E’ riassunto in un ritratto inedito il lungo rapporto con il maestro Carlo Banali (1859-1944), dal quale Angelo Landi trasse non solo i primi rudimenti di quella pittura che poi divulgò oltre il territorio bresciano. La rispettosa amicizia è testimoniata da una scritta di dedica dai toni più che reverenti, nel momento drammatico in cui Banali perse tragicamente il terzo dei suoi figli. E lungo la via della reciproca simpatia si svilupparono un’intensa familiarità ed un legame emotivo che perdurarono sino alla morte dei due artisti, dalla quale furono colti, per gioco del destino, nello stesso anno, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro.
Landi era stato caporale, chiamato alle armi come addetto stampa per il Comando Supremo Militare. Un periodo nel quale eserciterà la sua forte propensione ad una pittura di estremo realismo. Il realismo “landiano” è vivo e ben consolidato in alcune centinaia di opere, disegni, carboncini, olii, pastelli, che dipinse in quel lungo periodo passato al fronte, tra le trincee del Carso, del Cadore e del Brenta, fino a Caporetto. E’ in questa atmosfera, anche drammatica, che nascono due tavole che Angelo Landi eseguì dopo il suo ritorno dal fronte (1918) e che dedicò, a memento (in seguito alla scomparsa del figlio del suo maestro), a Carlo Banali. Un bozzetto, il primo, in cui si evince, dal colore, la divisa verde del soldato. Più intenso e sentito il secondo, che oggi, grazie al laboratorio dell’Osservatorio d’Opera di Brescia, vive di nuova luce, e che può essere collocato tra gli esempi più avanzati della produzione ritrattistica del pittore. Qui non c’è interferenza di alcun committente, nessuna sovrapposizione o disturbo nel delineare, a memoria, i tratti fisionomici di Dario Banali, amico di Landi, che nel dipinto risorge attraverso la fluidità di un colore i cui i toni diventano materia preponderante della forma. Poi la sua dedica, testimonianza di un rapporto emotivamente e moralmente alto: “al mio vecchio maestro Carlo Banali, con amore (cuore), il ricordo del suo ometto più forte”. L’ometto era il compianto, giovane Dario. La scritta è stata resa leggibile dal lavoro di restauro, dall’uso dell’infrarosso, e di alcuni ingrandimenti fotografici che hanno consentito di comprenderne appieno il significato. Il quadro catapulta l’effigiato in primo piano a fronte di un cielo ad unica macchia blu tagliato, a linee futuristiche, sia da una screziatura di nuvola bianca che dalla struttura, abbozzata, dell’aereo sul quale volava (dannunzianamente) il militare, in una postura che, se la scritta non fosse così evidente ed esplicita, rinvierebbe alla figura del Vate.
Rispetto ai consueti ritratti, sicuramente tardo-ottocenteschi e avvicinabili al romanticismo di Tranquillo Cremona piuttosto che del Carcano, l’artista giunge qui a rifiutare ogni tradizione pittorica in nome di un’espressione rivoluzionaria. Interessante sarebbe porre l’attenzione su una parte della vita e dell’attività di Angelo Landi ancora inedita. Si tratta dei rapporti epistolari, intensi, che ebbe sia con i suoi conterranei ed i colleghi pittori, che con la gente dei luoghi in cui soggiornò. Fanno pensare le numerose lettere che da Roma egli spediva sulle sponde del lago per tener vivi i contatti con una terra che mai abbandonò; fa ancor più pensare la fitta corrispondenza che da Pompei, dove decorò la cupola del Santuario, l’artista spediva per fare il punto della situazione rispetto ai lavori intrapresi. Ancora molto da scoprire e da aggiungere, insomma. E il Landi più noto andrebbe confrontato con certi passaggi di alta modernità (come nel caso del dipinto qui presentato), i quali dovrebbero essere correttamente evidenziati per una valutazione globale del suo percorso.