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Le delicate porcellane di Delphine de Custine, regina delle rose e amante di Chateaubriand


Nella storia dell’aristocrazia, non ci fu, probabilmente, periodo più dolce in cui vivere: quello, prima del cataclisma della rivoluzione francese, che coincise con gli ultimi anni del regno di Luigi XV. Lo diceva Talleyrand, riconoscendo l’unicità delle delizie, delle dolcezze e della gioia di vivere, non solo di lusso, ma nella felicità che derivava dalla spensieratezza. Non facciamo, in questo momento considerazioni sociali, politiche ed economiche, per la complessità di un quadro caratterizzato dall’avanzata travolgente della borghesia imprenditoriale e burocratica che, probabilmente, accese le polveri del mutamento, poi degenerato in una catena di violenze. Sconvolto il mondo, i sopravvissuti si trovarono a dimenticare insieme, in gruppo, consentendosi la leggerezza – che non sempre era banalità, com’è spessa ritenuta – del periodo della loro giovinezza. Certo, questo lo diceva Talleyrand, colui che avrebbe gestito la Restaurazione, cercando di cancellare, anche emotivamente, le tracce della Rivoluzione e del periodo napoleonico. Ma restiamo agli anni più lontani.
Tra le figure che incarnarono un’epoca, quella di Delphine de Custin (1770-1826), definita “la regina delle rose” o, meglio sarebbe dire, “sovrana delle roselline”, piccoli fiori sorprendenti, a mazzi, intensamente legati al settecento rococò e pre-rivoluzionario, più d’ogni altro.

Delphine – il cui cognome, da nubile, era de Sebran, portato da una famiglia dell’antica nobiltà francese – sposò a 16 anni il giovanissimo figlio del conte de Custine, proprietario dell’industria delle ceramiche di Niderviller, seconda manifattura in Francia, in ordine di tempo, ad aver introdotto la produzione di porcellana. Lei “era una di quelle meravigliose creature che Dio dona al mondo in un momento di munificenza» scriverà la duchessa d’Abrantès, nell’Histoire des Salons de Paris. Univa carnalità e spiritualità, sensibilità e maniere squisite, libertà sessuale e cultura, intelligenza e grazia. E manifestava la straordinaria capacità di vivere, anche in condizioni storiche drammatiche, le proprie vocazioni. A 23 anni aveva perso il marito, che era stato ghigliottinato. In attesa di essere condotta anche lei al patibolo, Delphine aveva vissuto un nuovo amore disperato e fatale con Alexandre de Beauharnais, il marito di Josephine, divenuta poi artefice dell’ascesa di Napoleone e sua prima moglie. La contessa De Custine venne poi liberata dalla prigione (1794), grazie alla fine di Robespierre e, formalmente, a una petizione firmata da cinquanta lavoratori dell’industria di Niderviller. Non fu una donna assolutamente superficiale. Coltivò la propria spiritualità e visse il passaggio al romanticismo, attraverso un’adesione a un Cristianesimo del cuore. Si innamorò di Chateaubriand, autore del Genio del Cristianesimo. Fu a lui legata sentimentalmente e, soprattutto, intellettualmente. Delphine, come osserva lo storico Marc Fumaroli, era “una mistica allo stato selvaggio”, attratta dagli opposti che si univano in Chateaubriand: il potere di seduzione e la declinazione di una spiritualità intensa e coercitiva che lo portava a considerare indissolubile il matrimonio cristiano, nonostante egli, pur essendo sposato, avesse un buon numero di amanti. Amare per la “nuova” Delphine,, insomma,  significava reciprocamente negarsi, soffrire insieme per non arrendersi al peccato, eppure lambire le soglie dell’abisso sensoriale.
Alla “regina delle Rose” è stata dedicata una mostra – 8 giugno 2018-9 gennaio 2019 – al Musée du Pays de Sarrebourg
: un omaggio floreale di porcellane raffinate, dominate da rose in rilievo, prodotte dalla sua manifattura di Niderviller. Come vediamo nel bel filmato.