Un uomo, dieci donne. Questo il rapporto assolutamente squilibrato è emerso da una necropoli neolitica del Vecchio Continente. Nostre cugine certo, queste spagnole, se non nostre antenate, considerata la mobilità dell’epoca e il numero limitato di abitanti. E ciò che stupisce è il fatto che lo squilibrio assoluto – prima due donne ogni uomo, poi molto di più, fino quasi alla scomparsa del genere maschile – si mantenne per circa 1500 anni. Quindi non si può ritenere che tutti gli uomini fossero morti lontano, in battaglia. Ciò varrebbe per un numero limitato di anni, non per un periodo lunghissimo. Il mistero è notevole.
Un recente studio condotto da un team multidisciplinare dell’Università di Granada ha portato alla luce un affascinante e inaspettato ritrovamento nella necropoli megalitica di Panoría, situata a Darro, Granada. Questa scoperta sta suscitando grande interesse tra gli archeologi e antropologi, poiché ha evidenziato la presenza di un numero significativamente maggiore di donne rispetto agli uomini sepolti.
Lo studio, guidato dal gruppo di ricerca GEA, sta rivoluzionando le nostre conoscenze sulle società megalitiche della Penisola Iberica e ha aperto nuovi interrogativi sul ruolo delle donne in queste comunità preistoriche. Sarà vero ciò che si diceva, in passato, sulla forte connotazione matriarcale delle società nel Neolitico? Del resto una linea sotterranea di forte potere femminile ha sempre attraversato le organizzazioni familiari e sociali. Ma il potere – evidente o sommerso che sia – è un conto; un altro conto è la prevalenza numerica schiacciante delle donne.
La necròpolis di Panoría: un sito unico
Panoría, situata nell’estremità orientale della Sierra Harana, è uno dei siti archeologici più importanti della regione. Questa necropoli ha rivelato oltre 55.000 resti ossei umani, rappresentando una risorsa eccezionale per comprendere le pratiche funerarie e le strutture sociali di queste antiche comunità. Gli studi preliminari hanno permesso di datare i resti a un periodo compreso tra i 5.600 e i 4.100 anni fa, suggerendo che il sito è stato utilizzato per circa 1.500 anni.
Un sorprendente squilibrio demografico
Ciò che ha sorpreso maggiormente i ricercatori è stato il marcato squilibrio nella distribuzione di genere: nelle sepolture esaminate, sono state trovate il doppio delle donne rispetto agli uomini. Nella popolazione giovanile, questa disparità è ancora più accentuata, con una proporzione di dieci donne per ogni uomo. Un tale squilibrio non è comune nelle popolazioni umane, dove normalmente il rapporto tra i sessi è quasi equilibrato.
In condizioni normali, questa distribuzione si mantiene vicina all’1:1. Tuttavia, l’analisi di Panoría suggerisce che il fenomeno non è stato accidentale o temporaneo, ma piuttosto una pratica sostenuta per oltre un millennio. Ciò ha portato gli studiosi a ipotizzare che le donne occupassero un ruolo centrale in questa comunità, un’ipotesi che apre nuovi scenari sulle dinamiche sociali e di genere in queste antiche civiltà.
Una società matrilineare?
Una delle spiegazioni avanzate è che Panoría fosse una società centrata sulle donne, con un sistema di discendenza matrilineare, in cui il lignaggio e lo status sociale venivano trasmessi attraverso la linea materna. Questa struttura avrebbe conferito alle donne un ruolo preminente nella vita sociale e rituale, e ciò spiegherebbe la loro sovra-rappresentazione nelle sepolture.
La possibilità che i giovani uomini abbiano lasciato la comunità per unirsi a gruppi esterni, in un processo noto come esogamia maschile, potrebbe ulteriormente giustificare la scarsa presenza di uomini nella necropoli. Questi elementi portano a ripensare il concetto tradizionale di organizzazione sociale nelle società megalitiche, suggerendo che la centralità femminile potrebbe essere stata molto più diffusa di quanto si pensasse.
Il ruolo delle tecnologie avanzate nello studio
Una delle chiavi di questa scoperta è stata l’applicazione di tecnologie all’avanguardia nell’analisi dei resti ossei. I ricercatori hanno utilizzato tecniche di analisi del DNA antico (aDNA) e proteomica, che hanno permesso di determinare con precisione il sesso degli individui sepolti, utilizzando anche la proteina amelogenina presente nello smalto dentale. Questi approcci innovativi hanno reso possibile ottenere un profilo demografico dettagliato e accurato, fornendo una base solida per le interpretazioni sociali e culturali.
Un nuovo capitolo negli studi di genere
La scoperta della “città delle donne” a Panoría rappresenta un passo avanti nella comprensione delle dinamiche di genere nelle società preistoriche. Questo studio ci invita a ripensare le nostre concezioni sulle società megalitiche e sul ruolo delle donne in esse. L’idea di una struttura sociale matrilineare e la preponderanza femminile nelle pratiche funerarie suggeriscono che queste comunità abbiano attribuito alle donne un’importanza simbolica e rituale unica.
Gli archeologi coinvolti in questo progetto sottolineano che si tratta di una scoperta che potrebbe avere implicazioni profonde per lo studio delle società antiche non solo nella Penisola Iberica, ma anche in altre aree dell’Europa e del Mediterraneo. L’approfondimento delle relazioni sociali e dei ruoli di genere attraverso l’analisi di dati archeologici permette di aprire nuove prospettive su come queste comunità gestissero il potere, la famiglia e la ritualità.
La città delle donne: realtà e mito
La “città delle donne” è uno dei concetti più affascinanti e complessi nella storia culturale e sociale. Nella tradizione letteraria e storica, l’idea di una città governata e abitata esclusivamente da donne è stata utilizzata come metafora di potere, autonomia e resistenza contro l’egemonia patriarcale. Dalle radici mitologiche fino alle declinazioni contemporanee, la città delle donne è un simbolo che attraversa secoli e culture, e che oggi continua a stimolare riflessioni profonde.
Un’utopia femminile o un sogno oppressivo?
Uno degli interrogativi principali riguarda la natura ambigua di queste città utopiche. Nelle narrazioni medievali e rinascimentali, come in quelle della scrittrice francese Christine de Pizan ne “La città delle dame” (1405), la città delle donne appare come un luogo utopico, un rifugio sicuro dove le donne possono sfuggire alla dominazione maschile. Questo spazio immaginario non è solo un riflesso di una visione ideale di comunità, ma anche una forma di resistenza intellettuale all’oppressione di genere, un modo per rivendicare l’intelligenza, la virtù e l’autonomia femminile.
Tuttavia queste città non sono sempre state viste in modo positivo. In alcune tradizioni, la città delle donne è stata ritratta come un incubo distopico, una società chiusa e autoritaria, il cui ordine è minacciato dall’assenza degli uomini e dalla mancanza di legami tradizionali. La dicotomia tra utopia e distopia sottolinea l’ambivalenza con cui il concetto è stato interpretato nei secoli, riflettendo le ansie e i desideri che la società ha proiettato sul ruolo delle donne.
La città delle donne nel contesto storico
L’idea della città delle donne ha radici antiche, rintracciabili nei miti greci, dove comunità esclusivamente femminili come le Amazzoni rappresentano una sfida diretta al patriarcato. Queste leggende, tramandate nei secoli, sono state interpretate in maniera differente a seconda delle epoche. Durante il Medioevo, l’idea della città delle donne si è spesso fusa con quella della clausura monastica femminile, dove conventi e abbazie rappresentavano spazi di autonomia spirituale e, in alcuni casi, anche intellettuale.
Con la nascita delle città-stato europee e la progressiva espansione dell’urbanizzazione, il concetto di una città gestita da donne ha assunto nuove sfumature. Nel Rinascimento, le rappresentazioni letterarie di tali città si sono fatte sempre più simboliche, fungendo da mezzo per commentare le condizioni politiche e sociali delle donne in quel contesto. Le opere rinascimentali, spesso scritte da uomini, riflettevano sia la fascinazione che il timore per il potere femminile in un mondo in cui la politica era saldamente nelle mani degli uomini.
Simbolismo e politica: dalla letteratura al femminismo moderno
Il concetto della città delle donne è stato ripreso dai movimenti femministi del XX secolo come metafora per l’emancipazione e l’autonomia femminile. Le città delle donne diventano simboli di potere collettivo, spazi immaginati dove le donne possono sfuggire alle strutture oppressive della società patriarcale e costruire una nuova visione di convivenza e solidarietà.
Come potrebbe essere il potere se fosse esclusivamente donna? Nel film “La città delle donne” (1980), Federico Fellini, pur offrendo una rappresentazione distorta e grottesca del mondo femminile, ha stimolato un acceso dibattito sulle dinamiche di genere. Il cinema, la letteratura e le arti visive hanno continuamente ridefinito e reinterpretato questa idea, rendendola un punto di riferimento per la riflessione sulle identità di genere.
Fonte: Marta, DZ.B., Gonzalo, A.J., Margarita, S.R. et al. Female sex bias in Iberian megalithic societies through bioarchaeology, aDNA and proteomics. Sci Rep 14, 21818 (2024). doi.org/10.1038/s41598-024-72148-x