di Jacqueline Ceresoli
“Stile” ripercorre i movimenti d’avanguardia del Novecento, cercando i “padri” degli artisti contemporanei. Il viaggio nel presente con lo sguardo a ritroso nel secolo scorso prosegue con il Neo-costruttivismo.
Tra il 1910 e il 1920, con Parigi, la Russia è un centro di fermenti artistici e culturali che sfoceranno in tre movimenti d’avanguardia: Raggismo, Suprematismo e Costruttivismo, espressioni razionaliste che anticipano gli sviluppi formali dei minimalisti americani degli anni Sessanta-Settanta. I protagonisti del Raggismo sono Mikhail Larionov e Natalja Goncarova, artisti influenzati dal Futurismo, dal Cubismo e dall’Orfismo che indagano il movimento attraverso luce e colore. Il Suprematismo di Malevich esordisce con l’opera “Quadrato nero su fondo bianco” (1913), considerato il manifesto poetico di supremazia del colore puro e della semplice forma colorata, d’ispirazione astrattista, in quanto annulla la rappresentazione in favore della emozionalità pittorica. Nel 1913 Malevich redige un Manifesto teorico con Majakovskij, in cui si mette in evidenza la necessità di trovare una corrispondenza tra idea e percezione, partendo dallo spazio pittorico inteso come simbolo geometrico e astrazione assoluta. Scrive Malevich nel Manifesto: “Per Suprematismo intendo la supremazia della sensibilità pura nelle arti figurative”, rivendicando l’assoluta autonomia spirituale dell’arte nei confronti della realtà. Per l’artista di Kiev, la pittura è pura sensibilità: un fatto estetico autonomo e svincolato dalla rappresentazione figurativa tradizionale.
Infatti, il suo “Quadrato nero su fondo bianco” indica che l’arte non ha bisogno della realtà esterna per esistere, poiché colore e forma diventano una realtà autoreferenziale, che oggettivizza spazi pittorici svincolati da necessità concrete. Protagonisti del Costruttivismo sono Tatlin, El Lissitskij e Rodcenko, e sono tutti per una strutturazione dell’opera che diviene “bella” se perfettamente integrata con il Partito e la società. Nel 1922 Aleksej Gan pubblica il saggio dal titolo “Costruttivismo”, raccogliendo sotto questo nome tutti gli artisti che in generale non condividevano le linee teoriche del Suprematismo di Malevich, che si distingue dai costruttivisti per la difesa dell’autonomia del processo creativo da ogni implicazione pratica o funzionale. I costruttivisti russi si sono caratterizzati per lo sviluppo della pratica artistica nel processo di costruzione ed evoluzione sociale, interrogandosi sul ruolo dell’arte nell’ambito della Rivoluzione d’Ottobre. Essi hanno tentato di integrare le esperienze visive e progettuali con le direttive del Partito: per loro l’opera d’arte non si limita ad essere un’espressione soggettiva, ma deve essere utile alla società ed inserirsi armonicamente in una struttura d’insieme, contribuendo a “costruire” una società giusta in relazione al progetto rivoluzionario. Il “Monumento alla III Internazionale” (1919) di Tatlin, progetto mai realizzato, costituito da una enorme spirale inclinata e asimmetrica in metallo contenente ambienti di cristallo per accogliere le riunioni del Soviet supremo, è stato pensato per trasmettere le informazioni del Partito verso l’esterno.
Nel 1915 nascono i “Controrilievi” sospesi liberamente nello spazio, assolutamente iconoclasti e privi di implicazioni pittoriche. Questi lavori sono i primi esperimenti di volumi astratti, che evidenziano una visione materiale dell’opera come fondamentale principio artistico. Per i costruttivisti, la forma prende corpo nella materia e si realizza nella collettività. Lo stesso principio di arte utile alla società vale per le opere di Rodcenko e di El Lissitskij, soprattutto nella sua opera-manifesto “Insinua nei bianchi il cuore rosso” (1919-20); è una struttura astratta e geometrica, dallo sfondo bianco che evidenzia forme nere e rosse: un dichiarato simbolo della rivoluzione russa. Per i costruttivisti, scrive Ivan Kljun , ex-allievo di Malevich “le forme rigide e immobili del suprematismo non hanno nulla a che vedere con l’arte nuova, ma ricordano semplicemente la maschera, lo sguardo fisso di un cadavere”. Dunque per i costruttivisti l’arte nuova non soltanto valorizza la materia come base di costruzione della forma, ma è soprattutto utile e fruibile dalla collettività. E, in quest’ottica, le decorazioni dei caffè e dei teatri diventano luoghi di un’esperienza estetica totalizzante, condivisa anche dagli allievi e maestri del Bauhaus. La denominazione di “opera costruttivista”, elaborata per la prima volta per definire i lavori degli artisti di Obmoch, si caratterizza per strutture e rilievi, oggetti, forme, volumi in cui la materia assume valori estetici autoreferenziali. L’ideologia costruttivista, teorizzata dal critico Boris Arvatov (1896-1946), rifiuta le forme d’arte non direttamente connesse alla produzione. Anche il Bauhaus, aperto a Weimar nel 1919 da Walter Gropius, condivide alcune istanze architettoniche del costruttivismo e, in particolare, si pone l’obiettivo di superare la divisione tra arte e tecnica, tra le arti applicate e le “belle arti”, aprendo la strada al design ed alla produzione industriale. Nel presente le istanze costruttiviste di relazione tra oggetto, volume, struttura e materia, come fatto estetizzante trovano molti estimatori nell’Art-architecture, che si realizza con istallazioni ambientali specifiche, considerando i materiali come volumi autorappresentativi. Pubblichiamo in queste pagine alcune opere neo-costruttiviste, scevre da implicazioni politiche e sociali, raccogliendo creazioni di Georges Rousse, Paolo Conti, Fausta Squatriti. Concludiamo il percorso con il giovane Gianfederico Bellini, che fotografa le architetture, rappresentandole come forme pure che strutturano gli spazi in linea con costruzioni volumetriche indagate nel laboratorio di fotografia del Bauhaus.