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Afro – La sintesi novecentesca. Biografia, stile e quotazioni.L’andamento del mercato sui “titoli” di Afro. Gli investimenti, l’analisi culturale
di Stefania Mattioli
La pittura di Afro non è, in assoluto né astratta né figurativa. Sebbene egli si sia esplicitamente ispirato al cubismo (in particolare a Braque), al surrealismo, all’espressionismo, alla metafisica, alle avanguardie americane, di tutto ciò nelle sue opere non rimangono che echi lontani, tracce indistinte. Il percorso artistico di Afro è connotato da un’incessante ricerca, da un agire meticoloso, sapiente, che lo portano a lavorare ad una tela per mesi, talvolta per anni. Senza fretta alcuna, il Nostro adotta un metodo rigoroso, coscienzioso; annota le proprie idee in decine e decine di disegni preparatori. Per lui la pittura è ragione di vita. “è l’incontro con la realtà della vita”: attraverso la meditazione e l’intensità emotiva della memoria egli crea un nuovo modo di vedere, sensibile, e lo traspone sulla tela offrendo allo spettatore la possibilità di leggere la verità delle cose senza ricorrere per forza ad interpretazioni razionali.
Terzogenito dei Basaldella, Afro Libico nasce nel 1912, a Udine, da una famiglia di decoratori (i fratelli Mirko e Dino si dedicheranno alla scultura). Grazie ad una borsa di studio intraprende sin dal 1928 gli studi d’arte a Roma dove entra in contatto con i protagonisti della “Scuola Romana” quali Scipione, Mafai, Cagli, Birolli e Morlotti. Sono gli anni di una pittura retorica stereotipata, incoraggiata dal fascismo. Successivamente – tra il ’36 e il ’40 – egli guarda a Morandi; si dedica allo studio della forma, si abitua a prendere l’immagine, estraniarla dal contesto e immergerla nella luce; una luce che via via lo porta alla rarefazione, alla creazione di lunghi silenzi estetici, di atmosfere sospese che gli consentono di acquisire un proprio stile, individuale e difficilmente classificabile. Con lo scoppio della guerra Afro si trasferisce a Venezia. Insegna all’Accademia di Belle Arti. La svolta cruciale arriva però negli anni ’50: l’incontro con la cultura americana, la prima esposizione al MoMa e l’ingresso nella “scuderia” della gallerista newyorchese Catherine Viviano segnano indelebilmente il suo modo di essere. I mesi trascorsi in America hanno una funzione catalizzatrice: è Afro stesso a raccontare che in quel periodo di tempo non produsse “ né una pittura né un abbozzo”. Si limitò ad osservare e assimilare criticamente tutto ciò che gli stava intorno convinto che l’autenticità di un’immagine dipinta è insita nella corrispondenza tra le impressioni ricevute e la loro rielaborazione mnemonica. Non a caso la sua opera è dichiaratamente autobiografica: “Tutte le mie immagini – afferma potrebbero risalire all’origine della mia vita”. Negli USA rimane folgorato dalle opere di Gorky, l’artista gli permette di “scoprire un mondo di immagini inedito (…). Una fantasia, un colore, un sogno febbrile (…)”. E’ l’esperienza più importante del suo primo viaggio, quella che gli ha insegnato a inseguire la sua verità senza falsi pudori, una verità che dice “posso cercare solo dentro di me, dove le immagini sono ancora radicate alle loro origini oscure, alla loro sincerità inconsapevole”. Senza ripudiare le proprie radici profondamente legate alla cultura classica e a quel “colorismo veneto” che lo accompagnerà durante il corso di tutta la sua vita, egli si discosta dai parametri della pittura tradizionale ma non dalla tradizione; una tradizione che si manifesta nelle idee e non attraverso un’iconografia riconoscibile perché riconosciuta.
Per lui un quadro non è dunque “un oggetto estetico concluso” bensì un frammento spazialmente rappresentato di un processo psicologico complesso. Seguendo tale concezione mette in atto un meccanismo di astrazione fondato prima sull’acquisizione del dato, poi sulla sua elaborazione intellettuale ed emotiva. Il risultato finale è la rappresentazione di un elemento del tutto autonomo che elude così ogni rapporto referenziale con l’esperienza sensibile. Il procedimento di astrazione in questo caso va inteso quale necessità intellettuale: è la risposta ad un bisogno di una società che svaluta la forma come elemento significante. Ma attenzione, ciò non vuol dire che il procedimento di astrazione sia in sé garante di valore.
Tali disquisizioni puramente teoriche sfociano nella costituzione del “Gruppo degli otto” di cui, oltre ad Afro, fanno parte Birolli, Corpora, Morlotti, Moreni, Santomaso, Turcato, Vedova. Siamo nel 1952 e il linguaggio adottato da questi artisti viene per convenzione definito “Informale”; in Italia, per alcuni, più che una vera e propria corrente una sorte di crisi dell’arte. Certo è che Afro e gli altri scelgono di aprirsi ai cambiamenti culturali in atto anche al di là dei confini europei, come fossero in preda all’urgenza di uscire da problematiche troppo italiane. Se è vero che la consuetudine pone un confine netto tra i due modelli rappresentativi astratto e figurativo, non è detto che sia sempre corretto applicarlo all’arte quale rigido parametro di valutazione. Ossia, la pittura astratta può essere permeata di realismo e, viceversa, quella figurativa può contenere al suo interno più livelli di astrazione. Lionello Venturi, teorico de “Gruppo”, ce ne dà conferma: “Essi non sono e non vogliono essere degli astrattisti, essi non sono e non vogliono essere dei realisti”. Questa è la sintesi dell’opera di Afro, tutta incentrata sul labile equilibrio tra reale e astratto, tra nonsenso e significante, tra conscio e inconscio, tra forma, colore, luce. D’altro canto, per definizione “l’astrattismo di Afro è il più concreto che ci sia”. Egli, infatti, oltre a non abbandonare il dato naturalistico, è sempre attento alla ricerca cromatica, tonale.
E’ Testori stesso, riferendosi a lui, a parlare di “rivivescenza della poetica naturalista”; nel senso di una pittura fatta di osservazione e partecipazione. L’artista si identifica a tal punto con la natura che, trascendendo gli aspetti meramente formali, la rappresenta nei suoi stessi processi di generazione e morte. Ne coglie la sua complessità essenziale, la sua ampiezza. In questo Afro è senz’altro un artista del proprio tempo, a prescindere dalla sua adesione a modelli estetici piuttosto che ad altri. Partendo da opere quali “Occhio di vetro”, “Il pianeta della fortuna” (1948) di matrice cubista; passando da “Ricordo d’infanzia”, “Ragazzo con tacchino” (1953-54), dove la figura è ancora riconoscibile, si arriva negli anni ’60 a “Bianco e nero”, “Collegio romano”, “Silver dollar club”: qui sono solo i titoli a mantenere vivo il legame con il mondo delle figure. Nel 1970 paradossalmente, Afro riconduce le sue pennellate sciolte all’interno delle forme geometriche chiuse, delineate da campiture che si fanno via via sempre più nette, come in “Quelli della misericordia”. E’ il segno tangibile che nel suo percorso egli è rimasto fedele a se stesso, alle sue convinzioni tanto che la sua pittura – come scrive Cesare Brandi – “nell’insieme non assomiglia a nessuno”. Afro muore a Zurigo nel 1976. Schivo e riservato è stato, in silenzio, uno dei protagonisti della scena artistica internazionale del Novecento.
NEL VIDEO UN VIAGGIO TRA LE OPERE DI AFRO, DAGLI ESORDI ALLA SVOLTA FINO ALL’ULTIMO PERIODO
I RISULTATI D’ASTA, LE QUOTAZIONI, IL VALORE DI MERCATO, LE STIME DI BASE, I RECORD DELLE OPERE SEMPRE AGGIORNATI DI Afro, CON FOTOGRAFIE E SCHEDE.
primo rilevamento www.sothebys.com/it/search-results.html?keyword=mirko+basaldella
secondo rilevamento http://www.christies.com/LotFinder/searchresults.aspx?action=search&searchtype=p&searchFrom=auctionresults&entry=afro