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Emma Monti – Pittrice, scrittrice e regista bresciana, la biografia


Emma Monti, la “donna nuova”
che concilia famiglia e creatività

Un’intensa curiosità intellettuale, il desiderio di sperimentare i principali linguaggi espressivi, la volontà di realizzarsi creativamente, senza per questo ridurre l’attiva presenza di moglie e di madre. Emma Monti è una donna che nasce sotto il segno dell’impegno. Esponente di una famiglia borghese romana, sorella di Lydia che sarà destinata a diventare un luminare nel campo della Medicina, Emma, bresciana d’adozione a partire dal 1929, cerca una propria strada che diviene paradigmatica, negli anni Quaranta e Cinquanta, di un modo completamente nuovo nella ricerca di un equilibrio tra i piaceri-doveri familiari e la realizzazione di sé.
Il Novecento aveva offerto figure femminili antesignane di una proiezione totalizzante nella professione, ma costoro, in molti casi, di fronte al bivio famiglia o carriera erano state costrette a individuare un piano vocazionale unico, quello del lavoro. Emma – moglie, madre, padrona di casa, pittrice, scrittrice, poetessa, decoratrice e regista – cercò invece di imboccare quella difficile via di sintesi che, a partire dagli anni Settanta, avrebbe contrassegnato il mondo femminile occidentale; una strada che oggi è percorsa dalla quasi totalità delle giovani donne, pur nelle difficoltà e sull’orlo di una crisi di nervi.
Emma nasce a Roma nel 1895 e si laurea, con una tesi di Storia dell’arte, con il grande Lionello Venturi; tra i primi anni di vita e la laurea si colloca un incontro fondamentale che illuminerà, come una rivelazione neoplatonica, l’intera sua esistenza. Come racconta lei stessa, con parole che rinviano al mondo magico e alchemico dei grandi incontri d’amore, nel corso di una passeggiata con il padre, dopo essersi staccata da lui per vedere una vetrina, inforca, senza accorgersene, il braccio di un giovane uomo ed entrambi, senza guardarsi, camminano fino a un bar. Emma ha quindici anni. Con il procedere riservato e guardingo dell’epoca, i due si scrivono e si pensano. Lui, Corrado Orazi, diviene ingegnere. Nel 1923 la porta all’altare, dopo un corteggiamento ritualmente pressante.
L’amore, pur tra le difficoltà e le incomprensioni che caratterizzano anche i rapporti di coppia contrassegnati dalle massime affinità elettive, dischiude a Emma una vita splendida, che diverrà, anche attraverso il dolore e le drammatiche cerimonie di addio, elemento portante della sua creatività, che si fa febbrilmente intensa dopo la morte dell’amato marito. Il linguaggio le consente, infatti, di proseguire – con i colori della pittura, l’amorosa sensualità della prosa romanzesca, l’incanto poetico e la rêverie filmica – un dialogo solo all’apparenza interrotto.

Le vite. Lei e lui sulla linea del tempo

L’anziano padre di Emma è ex un funzionario del Ministero delle Poste e telegrafi che avrebbe desiderato un figlio maschio sul quale proiettare idealmente il proprio futuro. Ha invece due femmine, molto intelligenti e sensibili. Forse anche per questa necessità paterna di investire sui figli in termini professionalmente formativi, alle ragazze sono offerte possibilità di studio che non si rivelano particolarmente diffuse nella borghesia e nell’aristocrazia dell’epoca.

Corrado, il marito ingegnere che risollevò l’Om

Un amore combattuto e profondo. Corrado ed Emma si conoscono a Roma agli inizi del secolo. E’ lui a corteggiare con assiduità la ragazza, quando sono ancora studenti; è lui a coltivare principalmente una relazione epistolare evidentemente finalizzata al matrimonio; Emma, invece, per quanto sia rimasta colpita dal giovane uomo, non vuole giungere alle nozze e, per diverso tempo, risponde evasivamente all’amico.
Il tempo passa. Corrado Orazi si laurea in ingegneria e inizia a svolgere attività di rappresentanza commerciale nell’Italia settentrionale – la base è a Milano – che, prosegue anche dopo il matrimonio, avvenuto nel 1923.
Nel 1929 la svolta professionale. L’ingegnere viene inviato a Brescia dal Credito italiano come liquidatore della Fabbrica di automobili, Om. L’ingegnere – che raggiunge un accordo con le maestranze – ritiene, come gli operai, che l’impresa possa essere salvata e ne diviene direttore, il manager che muterà rapidamente segno all’andamento aziendale. Il rilancio dell’Om si deve fondamentalmente a lui.
Il nuovo impegno professionale porta la famiglia da Milano a Brescia. Nei primi anni Trenta, gli Orazi abitano in via Mazzini, poi, alla fine del 1936, si trasferiscono nella bella villa della Panoramica. Il lavoro intenso, le preoccupazioni, le difficoltà del periodo bellico sottopongono l’ingegnere a un gravissimo stress che sarà concausa di una cardiopatia.
Corrado Orazi morirà nel 1949. “Morì poco più di un anno fa, al mare, doveva aveva voluto seguirci durante una terribile bufera – scriverà Emma – con una calma, una dignità, una compostezza meravigliose (…) E s’era spento con lui tutto l’amore e il calore che c’era per noi nel mondo”.

