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Il cappello nella vita, nell'arte e nel cinema. Potere, seduzione, contestazione e bellezza. Il video



La caduta in disuso del copricapo – salvo rare eccezioni e in momenti particolari –  è collegato alla prevalenza del pensiero democratico occidentale che si basa su altri indicatori dello status, evitando il cappello che, in passato, tendeva ad indicare le caste. Era assai difficile passare dal cappello di paglia contadino alla tuba; dalla cuffia borghese o proletaria ai cappelli a larghe tese, decorati e trasformati in nature morte, dell’alta borghesia e della nobiltà. Ila fine del cappello è conseguenza dell’evoluzione del pensiero della moda, dopo il 1968.
Il copricapo, nella storia, tese a dimensioni ipertrofiche accrescendo l’altezza e le dimensioni collegandosi alla scala sociale. Restava la necessità di evitare insolazioni e di ripararsi dal caldo, ma al, contempo, esso diveniva un segnale di immediata riconoscibilità sociale. Nel Novecento assunse funzioni sempre più espressive, finalizzate ad identificare, oltre alla classe di provenienza, la personalità di chi lo portava.  In questo splendido filmato troveremo l’evoluzione e le compresenze di varietà tipologiche nei film del Novecento. Dal cappello dei cowboy a quelli delle soubrette, da quelli francesi d’inizio Novecento alle bombette dell’età del jazz. Cappelli sognanti – come quello semplice, con margherite di Mary Poppins -, cappelli che uccidono – come in 007- che seducono, che adombrano, che colpiscono, che nascondono, che esaltano. A livello del volto, il cappello femminile a larghe tese dell’Ottocento aveva una funzione di notevole interesse poichè, abbassando l’intensità della luce, consentiva al volto e agli occhi delle donne ad emergere, in bellezza, senza che il sole deformasse, con ombre acute, la fisionomia e consentendo agli occhi di dardeggiare, come gioielli, nell’ombra.