste quali ad esempio cuciture in filo, inserti in stoffa e pizzo, inserti con immagini lenticolari, applicazione di cerniere, glitter, nastro adesivo catarifrangente, vernice fosforescente, candeggina.
PART 5: Wipe off my sweat (Bonus track)
Nel 2012 “Articket” ottiene un riscontro positive nell’esposizione allestita presso l’Enogalleria di Brescia “Galleria dell’Ombra” sita in via Nino Bixio 14/A (vendita totale delle 30 opere esposte e varie richieste di opere su commissione) dove dal 2013 vi lavora come barista e coadiuva i titolari nella cura degli allestimenti delle mostre. Attualmente, nello stesso luogo, è in corso la sua nuova mostra “Wrost case scenario”.
Strappi, lacci, specchi grattati e rianimati. È fatta anche di questo la ricetta di Charles Bruno/Ferdinando Bardamu. Nome doppio, come appunto ci si duplica quando si è davanti ad uno specchio. L’arte che si specchia, che fa specchiare, che riflette e fa riflettere.
Lui? Il demiurgo, il deus ex machina di queste opere proprio non vuole sentir parlare di voli pindarici di parole. “Mostro arte”, così sintetizza e zittisce, con queste due parole scritte come spiegazione della sua ultima mostra.
Come ti sei avvicinato all’arte. “In bicicletta” – risponde sprezzante. Poi recupera e, come se scendesse per davvero da questa bicicletta immaginaria, mentre dà qualche pennellata di rosso al braccio di una figura che sta disegnando su tela, racconta: “Da piccolo vedevo mia madre dipingere in casa, dipingeva spesso autoritratti. La ricordo bene mentre si faceva un autoritratto, uno dei suoi quadri preferiti se lo tiene sul caminetto ancora oggi e se lo guarda”. E cosa pensavi mentre la vedevi dipingere? Mi piaceva vederla disegnare perché mentre lo faceva riusciva anche a parlarmi, a badare a me e mentre dipingeva ricordo che era rilassata e mi chiedevo come riuscisse a dipingere così bene senza sforzarsi, e con un sorriso accennato, leggera e in pace”.
Quindi l’arte l’hai incontrata così, come un momento materno, caldo, avvolgente, di rifugio quasi. Poi a cosa di sei ispirato, quali sono i generi e i modi espressivi che preferisci? In realtà i generi mi piacciono tutti, dagli impressionisti ai futuristi, a Caravaggio. Mi piace molto Francis Bacon, mi affascina come riesca ad usare tecniche pittoriche tradizionali in modo così moderno, era un pazzo visionario.
C’è un leit motive un file rouge nelle tue opere? Sì la musica legata alle grafiche he la rappresentano, il fenomeno del periodo punk. Anche adesso a livello grafico riescono ad essere molto liberi, mentre negli Anni Sessanta settanta erano i produttori a dettare la grafica dei dischi, oggi non è cosi.
Che tecnica usi? Utilizzo varie tecniche dal collage, uso dei materiali che incollo, ready made, olio su tela, acrilico.
E gli specchi? Li lavoro a mano, li lavoro sul retro grattando la pellicola d’argento e così li rendo trasparenti. Poi o dipingo o faccio un collage sul retro, o inserisco un’immagine. L’idea mi è venuta quando ho scoperto che bastava digitare nome e cognome dei Beatles e il primo selfie che ho visto era quello di Paul McCartney che si fotografava allo specchio, così ho pensato agli specchi.
Nelle tue opere il sacro e il profano si incrociano spesso, fino a raggiungere una pungente ironia. Mi piace l’iconografia sacra, i santini colpiscono, sono fatti bene. E così ecco che la testa di Marc Almond compare al posto di quella di Gesù, le vetrate gotiche colorate medievali riproposte in una vetrinetta che va a comporre il viso di David Bowie. E ancora, il viso del Sacro Cuore spinato che si alterna a quello di Maria Vergine, a fare da testa su un busto femminile con un insetto cicada killer tatuato sullo sterno.
Incuriositi? Provate a specchiarvi e a sdoppiarvi davanti alle sue opere.
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Nel mondo doppio di Charles Bruno/ Ferdinando Bardamu: la realtà binaria del mito e degli specchi
“Da piccolo vedevo mia madre dipingere in casa, dipingeva spesso autoritratti. La ricordo bene mentre si faceva un autoritratto, uno dei suoi quadri preferiti se lo tiene sul caminetto ancora oggi e se lo guarda”. E cosa pensavi mentre la vedevi dipingere? Mi piaceva vederla disegnare perché mentre lo faceva riusciva anche a parlarmi, a badare a me e mentre dipingeva ricordo che era rilassata e mi chiedevo come riuscisse a dipingere così bene senza sforzarsi, e con un sorriso accennato, leggera e in pace"