La scrittura come attività terapeutica
per superare lo stress della tradizione

La scrittura sistematica si profila inizialmente con una funzione terapeutica. Emma Monti vive, da donna moderna, il conflitto tra le necessità della famiglia – e il complesso rapporto con la madre, caratterizzato dalla difficoltà del distacco e dal senso di colpa – e la possibile realizzazione di sé, in continuità con i propri studi e i propri sogni. Per questo, al manifestarsi di un intenso disturbo nervoso – una forma di depressione insorta o aggravata in seguito alla nascita del terzo figlio – riceve dal marito l’invito a tornare a quella creatività che la donna manifestava anche attraverso le lettere, scritte durante il periodo nel quale Corrado era al Nord, per lavoro, o nel corso dei numerosi spostamenti. Emma investiga poeticamente la propria infanzia, scrive poesie, porta a compimento, negli anni Trenta, la commedia in quattro atti “Il mondo a chi lo afferra”.
Alterna la pittura, come proiezione panica nella vibrazione del colore e nell’ordine della forma, alla scrittura che richiede un impegno analitico più profondo e uno sforzo maggiore. Tra poesia e pittura, colloca anche l’idillio poetico che le offre la possibilità di individuare un punto di raccordo più stretto tra l’intuizione cromatica e la sintetica pennellata lirica del fare poetico.
Alla ricerca di un equilibrio emotivo che può esserle dato dall’ordine e dalla complessità del romanzo, inteso come struttura allargata e complessa, lavora, a partire dal 1934-1935, a Le rive dei sogni. Un impegno gravoso, considerate le sue condizioni di salute, anche perché Emma intende inizialmente quel lavoro come un’attività espressivo-terapeutica intrapresa per assecondare i desideri del marito. “Cominciai solo per obbedirgli e senza nessuna speranza Le rive dei sogni. – scrive infatti – La mia testa faticava; ma pian piano presi gusto alla storia d’amore che scrivevo. La mattina, nella nostra casetta di Ponte di Legno, a tavolino, il mio pensiero era costretto a camminare su un certo binario che non era tormentoso. Al placido ‘porto dei sogni’, la mia nave sbattuta dall’uragano trovò un approdo sereno; e lentamente cominciai a migliorare”.
Sotto il profilo stilistico, Emma Monti compie una sintesi personale – caratterizzata da un accordo cromatico sentimentalmente femminile – tra lo stile ricco ed evocativo della prosa d’arte, con echi che rinviano alle ampie e sciolte strutture descrittive di Manzoni, e il secondo romanticismo.

Il romanzo d’amore “Le rive dei sogni”
Il gioco degli pseudonimi nelle firme

L’uso di pseudonimi, eteronimi o nome de plume che nascevano dall’anagramma del proprio nome o dalla fusione del nome del marito con il proprio dimostrano contemporaneamente l’esplorazione condotta dalla Monti in una situazione di alterità, la necessità di assecondare il mercato italiano tendenzialmente esterofilo e la continua ricerca di una fusione affettiva con il compagno della propria vita. “Le rive dei sogni”, il romanzo di 265 pagine edito nel 1953 dalla Pavoniana, è firmato Orazio Mont. Il nome del marito è unito al proprio cognome, reso straniero dall’omissione della lettera “I”.
Il punto di vista dell’io narrante è infatti quello maschile di Giovanni, come se Emma volesse osservare se stessa attraverso gli occhi del marito, al quale il libro è esplicitamente dedicato in epigrafe: “A Corrado Orazi. Il tuo ricordo mi sostenga. Il tuo spirito mi protegga. Il tuo cuore mi accolga”. L’autrice narra la vicenda di due compagni di liceo, Giovanni e Maria, il cui possibile legame amoroso viene assecondato dalla famiglia di lei. Scoppia la prima guerra mondiale e il giovane, studente in Medicina, parte per il fronte con l’entusiasmo del volontario, mentre Maria prosegue i propri studi letterari, affrontando in particolar modo la poesia provenzale, cioè il sentimento puro che innalza. Amore e guerra, infatti, si intrecciano.
Giovanni è ferito gravemente mentre Maria viene corteggiata dall’affascinante principe Aldobrandi, che vorrebbe avere con lei una relazione erotica; la giovane non cede anche grazie ai principi educativi con i quali è cresciuta, mentre il nobiluomo si ritira sulla base di un codice d’onore che implica il totale rispetto della ragazza amata da Giovanni, l’uomo dal quale è stato salvato nel corso di un’azione di guerra.
L’approdo alle rive dei sogni è l’atteso happy end: il soldato, dopo una lunga convalescenza che rivela alla confusa Maria la fonte autentica dell’amore, diviene un medico di successo e lei una giovane sposa innamorata.
Emma Monti spera che il libro ottenga un vasto successo e progetta l’apertura di un’editrice nella propria villa. Ritiene che la cultura e la creatività possano avere un mercato. Ma il progetto è destinato a non avere seguito.

Il poema del commiato dal mondo
e il raccordo con l’infanzia sul Tanaro

Sul Tanaro una mattina d’aprile è un breve poema che viene dato alle stampe nel 1965 dai figli di Emma, dopo la sua morte. L’opera poetica, stesa a Miami, in Florida, nell’aprile 1960, in un raccordo lontanissimo nel tempo e nello spazio, che portano dall’America all’Italia e dalla maturità piena all’infanzia, è una sorta di cannocchiale ribaltato nel quale le piccole figure del passato assumono un nitore straordinario. Il poema è infatti un viaggio sentimentale nei primi anni del secolo, un mondo all’apparenza perduto che soltanto l’evocazione poetica è in grado di trasformare in un tableau vivant.
Il titolo echeggia quello di un’opera di Giuseppe Cesare Abbia, Sulle rive delle Bormida, fiume che, del resto, è un affluente del Tanaro stesso. La dolce rievocazione compiuta da Emma Monti pone in luce la casa dei nonni e degli zii materni, che sorgeva presso la rocca di un minuscolo paese, Bassignana, nei pressi del fiume. Emma avverte la necessità di riempire del fremito della vita lontanissimi ricordi; viso, corpi e anime di zie e zii belli, giovani e affettuosi, sono inseriti nella compartecipe e sensuale dolcezza dei luoghi. Sul fiume piemontese l’autrice ripercorre le proprie origini, attraverso un poema che rinvia alle atmosfere crepuscolari ed anti-eroiche di Guido Gozzano, genius loci, in quanto piemontese. Come nelle rievocazioni d’ambiente di stampo gozzaniano, un mondo di fantasmi, di oggetti, ricordi e paesaggi fluttua in un’aura spirituale fino alla rimaterializzazione medianica.

Una pittura della psiche: l’impeto
sentimentale più forte della tecnica

La pittura costituisce una delle passioni giovanili che Emma Monti coltiverà per tutta la vita. Il disegno, l’ornato, la pittura di fiori costituiscono elemento formativo delle ragazze della borghesia e dell’aristocrazia italiana tra Ottocento e primi decenni del Novecento. Emma cerca comunque, al di là dei generi codificati, l’esplorazione sentimentale del paesaggio. L’onda lunga dell’impressionismo non si interrrompe, nonostante la pittrice cresca negli anni delle avanguardie e del ritorno all’ordine. Il rapporto con la luce risulta fondamentale nei suoi primi dipinti. La pittura è gioia, appagamento dei sensi. E in particolar modo ciò vale per gli interventi en plein air, condotti a diretto contatto con la natura, nell’accordo tra le vibrazioni del colore artificiale e di quello naturale. La grande passione di Emma per questa forma espressiva è resa manifesta anche da alcuni brani delle lettere giovanili, nei quali vengono descritti con entusiasmo piccoli interventi decorativi o la preparazione delle tavolette per i dipinti “Il mio tavolinetto è più che mai ingombro di colori complementari; non solo di sete, ma di terre, di polveri, di pennelli; perché ora ferve il lavoro della ceramica, con mia grandissima gioia e soddisfazione”.

Dai dipinti ectoplasmatici di Venezia
all’energia del colore-vento di Miami

L’arte come espressione emozionale – più che un viaggio sistematico nella forma-colore – domina la poetica pittorica di Emma Monti, che non asseconda tanto una ricerca stilistica o un confronto con i grandi artisti, quanto un fare neo-romantico orientato alla proiezione dì sé sul paesaggio e sui ritratti. Ciò implica una certa distanza tanto dal realismo quanto dalla ricerca della modernità. Del resto la pittrice non dipinge per inserirsi in un mercato o per offrire pubblicamente gli esiti della propria ricerca. Il piano emotivo è assolutamente privilegiato. I soggetti si presentano come elemento di raccordo affettivo tra il piano dell’anima e quello della tela o della tavola. E’ comunque possibile sottolineare un mutamento del registro nel tempo. Se i primi dipinti paiono dominati da un reticolo disegnativo vincolante, a partire dagli anni Cinquanta l’approccio al supporto diviene più libero e la stesura più liquida, come nelle marine dedicate a Venezia o all’Adriatico, nelle quali prevale una visione onirica della realtà, come se l’immagine fosse il prodotto di un ricordo e pertanto non passasse attraverso la retina, quanto fosse suscitata da fantasmi della memoria e si producesse per un raddensamento di nebbie.
La tavolozza si rischiara nel corso del periodo americano (1959), quando l’artista è ospite del figlio, a Miami. In questi quadri, Emma è letteralmente catturata dallo slancio vitale del vento sulle onde e tra le palme; un vento forte e discontinuo che imprime un’accelerazione alla sua pittura, volta alla sintesi rapida, e che conferisce alle opere un senso di gioiosa e turbinosa verità, impregnata di sole.

Emma sceneggiatrice e regista
Cortometraggio con Albertazzi

Tra il 1953 e il 1954, in linea con il proprio carattere poliedrico, Monti analizza altre tecniche espressive, anche per assecondare la passione del figlio Enrico per il cinema. Nel 1955 viene girato il cortometraggio La cattedrale tre le nuvole, firmato da Emma come regista con lo pseudonimo Amme Timon, derivato dall’anagramma di nome e cognome. L’opera è interpretata da due giovani attori, che si rivelano già come personaggi di livello internazionale: Giorgio Albertazzi, voce narrante fuori campo, e Ivy Nicholson, una cover girl americana di primo piano negli anni Cinquanta, dimenticata negli anni Settanta e poi ridotta a una vita da vagabonda.
La cattedrale tra le nuvole è un appassionato canto a Venezia, un documentario sentimentale, sviluppato attraverso l’esile pretesto narrativo del coup de foudre tra un “povero cameraman” e una turista americana, un’attrice. Il cameraman Albertazzi guida Ivy negli angoli più suggestivi di Venezia. L’arte, la natura, gli scorci pittorici ben delineati da Enrico Orazi che funge da direttore della fotografia, divengono pronubi di quella che già si rivela, fin dalle prima battute, come una grande storia d’amore. Al di là della struttura, ciò che colpisce nell’opera è la qualità è pittorica del cortometraggio. Va poi segnalata una nota di costume legata al film. La distanza tra classi sociali e ruoli, oggi annullata nel mondo dell’amore e dell’eros, diviene centrale nel cortometraggio di Emma Monti. Il cameraman dichiara di non poter ambire al rapporto con la bella modella.
Il film viene presentato l’8 settembre 1955 al palazzo del Cinema di Venezia e all’Olimpia di Cannes, il 7 maggio 1956 accanto a un altro cortometraggio della stessa autrice, Ballata alpestre.

Ospite a Venezia e a Cannes
Il cine-poema Ballata alpestre

La struttura del cine-poema caratterizza l’altro cortometraggio di Emma Monti, Ballata Alpestre. Il pathos del Peer Gynt di Grieg – scelto come colonna sonora di un film che tende, in crescendo, alla musica sinfonica – rievoca lontani fiordi norvegesi con i quali l’autrice instaura un rapporto evocativamente binario con lago d’Iseo e la Valcamonica. Qui il testo diviene poetico ed evocativo, si fonde con fotogrammi pittorici, ambisce a costituirsi come un contrappunto sonoro, metrico e semantico rispetto all’opera di Grieg e viene prodotto con forte senso di musicalità: dal piano e dall’allegretto di matrice pascoliana, al cupo fragore di una prosa neo-carducciana che nell’ascesa verso le cime diviene rarefatta voce di ricca di preziosismi sonori di stampo dannunziano. Nel film Ballata alpestre, l’autrice sembra aver pienamente realizzato il desiderio di unione delle arti e dei propri riferimenti espressivi: la pittura – trasfusa nel fotogramma – la prosa, la poesia convergono in un unico modulo evocativo.
La nuova passione per il cinema come sistema di unità delle arti, induce Emma a progettare ad altre produzioni filmiche. Intende trasporre per lo schermo un proprio racconto, la storia d’amore del tenente Van der Helf e, per la televisione, vuole produrre lo sceneggiato tratto dal romanzo Le rive dei sogni. Ma sono progetti destinati a restare purtroppo sulla carta. L’ultima opera è il poema sulle rive del Tanaro. La morte la attende sulla statale del Brennero il 29 novembre 1964.