Dove si trova il Borgo dei misteri? Un crocifisso in pelle umana, 17 monache di 400 anni fa mummificate. Tutti i segreti occulti di Fara in Sabina

L’Italia, terra ricca di storia e cultura, custodisce gelosamente tesori nascosti che ci trasportano in epoche lontane. Tra questi, i borghi medievali emergono come autentiche perle, incastonate tra paesaggi mozzafiato e si fanno custodi di un fascino senza tempo. Il borgo medievale di Fara in Sabina, situato tra i Monti Sabini e la Valle del Tevere, ne è un esempio: varcare le sue porte è come attraversare un portale verso il passato. Stradine lastricate, archi in pietra, case che sembrano sfidare i secoli e piazzette animate da caratteristici edifici che ci accolgono in un’atmosfera magica. Ogni angolo racconta una storia, ogni pietra sussurra leggende antiche.

Fara in Sabina, luogo di mistero e devozione

Ma Fara in Sabina non è solo un gioiello architettonico, è anche un luogo avvolto nel mistero. La sua area risultava abitata già in epoca preistorica, come testimoniano alcuni reperti archeologici ritrovati in zona: tra le sale del quattrocentesco Palazzo Brancaleoni, sito nella piazza del Duomo del borgo della città e sede attuale del Museo Civico Archeologico, sono ad esempio racchiusi reperti e testimonianze degli insediamenti sabini dalla preistoria all’epoca romana.

Il Monastero delle Clarisse Eremite. Fonte: https://www.visitfarainsabina.it/

Il crocifisso in pelle umana

Uno dei misteri più affascinanti di Fara in Sabina riguarda il Duomo (Chiesa di Sant’Antonino Martire), che sobrio, ma affascinante, rappresenta un luogo intriso di eleganza, storia e leggende: sorge nel cuore del centro storico, in piazza del Duomo, e si erge sui resti di una chiesa preesistente (oggi sotterranea) della prima metà del ‘300. Nasce tecnicamente come “Collegiata” tra il 1501 e il 1506, ossia come sede di residenza di un “collegio” di canonici. Al suo interno sono conservate pregevoli opere, tra cui Gesù Crocifisso tra la Vergine, San Giovanni e la Maddalena (opera della scuola del Guido Reni, posta in sede intorno al 1716 e restaurata una prima volta nel 1754), la settecentesca statua lignea di Sant’Antonino con volto e mani d’argento e l’opera più enigmatica del borgo, ovvero un crocifisso di inizio ‘600 polimaterico in cuoio, paglia e altre fibre vegetali: la tradizione però narra che la sua pregiata e dettagliata fattura sia data da un rivestimento in pelle umana.

Il Crocifisso di inizio ‘600: il corpo di Cristo sarebbe, secondo tradizione, rivestito in pelle umana

Le 17 monache del XVII secolo mummificate e il Museo del silenzio

Un altro angolo di Fara in Sabina ricco di fascino e mistero riguarda il Monastero delle Clarisse Eremite, che ha sede in uno storico Castello le cui origini si perdono nell’alto Medioevo e le cui vicende furono legate per molti secoli alla storia della vicina Abbazia di Farfa. Al suo interno, inaugurato nel 2004, si trova il peculiare Museo del Silenzio che risulta essere decisamente innovativo nel linguaggio e nella struttura: infatti tutto ruota attorno al silenzio che, fin dal 1673, è il fulcro di questo luogo.

Il Museo del Silenzio, luogo ove sono conservati i 17 corpi mummificati delle monache. Fonte: www.visitfarainsabina.it

Qui si trovano 17 monache di 400 anni fa i cui corpi sono stati rinvenuti intatti. Il mistero delle monache mummificate inizia nel 1806 con la promulgazione dell’editto napoleonico di Saint Cloud nel Regno d’Italia. L’editto stabilì che le sepolture dovessero essere realizzate fuori dalle mura cittadine, in luoghi assolati e ventilati: in base agli studi scientifici dell’epoca, infatti, le tombe all’interno della città provocavano malattie ed epidemie. Seguendo l’editto di Saint Cloud, le Clarisse si videro costrette a disseppellire i corpi delle consorelle dal loro cimitero privato e a trasferirli fuori città. Fu allora che, con loro grande sorpresa, si trovarono di fronte a 17 corpi intatti, con le parti muscolari integre. Di fronte a quel fatto, le monache preferirono conservarli, collocandoli all’interno di un muro nel monastero.

Alla fine della II Guerra Mondiale, gli Alleati bombardarono buona parte del monastero. Nel 1963 la badessa, madre Beatrice Mistretta, decise di modificare le rigide regole delle Clarisse eremite, che vivevano in completo silenzio (era del tutto proibito esprimersi a parole), e di ricostruire il monastero insieme alle consorelle, che avrebbero svolto il ruolo di falegnami e carpentieri. Di nuovo la grande sorpresa: con i lavori di ricostruzione riapparvero i corpi delle 17 monache, intatti come prima e a cui questa volta neanche le bombe avevano arrecato danno. Le religiose decisero di far analizzare i corpi con la tecnica del Carbonio 14, che confermarono che risalivano alla metà del XVII secolo, in coincidenza con la nascita del monastero. Secondo i dati conservati dalle Clarisse, 17 erano anche le prime monache del monastero, e sembrerebbe quindi che si tratti delle fondatrici del convento. Nel 1994 le Clarisse hanno deciso di collocarle in un’urna di vetro e le hanno vestite con l’abito dell’ordine, stupendosi per il fatto di riuscire nell’intento con grande facilità, perché nessun corpo si è deteriorato.

Il Museo contiene 21 teche al cui interno sono presenti oggetti di uso comune, molto semplici e poveri, che nel momento in cui vengono illuminati emanano tutta la potenza evocativa di una memoria storica che continua ancora dopo secoli a essere la testimonianza della prima comunità monastica: si tratta dei temi significativi nella vita quotidiana delle monache tra cui la preghiera, il silenzio, la cucina, la farmacia e la disciplina.

Informazioni e prenotazioni

Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito web www.visitfarainsabina.it, scrivere una mail a visitfarainsabina@gmail.com o contattare il numero 0765/277321.

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Redazione
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa